5G: Scanzano Jonico dice “No” invocando il principio di precauzione

5G: Scanzano Jonico dice “No” invocando il principio di precauzione

Sommario: 1. Introduzione; – 2. Il principio di precauzione nel diritto internazionale: origine ed evoluzione; – 2.1. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione nell’ordinamento internazionale; – 3. Il principio di precauzione nel diritto comunitario; – 3.1. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione nell’ordinamento comunitario: la tutela ambientale; – 3.2. Principio di precauzione e tutela della salute; – 3.3. La Comunicazione della Commissione europea sul principio di precauzione – COM (2000) 1 del 2 febbraio 2000: contenuti del principio di precauzione; – 3.4. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione a seguito della Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione – COM (2000) 1; – 4. Il principio di precauzione nell’ordinamento italiano; – 4.1. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione nell’ordinamento italiano: giurisprudenza della Corte Costituzionale; – 4.1.1. La giurisprudenza amministrativa; – 5. Il principio di prevenzione.

1. Introduzione

Secondo il pensiero di Ippocrate, tuttora condivisibile, la scienza genera conoscenza; è indubbio, infatti, che grazie allo sviluppo scientifico e tecnologico sia stato possibile scoprire nuove tecniche: ad esempio, lo sviluppo scientifico-farmaceutico ha consentito di scoprire nuovi farmaci che oggi consentono di curare malattie un tempo mortali.

La conoscenza, a sua volta, conduce alla certezza, infatti, lo sviluppo scientifico ha reso possibile verificare se gli effetti di determinati prodotti e/o sostanze, sconosciuti al momento della loro creazione, sono dannosi o benefici: si pensi, ad esempio, alla scoperta degli effetti dannosi provocati dall’inalazione delle fibre di amianto, o alla scoperta della cancerogenicità del tufo, del nichel o di altre sostanze.

Tuttavia, la scienza genera anche incertezza: infatti, se è vero che lo sviluppo scientifico consente di creare nuovi prodotti e/o sostanze (la scienza genera conoscenza), è anche vero che, in alcuni casi, gli effetti di tali prodotti e/o sostanze sono del tutto ignoti; conseguentemente, “l’incertezza genera […] rischio”[1] poiché tali prodotti e/o sostanze potrebbero avere effetti negativi, ma solo grazie al futuro sviluppo scientifico si potrà stabilire la loro dannosità o innocuità.

La società contemporanea, quindi, pur essendo diventata più sicura grazie alla (inarrestabile) evoluzione scientifica e tecnologica di cui è testimone, al tempo stesso è divenuta più fragile a causa dell’incertezza che la caratterizza[2] e dei rischi che sono il frutto dell’evoluzione stessa[3].

La società attuale, quindi, è una “società di rischio”[4], infatti, deve costantemente salvaguardare se stessa dai rischi che produce; tuttavia, non può eliminarli totalmente, non può certamente raggiungere un livello di “rischio zero”, poiché, a causa dell’incertezza, un rischio è sempre presente[5].

Malgrado ciò, negli ultimi anni, si è provveduto a limitarli, infatti, ha iniziato a farsi strada il concetto di precauzione che, in poco tempo, è arrivato ad assurgere a qualità di principio il quale ispira l’attività cautelare da compiersi in presenza di un rischio potenziale per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente.

Ebbene, proprio invocando il principio di precauzione[6] il Sindaco di Scanzano Jonico, con l’ordinanza n. 93 del 18 luglio 2019, ha disposto, “[…] in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi annunciata dall’International Agency for Research of Cancer […], prendendo in riferimento i dati scientifici più aggiornati[7] […]”[8], il divieto di sperimentazione e/o installazione del 5G sul territorio del Comune sul presupposto che “[…] le radiofrequenze del 5G sono del tutto inesplorate, mancando qualsiasi studio preliminare sulla valutazione del rischio sanitario e per l’ecosistema derivabile da una massiccia, multipla e cumulativa installazione di milioni di nuove antenne che, inevitabilmente, andranno a sommarsi alle decine di migliaia di Stazioni Radio Base ancora operative per gli standard tecnologici di comunicazione senza fili 2G, 3G, 4G oltre alle migliaia di ripetitori Wi-Fi attivi”[9].

In particolare, a sostegno di tale decisione, nella suddetta ordinanza si evidenzia che “il 5G si basa su microonde a radiofrequenze più elevate dei precedenti standard tecnologici, anche dette onde millimetriche, che comportano due implicazioni principali: maggiore energia trasferita ai mezzi in cui le radiofrequenze vengono assorbite (in particolare i tessuti umani) e minore penetrazione nelle strutture solide, per cui vi è la necessità di un maggior numero di ripetitori (a parità di potenza) per garantire il servizio”[10]; stando alla lettera del testo in esame, un tale scenario, necessario e conseguente all’attivazione ubiquitaria del 5G, sarebbe quindi foriero di possibili conseguenze biologiche ovvero di pericoli socio-sanitari[11].

Tanto premesso, di seguito si è provveduto ad una quanto più possibile completa disamina del principio in esame analizzando la sua origine ed evoluzione e, in particolar modo, la sua applicazione nell’ordinamento internazionale, comunitario e, infine, nell’ordinamento interno.

2. Il principio di precauzione nel diritto internazionale: origine ed evoluzione

Il principio di precauzione è certamente una delle più grandi invenzioni del diritto della seconda metà del XX secolo; tuttavia, esso affonda le proprie radici, prima ancora che in ambito giuridico, in ambito filosofico e sociologico.

Il concetto di precauzione, infatti, è stato coniato per la prima volta dal filosofo tedesco Hans Jonas nell’opera “Das Prinzip Verantwortung” (1979) e, successivamente, ripreso dal sociologo tedesco Ulrich Beck nell’opera “Risikogesellschaft. Auf dem Weg zu eine andere Moderne” (1986)[12].

Invero, l’idea di una “amministrazione precauzionale”[13] era già sorta nell’ambito giuridico, ed in particolare, nell’ordinamento tedesco degli anni ’30 ma, tuttavia, l’origine del principio di precauzione si fa comunemente risalire all’ordinamento della Repubblica Federale Tedesca degli anni ’70 in cui comincia a delinearsi la figura del principio di precauzione (Vorsorgeprinzip); nello stesso periodo, inoltre, il principio di precauzione inizia ad essere oggetto di applicazione anche da parte della giurisprudenza americana[14].

Seppure, quindi, la necessità di un approccio precauzionale iniziava a sorgere in vari Paesi, soprattutto dell’Europa, il principio di precauzione non aveva ancora ottenuto riconoscimento, né veniva ancora accolto ed applicato nella globalità degli ordinamenti.

Il principio di precauzione ottiene il primo riconoscimento nel diritto internazionale ed in particolare in quello in materia di tutela ambientale, infatti, è qui che si trovano i primi riferimenti a tale principio[15]; tuttavia, la sua applicazione si è poi estesa non più solo in riferimento alla tutela ambientale, ma anche con riferimento alla tutela della salute umana e animale.

Un primo riferimento al principio di precauzione “in forma embrionale”[16] o, più precisamente, all’approccio precauzionale si rinviene nella Dichiarazione delle Nazioni Unite (c.d. Dichiarazione di Stoccolma) adottata, sotto forma di raccomandazione generale, il 16 giugno 1972 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite al termine della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano tenutasi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno 1972[17].

Il particolare, al principio n. 18 si legge che “la scienza e la tecnica, nell’ambito del loro contributo allo sviluppo economico e sociale, devono essere applicate per identificare, evitare e controllare i pericoli che minacciano l’ambiente e risolvere i problemi posti allo stesso per il bene dell’umanità”[18].

Successivamente, al principio di precauzione viene offerto riconoscimento a livello internazionale nella Carta Mondiale della Natura, adottata con Risoluzione dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il  28 ottobre 1982[19].

In particolare, al principio n. 11 si legge che “le attività che possono avere un’incidenza sulla natura saranno controllate e saranno impiegate le migliori tecniche disponibili, suscettibili di diminuire l’entità dei rischi o di altri effetti nocivi sulla natura”.

Inoltre, segue che “le attività che comportano un elevato grado di rischio per la natura saranno precedute da un esame esaustivo; i loro promotori dovranno dimostrare che i benefici previsti prevalgono sui potenziali danni per la natura e, nei casi in cui gli effetti nocivi eventuali di queste attività sono perfettamente conosciuti, le attività stesse non devono essere intraprese” (principio n. 11, lettera b) e che “le attività che possono disturbare la natura saranno precedute da una valutazione delle loro conseguenze e studi sull’incidenza ambientale dei progetti di sviluppo saranno condotti sufficientemente in anticipo; nel caso in cui fossero intraprese, tali attività dovrebbero essere pianificate ed eseguite in modo da ridurre al minimo gli effetti nocivi che potrebbero risultare” (principio n. 11, lettera c)[20].

Nella Dichiarazione Ministeriale della seconda Conferenza Internazionale sulla protezione del Mare del Nord, tenutasi a Londra il 24 e il 25 novembre 1987, in seno all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), si rinviene “il primo esplicito riferimento al principio di precauzione nel diritto internazionale”[21].

In essa, infatti, si legge che “una strategia di precauzione si impone al fine di proteggere il Mare del Nord dai potenziali effetti dannosi delle sostanze più pericolose” e che “tale strategia può richiedere l’adozione di misure di controllo delle emissioni di tali sostanze prima che sia stabilito formalmente un legame di causa ed effetto sul piano scientifico”.

Invece, nella Dichiarazione Ministeriale della terza Conferenza Internazionale sulla protezione del Mare del Nord, tenutasi all’Aja il 7 e l’8 marzo 1990, il principio di precauzione viene espressamente enunciato; infatti, in essa si legge che “i governi firmatari devono applicare il principio di precauzione, vale a dire adottare misure volte ad evitare gli impatti potenzialmente nocivi di sostanze che sono persistenti, tossiche e suscettibili di accumulazione biologica, anche quando non vi sono prove scientifiche dell’esistenza di un nesso causale tra le emissioni e gli effetti”.

Tuttavia, “la vera e propria «consacrazione» del principio di precauzione”[22] si trova nella Dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo (c.d. Dichiarazione di Rio) approvata in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (United Nation Conference on Environment and Development – UNCED), tenutasi a Rio de Janeiro dal 2 al 14 giugno 1992.

Infatti, in essa si legge che “al fine di tutelare l’ambiente, gli Stati adotteranno ampiamente un approccio cautelativo in conformità delle proprie capacità” e che “in caso di rischio di danni gravi o irreversibili, la mancanza di un’assoluta certezza scientifica non deve essere addotta come motivo per rimandare l’adozione di misure efficaci, anche in rapporto ai costi, volte a prevenire il degrado ambientale” (principio n. 15 della Dichiarazione di Rio)[23],[24].

In occasione della c.d. Conferenza di Rio sono stati adottati altri due atti che fanno esplicito riferimento al principio di precauzione: la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change – UNFCCC), in cui si legge che “le parti devono adottare misure precauzionali per prevedere, prevenire o attenuare le cause dei cambiamenti climatici e limitarne gli effetti nocivi” e che “quando si è di fronte a un rischio di perturbazioni gravi o irreversibili, la mancanza di certezze scientifiche assolute non deve costituire un pretesto per rimandare l’adozione di tali misure, tenendo conto che le politiche e le misure rese necessarie dai cambiamenti climatici richiedono un buon rapporto costo-efficacia, in modo tale da garantire vantaggi globali al costo più basso possibile […]” (art. 3)[25], e la Convenzione sulla diversità biologica (Convention on Biological Diversity – CBD), nel cui preambolo si legge che “[…] laddove esista la minaccia di una riduzione rilevante o di una depauperazione della diversità biologica, l’assenza di esaurienti certezze scientifiche non dovrebbe essere invocata al fine di dilazionare misure volte ad evitare tale minaccia o a minimizzarne gli effetti”[26].

Un altro riferimento al principio di precauzione si rinviene nella Convenzione per la protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico Nord-orientale, adottata a Parigi il 22 settembre 1992[27].

In essa si legge che “le parti contraenti applicano il principio di precauzione, secondo il quale devono essere adottate misure preventive ogniqualvolta si possa ragionevolmente presumere che sostanze o energie introdotte, direttamente o indirettamente, nell’ambiente marino possono rappresentare un rischio per la salute umana, danni per le risorse biologiche e gli ecosistemi marini, danni alle amenità connesse all’ambiente marino o possono interferire con altri usi legittimi del mare, anche in assenza di una prova conclusiva del nesso causale tra immissioni ed effetti” (art. 2, par. 2, lettera a)[28].

La menzione al principio di precauzione si trova anche nella Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino della zona del Mar Baltico (c.d. Convenzione di Helsinki) a seguito della modifica adottata ad Helsinki il 24 settembre 1992.

Infatti, nell’originaria formulazione, approvata ad Helsinki il 22 marzo 1974, non si faceva alcun riferimento al principio di precauzione, ma a seguito della modifica, il principio in questione viene inserito, oltre al principio “chi inquina paga”, in suddetta convenzione e, precisamente, all’art. 3, par. 3, il quale riproduce esattamente il testo dell’art. 2, par. 2, lettera a), della Convenzione per la protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico Nord-orientale[29].

Successivamente, il 19 gennaio 2000 viene adottato a Montreal il Protocollo sulla Biosicurezza (c.d. protocollo di Cartagena[30])[31] in cui si legge ancora un riferimento principio di precauzione.

Infatti, l’art. 6, par. 10, sancisce che “la mancanza di certezza sul piano scientifico dovuta a conoscenze e prove scientifiche insufficienti circa l’entità degli effetti negativi che un organismo vivente modificato potrebbe esercitare sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica nel territorio della parte di importazione, tenuto conto anche dei rischi per la salute umana, non impedisce alla parte in questione di adottare, come opportuno, una decisione circa l’importazione dell’organismo vivente modificato in questione […] al fine di evitare o ridurre al minimo i suddetti potenziali effetti negativi”[32].

Al di fuori del diritto internazionale in materia ambientale, il riferimento al principio di precauzione si trova in diversi atti emanati dall’Organizzazione Mondiale del Commercio – OMC (World Trade Organization – WTO).

Si pensi, ad esempio, all’Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul Commercio (General Agreement on Tarifs and Trade – GATT), concluso a Ginevra il 30 ottobre 1947, in cui il principio di precauzione “è richiamato implicitamente”[33] dall’art. XX, il quale dispone che possono essere adottate o applicate misure limitative del commercio internazionale (anche) “necessarie per proteggere la salute e la vita delle persone e degli animali o per preservare i vegetali” (lettera b))[34].

Un altro atto emanato all’interno dell’OMC che, pur non menzionando espressamente il principio di precauzione, fa riferimento all’approccio precauzionale è l’Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie (Sanitary and Phytosanitary Agreement – SPS) del 1995, il quale dispone che “i membri hanno il diritto di prendere le misure sanitarie e fitosanitarie per la tutela della vita o della salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali […]” (art. 2, par. 1), purché siano “basate su criteri scientifici” (art. 2, par. 2); tuttavia “nei casi in cui le pertinenti prove scientifiche non siano sufficienti un membro può temporaneamente adottare misure sanitarie o fitosanitarie” (art. 5, par. 7)[35].

2.1. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione nell’ordinamento internazionale

Dalla lettura dei testi normativi a cui si è fatto cenno sopra appare evidente che, pur riferendosi comunemente “a situazioni di incertezza scientifica”[36], non forniscono una definizione univoca del principio di precauzione; inoltre, si evidenzia che gli stessi testi normativi hanno anche fornito diverse interpretazioni del principio in questione.

Il diritto internazionale più remoto, infatti, interpretava in modo ampio la portata del principio di precauzione ed in base a tale interpretazione, in modo assoluto, non si accettava nessun grado di rischio.

Pertanto, nel caso in cui si presentava un dubbio circa la dannosità di una determinata attività, si tendeva, mediante l’applicazione di misure precauzionali, a paralizzarla pur non sussistendo la prova scientifica che dall’attività stessa potessero derivare effetti negativi: solo le attività certamente innocue e sicure potevano essere proseguite.

In tal senso, infatti, si pronunciavano la Carta Mondiale della Natura, in cui si legge che “nei casi in cui gli effetti nocivi eventuali” delle “attività che comportano un elevato grado di rischio per la natura” “sono perfettamente conosciuti, le attività […] non devono essere intraprese”, la Dichiarazione Ministeriale della seconda Conferenza Internazionale sulla protezione del Mare del Nord, in base alla quale si possono adottare misure di controllo anche “prima che sia stabilito formalmente un legame di causa ed effetto sul piano scientifico”, e la Dichiarazione Ministeriale della terza Conferenza Internazionale sulla protezione del Mare del Nord, in base alla quale si devono adottare misure precauzionali “anche quando non vi sono prove scientifiche dell’esistenza di un nesso causale tra le emissioni e gli effetti”[37].

Tuttavia, questa ampia interpretazione del principio di precauzione è mitigata dalla successiva Dichiarazione di Rio, il cui orientamento è confermato anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (art. 3) e dalla Convenzione sulla diversità biologica (preambolo).

Il già citato principio n. 15, infatti, restringe la portata del principio di precauzione subordinando l’applicazione delle misure precauzionali al ricorrere di un “rischio di danni gravi o irreversibili”.

In definitiva, il principio di precauzione non è più inteso come uno strumento anticipatore della tutela idoneo a rimuovere ogni rischio paralizzando aprioristicamente qualsiasi attività potenzialmente pericolosa, bensì come uno strumento anticipatore della tutela idoneo a rimuovere solamente il rischio di danni qualificati come “gravi o irreversibili” paralizzando le attività potenzialmente pericolose anche se non vi è assoluta certezza scientifica in ordine alla possibilità che questi danni si verifichino[38].

Diversa è la concezione del principio di precauzione nell’ordinamento dell’OMC: qui, infatti, lo stesso principio assume una valenza diversa, più ristretta.

Ad esempio, l’art. XX dell’Accordo GATT, come visto precedentemente, prevede la possibilità di adottare o applicare misure limitative del commercio internazionale “necessarie per proteggere la salute e la vita delle persone e degli animali o per preservare i vegetali”, tuttavia, tale possibilità costituisce solamente una rara eccezione alla regola della libertà di circolazione delle merci sancita dall’art. XI; infatti, l’art. XX dispone che l’adozione delle suddette misure è legittima “a condizione che […] non vengano applicate in maniera da costituire un mezzo di discriminazione arbitrario o ingiustificato fra i paesi nei quali prevalgono le medesime condizioni, oppure una restrizione mascherata al commercio internazionale”.

Ciò è confermato dalle pronunce del Panel e dell’Appellate body[39] che, nei noti casi “sigarette thailandesi” (1990)[40], “tonno-delfini” (primo caso – 1991)[41], “tonno-delfini” (secondo caso – 1994)[42], “benzina americana” (1996)[43] e “gamberetti-tartarughe (1997)[44], “caso amianto (2001)[45]” dichiarano legittime o illegittime le misure limitative del commercio internazionale quando risultano o non risultano essere strettamente necessarie per proteggere la vita e la salute umana e animale: in altre parole, le misure limitative del commercio internazionale devono essere considerate illegittime quando la vita e la salute possono essere efficacemente salvaguardate anche mediante misure alternative[46].

Un’ulteriore interpretazione ristretta del principio di precauzione si ritrova nell’Accordo SPS, il quale prevede la possibilità di adottare, in via eccezionale, misure precauzionali (sanitarie o fitosanitarie) limitative del commercio internazionale nei casi in cui il rischio di danni non sia corroborato da sufficienti prove scientifiche.

Tuttavia, l’adozione di tali misure, che possono essere applicate solo provvisoriamente, è subordinata a delle condizioni: infatti, all’adozione della misura precauzionale deve precedere una fase istruttoria volta ad assumere tutte le “informazioni pertinenti disponibili, comprese quelle provenienti dalle competenti organizzazioni internazionali nonché dalle misure sanitarie o fitosanitarie applicate da altri membri” e, una volta applicata, si dovranno “ottenere le informazioni supplementari necessarie per una valutazione dei rischi più obiettiva” e quindi procedere, se del caso, “ad una revisione della misura precauzionale entro un termine ragionevole” (art. 5, par. 7)[47].

3. Il principio di precauzione nel diritto comunitario

Il principio di precauzione ha ottenuto riconoscimento anche nel diritto comunitario, tuttavia, come nel diritto internazionale, tale riconoscimento è avvenuto gradualmente a partire dagli anni ’80 del secolo scorso ed ha avuto origine nel settore della tutela ambientale, per poi estendersi anche alla tutela della salute umana e alla tutela dei consumatori.

Il riferimento al principio di precauzione manca totalmente nei primi atti della Comunità europea, infatti, sia il Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Trattato CECA)[48], sia i successivi Trattati di Roma[49], ovvero il Trattato che istituisce la Comunità economica europea (TCEE)[50] e il Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (TCEEA), non fanno in nessun modo riferimento al principio di precauzione o all’approccio precauzionale, ma si limitano a tutelare una generale salute pubblica[51] (oltre alla sicurezza e all’ordine pubblico)[52].

Un primo riferimento al principio di precauzione, seppur timido, si rinviene nell’Atto unico europeo[53] il cui art. 25 ha aggiunto, nella parte terza del TCEE, il titolo VII (Ambiente) composto dagli articoli 130 R, 130 S, 130 T[54].

In particolare, nell’art. 130 R TCEE si legge che “l’azione della Comunità in materia ambientale ha l’obiettivo di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente, di contribuire alla protezione della salute umana, di garantire un’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”, che “l’azione della Comunità in materia ambientale è fondata sui principi dell’azione preventiva e della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga» […]” e che “nel predisporre l’azione in materia ambientale la Comunità terrà conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni della Comunità, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione, dello sviluppo socioeconomico della Comunità nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni […]”[55].

Successivamente, il principio di precauzione viene introdotto all’interno dell’ordinamento comunitario con il Trattato sull’Unione Europea (TCE)[56], divenendo, così, “uno dei principi guida della politica ambientale comunitaria”[57].

In particolare, l’esplicito riferimento al principio di precauzione, “inteso come obbligo di astensione da attività per le quali manchi la certezza scientifica in ordine all’assenza di gravi rischi per l’ambiente”[58], si rinviene nell’art. 130 R TCE[59] il quale, tuttavia, si limita ad accostarlo agli altri principi già affermati dall’Atto unico europeo senza offrirne una definizione[60].

In esso si legge che “la politica della Comunità[61] in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale” e che “la politica della Comunità in materia ambientale […] è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.

Inoltre, segue che “le misure di armonizzazione” conformi alle esigenze connesse con la tutela dell’ambiente “comportano, nei casi appropriati, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura comunitaria di controllo […]”[62].

3.1. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione nell’ordinamento comunitario: la tutela ambientale

L’interpretazione del principio di precauzione nel diritto comunitario costituisce una sorta di via di mezzo tra quella ampia, propria del diritto internazionale, e quella ristretta, propria dell’ordinamento dell’OMC.

Infatti, al contrario del diritto internazionale, il diritto comunitario non tende a limitare la libertà di iniziativa economica in favore di un’ampia tutela dell’ambiente e, al contrario dell’ordinamento dell’OMC, non tende ad accentuare la stessa libertà a discapito della tutela ambientale[63].

Ciò è confermato dalle pronunce della Corte di Giustizia che, nei noti casi “bottiglie danesi” (1988)[64], “buste non biodegradabili” (1989)[65], “rifiuti valloni” (1992)[66], “gamberi d’acqua dolce” (1993)[67], “pentaclorofenolo – PCP” (1994)[68], “api di Læsø” (1998)[69], riconosce l’esigenza della tutela ambientale e afferma che essa può anche prevalere sulla libertà di circolazione delle merci, purché le relative misure precauzionali siano strettamente necessarie e proporzionali[70].

Tuttavia, anche nel diritto comunitario, l’incertezza tecnico-scientifica sugli effetti di una determinata attività non legittima l’amministrazione ad agire liberamente poiché deve comunque accertare determinati dati di fatto[71].

Infatti, il par. 3 dell’art. 191 TFUE (ex art. 174 TCE), il quale segna chiaramente i confini per l’applicazione del principio di precauzione, sancisce che “nel predisporre la sua politica in materia ambientale l’Unione tiene conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni dell’Unione, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione, dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni”.

3.2. Principio di precauzione e tutela della salute

Come già accennato sopra, l’applicazione del principio di precauzione ha progressivamente varcato i confini del settore della tutela ambientale per approdare nei settori della tutela della salute umana e quello della tutela dei consumatori.

Infatti, ancora prima che la Commissione definisse, nella Comunicazione sul principio di precauzione (la cui trattazione si rimanda al paragrafo successivo), il suo contenuto e la sua portata, la giurisprudenza comunitaria aveva già rilevato un collegamento tra il principio in questione e le altre norme del TFUE, ovvero con l’art. 168 TFUE (ex art. 152 TCE) – relativo alla salute pubblica – il quale dispone che “nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana” e che “l’azione dell’Unione […] si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale […]” (par. 1), e con l’art. 169 TFUE (ex art. 153 TCE) – nella parte relativa alla protezione della salute e della sicurezza dei consumatori – il quale dispone che “[…] l’Unione contribuisce a tutelare la salute” e “la sicurezza […] dei consumatori […]” (par. 1)[72].

Tuttavia, anche nel settore della tutela della salute, come in quello della tutela ambientale, si è posto il problema del contemperamento dei vari interessi (libertà di iniziativa economica e, appunto, la tutela della salute) nei casi in cui sussiste un’incertezza tecnico-scientifica: in tali casi, i giudici comunitari hanno cercato di dare un’interpretazione del principio di precauzione che non fosse né troppo sbilanciata in favore della libertà di circolazione delle merci, né troppo orientata a tutelare aprioristicamente la salute.

Ciò è confermato dalle pronunce della Corte di Giustizia che, nei noti casi “Sandoz” (1983)[73], “Hejin” (1984)[74], “Motte” (1985)[75], “Muller” (1986)[76], “Fedesa” (1990)[77] e “BSE” (o “mucca pazza”) (1998)[78], ha ritenuto legittime le misure restrittive alla libera circolazione delle merci adottate al fine di tutelare la salute pubblica nei casi di incertezza tecnico-scientifica, ai sensi dell’art. 36 TFUE (ex art. 30 TCE) il quale dispone che le restrizioni alla libera circolazione delle merci sono legittime se giustificate “da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale”, purché non costituiscano “un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”[79].

3.3. La Comunicazione della Commissione europea sul principio di precauzione – COM (2000) 1 del 2 febbraio 2000: contenuti del principio di precauzione

Come segnalato precedentemente, il principio di precauzione ha ottenuto riconoscimento all’interno dell’ordinamento comunitario con il Trattato di Maastricht (art. 191 TFUE ex art. 174 TCE), il quale, tuttavia, non definisce né il suo contenuto né la sua portata.

Sebbene la giurisprudenza comunitaria non si sia sottratta dall’applicare il principio in esame, occorrerà attendere quasi un decennio per ottenere una chiarificazione su cosa volesse effettivamente intendere il legislatore comunitario, infatti, solo con la Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione – COM (2000) 1 del 2 febbraio 2000 verrà specificato “il ruolo che tale principio è chiamato a svolgere nell’ambito di una strategia strutturata di analisi del rischio”[80],[81].

Invero, la Commissione aveva già fatto riferimento al principio di precauzione nel Libro Verde sui principi generali della legislazione in materia alimentare nell’unione europea – COM (1997) 176 del 30 aprile 1997, in cui si legge che “le misure intese a garantire un elevato livello di tutela e di coerenza dovrebbero essere basate sulla valutazione dei rischi tenendo conto di tutti i fattori rilevanti in questione, compresi gli aspetti tecnologici, i migliori dati scientifici disponibili e i metodi disponibili di ispezione, campionamento e prova”, che “qualora non sia possibile una completa valutazione dei rischi, le misure dovrebbero essere basate sul principio precauzionale” e che “nei casi in cui, a causa dell’incertezza scientifica o della mancanza di dati, i comitati scientifici non sono in grado di procedere ad una valutazione globale dei rischi […], conformemente all’obbligo di fornire un elevato livello di protezione, è verosimilmente necessario seguire un approccio cauto nei confronti della gestione dei rischi grazie all’applicazione del principio precauzionale”[82], e nel Libro Bianco sulla sicurezza alimentare – COM (1999) 719 del 12 gennaio 2000, in cui si legge che “ove appropriato, si applicherà il principio di precauzione nelle decisioni di gestione del rischio” e che “la Comunità ha l’obiettivo di chiarire e rafforzare l’esistente quadro nell’ambito dell’OMC per l’uso del principio di precauzione in relazione alla sicurezza alimentare, in particolare al fine di trovare una metodologia concordata quanto al raggio di azione in virtù di tale principio”[83],[84].

Con la suddetta Comunicazione, la Commissione “intende informare tutte le parti interessate […] sul modo in cui la Commissione applica o intende applicare il principio di precauzione al momento di adottare decisioni collegate alla limitazione dei rischi”; inoltre, “intende stabilire i principi di una comune comprensione dei fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione e chiariscono il suo ruolo nell’adozione delle decisioni, individuando gli orientamenti per la sua applicazione sulla base di principi logici e coerenti” ed “evitare un ingiustificato ricorso al principio di precauzione, che in alcuni casi potrebbe fungere da giustificazione per un protezionismo mascherato”[85].

Innanzitutto, la Commissione specifica che, sebbene il Trattato di Maastricht parli del principio di precauzione “solo in riferimento alla protezione dell’ambiente”, esso ha una portata più ampia e che, quindi, trova applicazione non solo nell’ambito della tutela ambientale, ma “in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità”[86].

Inoltre, la Commissione specifica che il principio di precauzione rientra nell’ambito di un processo decisionale la cui struttura comprende tre elementi – la valutazione del rischio, la gestione del rischio e la comunicazione del rischio[87] – ma che esso viene essenzialmente utilizzato nella fase di gestione del rischio: è in tale seconda fase, infatti, che i responsabili politici valutano se agire e, se del caso, come possono agire per ridurre il rischio ad un livello che può essere sopportato dalla società[88].

Si badi bene che, con la suddetta Comunicazione, la Commissione non si limita soltanto a queste enunciazioni, ma si spinge addirittura a fissare delle regole per l’applicazione del principio di precauzione[89].

L’applicazione del principio di precauzione postula l’esistenza di un’incertezza scientifica[90], infatti, la stessa Commissione sottolinea che “il ricorso al principio di precauzione interviene unicamente in un’ipotesi di rischio potenziale, anche se questo rischio non può essere interamente dimostrato, o la sua portata quantificata o i suoi effetti determinati per l’insufficienza o il carattere non concludente dei dati scientifici”[91].

Tuttavia, la Commissione avverte che per ricorrere al principio di precauzione è necessario, innanzitutto, procedere all’identificazione degli “effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimento”[92], ed effettuare “una valutazione dei dati scientifici relativi ai rischi[93][94].

Tali valutazioni, da affidare ad un gruppo di esperti se necessario al fine di ottenere risultati oggettivi e completi[95], richiedono “dati scientifici affidabili e un ragionamento rigorosamente logico che porti ad una conclusione la quale esprima la possibilità del verificarsi e l’eventuale gravità del pericolo sull’ambiente o sulla salute di una popolazione data, compresa la portata dei possibili danni, la persistenza, la reversibilità e gli effetti ritardati”[96].

Inoltre, la Commissione invita, laddove possibile, a redigere “una relazione comprendente una valutazione delle conoscenze esistenti e delle informazioni disponibili, oltre ai pareri degli scienziati sull’affidabilità della valutazione ed un’indicazione sulle persistenti incertezze. Se necessario, la relazione dovrebbe anche contenere l’identificazione delle linee di sviluppo delle ricerche scientifiche successive”[97].

Una volta che sono stati identificati gli effetti negativi che possono scaturire da un fenomeno e si è proceduto a valutare il rischio, i responsabili politici si trovano di fronte ad un bivio, ovvero scegliere se agire o non agire[98].

La Commissione precisa che, “al momento di decidere se intraprendere azioni basate sul principio di precauzione”, i responsabili politici dovrebbero compiere “una valutazione delle potenziali conseguenze dell’inazione e delle incertezze della valutazione scientifica” e che “la mancanza di prove scientifiche dell’esistenza di un rapporto causa/effetto, un rapporto quantificabile dose/risposta o una valutazione quantitativa della probabilità del verificarsi di effetti negativi causati dall’esposizione non dovrebbero essere utilizzati per giustificare l’inazione”[99].

Nel caso in cui si ritenga necessario agire possono essere emanate delle misure; tuttavia, la Commissione osserva che “il ricorso al principio di precauzione non si traduce necessariamente nell’adozione di atti finali volti a produrre effetti giuridici […]” in quanto, i responsabili politici hanno a disposizione “una vasta gamma di azioni”[100] (ad es. il finanziamento di un programma di ricerca o fare informazione sui possibili effetti negativi di un prodotto o di un procedimento).

Per quanto riguarda le misure precauzionali, la Commissione, rimarcando ancora una volta la necessarietà delle valutazioni scientifiche, avverte che non possono assolutamente essere arbitrarie[101]; inoltre, elenca una serie di principi generali che devono essere applicati “a qualunque misura di gestione dei rischi”[102] e, quindi, anche quando si invoca al il principio di precauzione[103].

In base a questi principi, “le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere […] proporzionali rispetto al livello di tutela prescelto[104], non discriminatorie nella loro applicazione[105], coerenti con misure analoghe già adottate[106], basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici)[107], soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici[108], e in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio[109][110].

3.4. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione a seguito della Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione – COM (2000) 1

Successivamente alla Comunicazione della Commissione, il principio di precauzione viene normativamente accolto in svariati settori e ciò testimonia il fatto che l’intervento della Commissione ha fatto si che il principio di precauzione assurgesse a qualità di principio di portata generale applicabile in tutti quei casi nei quali, a causa dell’incertezza scientifica, non è possibile “determinare con sufficiente certezza il rischio”[111] che si possano produrre effetti dannosi, oltre che per l’ambiente, anche per la salute umana, animale o vegetale[112].

In particolare, il riferimento al principio di precauzione si ritrova in numerosi testi normativi emanati nel settore ambientale (direttiva 2000/60/CE[113] che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque; regolamento 2013/525/UE[114] relativo a un meccanismo di monitoraggio e comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra e di comunicazione di altre informazioni in materia di cambiamenti climatici a livello nazionale e dell’Unione europea), ma anche nel settore alimentare (regolamento 2002/178/CE[115] che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare; regolamento 2008/1333/CE[116] relativo agli additivi alimentari; direttiva 2002/32/CE[117] relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali; direttiva 2006/141/CE[118] riguardante gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento), nel settore sanitario (regolamento 2001/999/CE[119] recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili; decisione 2007/1350/CE[120] che istituisce un secondo programma d’azione comunitaria in materia di salute relativo al quinquennio 2008-2013), nel settore chimico (regolamento 2006/1907/CE[121] concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, che istituisce un’agenzia europea per le sostanze chimiche), nel settore dei giocattoli (direttiva 2009/48/CE[122] sulla sicurezza dei giocattoli) e nel settore agrario (regolamento 2003/1303/UE[123] recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca)[124].

Inoltre, si badi che, sebbene la Commissione sia stata la prima a pronunciarsi relativamente al principio di precauzione, sul tema sono intervenuti, facendole eco nello stesso anno, anche il Comitato economico e sociale con il parere sul tema “il ricorso al principio di precauzione”[125], il Consiglio con la Risoluzione sul principio di precauzione[126] e il Parlamento europeo con la Risoluzione sulla Comunicazione della Commissione sul ricorso al principio di precauzione[127].

È interessante notare che i documenti citati hanno dei punti in comune, ovvero, l’apprezzamento per il lavoro svolto dalla Commissione, la condivisione dei punti da essa affrontati e, soprattutto, l’invito rivolto alla Commissione ad estendere l’orientamento sul principio di precauzione anche al di fuori dell’ambito comunitario, ed in particolare all’ordinamento dell’OMC[128].

Tuttavia, la ricostruzione del principio di precauzione non è stata (né può essere) solo opera del legislatore e dei responsabili politici, ma anche dei giudici.

Infatti, se è vero che l’applicazione del principio di precauzione è una prerogativa dei responsabili politici, è altrettanto vero che i giudici concorrono a circoscrivere la portata del principio stesso poiché quest’ultima è “collegata all’evoluzione giurisprudenziale” che, a sua volta, è “influenzata dai valori sociali e politici di una società in un certo momento storico”[129].

In particolare, è con le sentenze pronunciate nei noti casi “Greenpeace France” (2000)[130], “Commissione c/Francia” (2001)[131], “Pfizer Animal Health SA/Consiglio” (2002)[132], “Artegodan” (2002)[133], “Commissione/Regno di Danimarca” (2003)[134], “Solvay” (2003)[135] e “Greenham e Abel” (2004)[136] che il Tribunale di primo grado e la Corte di Giustizia hanno offerto un grande contributo sul tema del principio di precauzione e ciò testimonia il fatto che il lavoro di ricostruzione dello stesso presuppone un sincronismo, un (continuo) lavoro corale tra i soggetti che possono applicarlo e coloro che possono influenzarne l’applicazione, ovvero, tra la società, il legislatore, i responsabili politici e i giudici[137].

4. Il principio di precauzione nell’ordinamento italiano

Nell’ordinamento italiano nessuna norma definisce il principio di precauzione né come esso debba essere applicato; tuttavia, sin dall’emanazione della Comunicazione sul principio di precauzione, numerose norme di diritto interno hanno fatto espresso rinvio al diritto comunitario[138].

Un primo rinvio al principio di precauzione si rinviene nella legge 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), il cui art. 1, comma 1, dispone che “la presente legge ha lo scopo di dettare i principi fondamentali diretti a: a) assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione; b) promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea; c) assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili”[139].

Un altro rinvio al principio di precauzione si rinviene nel decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 212, che attua le direttive 98/95/CE e 98/96/CE concernenti la commercializzazione dei prodotti sementieri, il catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole e relativi controlli[140].

In esso si legge che “[…] al fine di assicurare la tutela della salute umana e dell’ambiente, detta attuazione avviene nel rispetto del principio di precauzione di cui all’articolo 174, par. 2, del Trattato di Amsterdam” (art. 1).

Il principio di precauzione è espressamente richiamato anche dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, che attua la direttiva 2001/18/CE concernente l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati[141].

Infatti, in esso si legge che “il presente decreto stabilisce, nel rispetto del principio di precauzione, le misure volte a proteggere la salute umana, animale e l’ambiente relativamente alle attività di rilascio di organismi geneticamente modificati […] nei confronti della: a) emissione deliberata per scopi diversi dall’immissione sul mercato; b) immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti” (art. 1, comma 1) e che “l’autorità nazionale competente […] assicura che siano adottate, nel rispetto del principio di precauzione, tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute umana, animale e sull’ambiente che potrebbero derivare dall’emissione deliberata dall’immissione sul mercato di OGM” (art. 5, comma 3, lettera a)).

Un altro richiamo al principio di precauzione si trova nella legge 15 dicembre 2004, n. 308, il cui art. 1, comma 8, dispone che i decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative in materia ambientale si conformano, oltre ad altri principi e criteri direttivi generali, anche ai principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio “chi inquina paga” (lettera f))[142].

Un ulteriore riferimento al principio di precauzione si trova nel decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo), il cui art. 107, comma 4, dispone che quando le amministrazioni competenti  adottano misure per verificare se i prodotti immessi sul mercato siano sicuri, devono tener conto del principio di precauzione (concetto ribadito anche al successivo comma 5) e agire “nel rispetto del Trattato istitutivo della Comunità europea, in particolare degli articoli 28 e 30, per attuarle in modo proporzionato alla gravità del rischio”[143].

Numerosi riferimenti al principio di precauzione sono contenuti anche nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente o Testo Unico Ambientale – TUA), il quale dispone che “la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale” (art. 3-ter[144]), che “ai fini della tutela delle acque sotterranee dall’inquinamento e per promuovere un razionale utilizzo del patrimonio idrico nazionale, tenuto anche conto del principio di precauzione per quanto attiene al rischio sismico e alla prevenzione di incidenti rilevanti, nelle attività di ricerca o coltivazione di idrocarburi rilasciate dallo Stato sono vietati la ricerca e l’estrazione di shale gas e di shale oil e il rilascio dei relativi titoli minerari” (art. 144, comma 4-bis[145], primo capoverso), che “la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio «chi inquina paga»” (art. 178[146], primo capoverso), che “con riferimento a singoli flussi di rifiuti è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall’ordine di priorità di cui al comma 1[147] qualora ciò sia giustificato, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse” (art. 179[148], comma 3), e che “in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione. L’applicazione del principio di cui al comma 1 concerne il rischio che comunque possa essere individuato a seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva. […] Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, in applicazione del principio di precauzione, ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione […] che risultino: a) proporzionali rispetto al livello di protezione che s’intende raggiungere; b) non discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate; c) basate sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri; d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio promuove l’informazione del pubblico quanto agli effetti negativi di un prodotto o di un processo e […] può finanziare programmi di ricerca, disporre il ricorso a sistemi di certificazione ambientale ed assumere ogni altra iniziativa volta a ridurre i rischi di danno ambientale” (art. 301, commi 1, 2, 4 e 5)[149].

Nel diritto amministrativo, invece, nessuna norma fa riferimento al principio di precauzione; tuttavia, esso esplica comunque la sua funzione “in virtù del richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario”[150] operato dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241[151], il quale dispone che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”[152].

4.1. Interpretazione ed applicazione del principio di precauzione nell’ordinamento italiano: la giurisprudenza della Corte Costituzionale

La costante necessità di un corretto bilanciamento degli interessi che possono confliggere è stata avvertita anche nell’ordinamento interno, infatti, come quella comunitaria ed internazionale, anche la giurisprudenza italiana (costituzionale e amministrativa) si è pronunciata in ordine all’applicazione del principio di precauzione[153].

Una prima pronuncia relativa al principio in esame si rinviene nella sentenza 19 giugno 2002, n. 282[154] con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale[155] della legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26 che, al fine di “tutelare la salute dei cittadini e garantire l’integrità psicofisica delle persone” (art. 1), disponeva, in applicazione del principio di precauzione, la sospensione di determinate pratiche terapeutiche (terapia elettroconvulsivante, lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia) in attesa che il Ministero della salute provasse che tali terapie fossero efficaci e risolutive e che non fossero causa di danni temporanei o permanenti alla salute del paziente (art. 2): in altre parole, la Regione Marche aveva addotto come motivo della sospensione l’accertata pericolosità delle suddette pratiche terapeutiche e l’incertezza relativa alla loro efficacia terapeutica e ai possibili effetti collaterali dannosi per la salute del paziente.

Secondo la Corte Costituzionale, “salvo che entrino in gioco diritti o doveri costituzionali, non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni […]”[156].

“Tutto ciò non significa che al legislatore sia senz’altro preclusa ogni possibilità di intervenire. Così, ad esempio, sarebbe certamente possibile dettare regole legislative dirette a prescrivere procedure particolari per l’impiego di mezzi terapeutici «a rischio»[157], onde meglio garantire – anche eventualmente con il concorso di una pluralità di professionisti – l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie. Ma un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati, dato che l’«essenziale rilievo»[158] che, a questi fini, rivestono «gli organi tecnico-scientifici»[159]; o comunque dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica”[160].

“Nella specie, l’intervento regionale contestato dal Governo non si fonda né pretende di fondarsi su specifiche acquisizioni tecnico-scientifiche verificate da parte degli organi competenti, ma si presenta come una scelta legislativa autonoma, dichiaratamente intesa a scopo cautelativo, in attesa di futuri accertamenti che dovrebbero essere compiuti dall’autorità sanitaria nazionale […]”[161].

Come si evince dal testo della sentenza, l’orientamento della Corte Costituzionale non si discosta da quello della Commissione e della giurisprudenza comunitaria, infatti, anch’essa sottolinea il fatto che le misure adottate in applicazione del principio di precauzione devono essere necessariamente basate su dati scientifici e non su rischi ipotetici: sottolinea, quindi, la necessarietà delle valutazioni scientifiche.

Tuttavia, l’indagine effettuata dalla Corte Costituzionale riguarda esclusivamente l’esistenza dei dati scientifici su cui si fondano le misure adottate, ma non anche l’effettiva esistenza di un’incertezza scientifica[162], infatti la stessa Corte sottolinea che le terapie in questione sono “[…] oggetto di considerazioni non sempre omogenee fra gli specialisti”[163],[164].

Un’importante pronuncia della Corte Costituzionale relativa al bilanciamento degli interessi si rinviene nella sentenza 7 ottobre 2003, n. 307[165] in tema di inquinamento elettromagnetico (c.d. elettrosmog), con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale[166] delle disposizioni di quattro leggi regionali (legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 25, “Disciplina regionale in materia di impianti fissi di radiocomunicazione al fine della tutela ambientale e sanitaria della popolazione”[167]; legge della Regione Campania 24 novembre 2001, n. 13, “Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti”[168]; legge della Regione Puglia 8 marzo 2002, n. 5, “Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto da sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300 GHz”[169]; legge della Regione Umbria 14 giugno 2002, n. 9, “Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”[170]) che, al fine di tutelare la salute umana, prevedevano l’abbassamento dei valori-soglia di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici fissati dalla legislazione statale.

La Corte Costituzionale sottolinea che l’art 4, comma 1, lettera a), della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) affida allo Stato il compito di determinare i valori-soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità definiti come valori di campo), mentre alle Regioni affida il compito di disciplinare l’uso del territorio “in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l’impatto negativo degli impianti sul territorio […] oltre che la disciplina dei procedimenti autorizzativi”[171]; pertanto “i valori-soglia […], la cui fissazione è rimessa allo Stato” non possono “essere modificati dalla Regione, fissando valori-soglia più bassi, o regole più rigorose o tempi più ravvicinati per la loro adozione”[172].

La Corte prosegue analizzando la ratio di tale fissazione: “se essa consistesse esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico, potrebbe invero essere lecito considerare ammissibile un intervento delle Regioni che stabilisse limiti più rigorosi rispetto a quelli fissati dallo Stato, in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici territori, con effetti di maggiore protezione dei valori tutelati. Ma in realtà, nella specie, la fissazione di valori-soglia risponde ad una ratio più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche (e da questo punto di vista la determinazione delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non pregiudicare il valore protetto); dall’altro, si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, […] come quelli che fanno capo alla distribuzione dell’energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. […] In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese […]. Tutt’altro discorso è a farsi circa le discipline localizzative e territoriali. A questo proposito è logico che riprenda pieno vigore l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi”[173],[174].

Una pronuncia connessa a quella appena esaminata, si rinviene nella sentenza 7 novembre 2003, n. 331[175] con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale[176] dell’art. 3, comma 12, lettera a), della legge della Regione Lombardia 6 marzo 2002, n. 4 (Norme per l’attuazione della programmazione regionale e per la modifica e l’integrazione di disposizioni legislative) che, al fine di tutelare la salute umana, disponeva il divieto di installare impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze.

Secondo la Corte Costituzionale “i compiti […] in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, indubbiamente spettano allo Stato in forza delle sue competenze in materia di tutela dell’ambiente, a norma della lettera s) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione, e in materia di tutela della salute, a norma del terzo comma del medesimo art. 117. Su tali competenze si basa la legge quadro n. 36 del 2001. Essa contiene «principi fondamentali diretti a: a) assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione; b) […] attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea», e «c) assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio […]» (art. 1). Nell’ambito di tali finalità, la legge quadro affronta specificamente il problema della protezione speciale degli ambienti abitativi, degli ambienti scolastici e dei luoghi adibiti a permanenze prolungate, in vista delle finalità di cui all’art. 1, lettere b) e c), della legge medesima, prevedendo speciali valori di attenzione[177] [art. 3, comma 1, lettera c)] più rigorosi dei generali limiti di esposizione[178] posti a salvaguardia della salute della popolazione in generale [art. 3, comma 1, lettera b)]. Tali valori di attenzione sono i valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerati come valori di immissione, che non devono essere superati nei luoghi suddetti. La normativa in questione, tuttavia, indiscutibilmente incide anche sulla funzione di governo del territorio la cui disciplina legislativa, in base al terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, spetta alle Regioni. Conseguentemente, il numero 1) della lettera d) dell’art. 3, prevedendo (dopo i limiti di esposizione e i valori di attenzione) gli obiettivi di qualità[179] cui deve tendere il dispiegamento sul territorio della rete di impianti di telecomunicazioni, tra questi comprendendo i «criteri localizzativi»[180], ne affida la determinazione alle leggi regionali, secondo quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 36 stessa”[181].

La Corte prosegue argomentando che “per far fronte alle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall’esposizione a campi elettromagnetici, il legislatore statale, con le anzidette norme fondamentali di principio, ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti, un criterio che è essenzialmente diverso da quello stabilito […] dalla legge regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione. Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, è sufficiente il richiamo alla competenza regionale in materia di governo del territorio, che la legge quadro, al numero 1) della lettera d) dell’art. 3, riconosce quanto a determinazione dei «criteri localizzativi»[182]. A tale concetto non possono infatti ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da «criteri di localizzazione»[183] in «limitazioni alla localizzazione»[184], dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d’altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi”[185],[186].

Nella sentenza 14 novembre 2003, n. 338[187], tornando a pronunciarsi sul tema già affrontato nella sentenza n. 282 del 2000, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale[188] delle disposizioni di due leggi regionali (legge della Regione Piemonte 3 giugno 2002, n. 14[189]; legge della Regione Toscana 28 ottobre 2002, n. 39[190]) che, al fine di tutelare la salute umana, limitavano l’utilizzo di determinate pratiche terapeutiche[191] (terapia elettroconvulsivante, lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia).

La Corte Costituzionale, richiamando la sentenza n. 282 del 2002, ribadisce ancora una volta che “scelte legislative dirette a limitare o vietare il ricorso a determinate terapie […] non sono ammissibili ove nascano da pure valutazioni di discrezionalità politica, e non prevedano «l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati», né costituiscano «il risultato di una siffatta verifica»”.

Inoltre, la Corte prosegue affermando che “[…] stabilire il confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia, collocandosi «all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente […] e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica», diritti la cui tutela non può non darsi in condizioni di fondamentale eguaglianza su tutto il territorio nazionale. Da ciò discende che interventi legislativi regionali […] sono costituzionalmente illegittimi ove pretendano di incidere direttamente sul merito delle scelte terapeutiche in assenza di – o in difformità da – determinazioni assunte a livello nazionale, e quindi introducendo una disciplina differenziata, su questo punto, per una singola Regione. […] Nulla vieta invece che le Regioni, responsabili per il proprio territorio dei servizi sanitari, dettino norme di organizzazione e di procedura, o norme concernenti l’uso delle risorse pubbliche in questo campo: anche al fine di meglio garantire l’appropriatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie per l’utilizzo di mezzi terapeutici rischiosi o destinati ad impieghi eccezionali e ben mirati […]”[192],[193].

Con la sentenza 11 giugno 2004, n. 166[194], la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale[195] delle disposizioni della legge della Regione Emilia-Romagna 1° agosto 2002, n. 20 (Norme contro la vivisezione) che vieta l’allevamento, l’utilizzo e la cessione di animali (in particolare, cani e gatti) ai fini di sperimentazione e la vivisezione a scopo didattico sugli animali (art. 2).

La Corte Costituzionale osserva che la tutela degli animali sottoposti a sperimentazioni a scopo scientifico e didattico è garantita sia dalla legge 12 giugno 1931, n. 924[196], sia dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 116, che ha recepito la direttiva 86/609/CEE; inoltre, sottolinea che il citato decreto legislativo prevede una disciplina “fortemente restrittiva della stessa libertà di sperimentazione”, infatti, “il legislatore statale, […] nell’esercizio del proprio potere di determinare i principi fondamentali della materia, non si è limitato a recepire il livello di tutela previsto dalla normativa comunitaria, ma ha […] dettato una disciplina in parte più rigida delle prescrizioni della direttiva europea, peraltro attraverso una regolamentazione uniforme per tutto il territorio nazionale”.

Secondo la Corte, quindi, “la legislazione vigente […] bilancia attentamente il doveroso rispetto verso gli animali sottoposti a sperimentazione e l’interesse collettivo alle attività di sperimentazione su di essi che sono ritenute indispensabili, sulla base delle attuali conoscenze di tipo scientifico, sia dall’ordinamento nazionale che dall’ordinamento comunitario”[197] e, pertanto, ne consegue il divieto che le norme del decreto legislativo n. 116 del 1992 “possano essere sostanzialmente modificate ad opera dei legislatori regionali, riducendo ulteriormente la relativa libertà della ricerca scientifica o comprimendo l’attuale livello di tutela degli animali sottoponibili a sperimentazione”[198],[199].

Un’importante pronuncia della Corte Costituzionale sul tema del principio di precauzione si rinviene nella sentenza 24 ottobre 2005, n. 406[200] con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale[201] degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 1° aprile 2004, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di zootecnica): l’art. 1 disponeva, in applicazione del principio di precauzione, la sospensione della campagna di profilassi della febbre catarrale degli ovini (“blue tongue”) nell’ambito del territorio regionale, mentre l’art. 2 consentiva, nello stesso periodo di sospensione, la movimentazione, la commercializzazione e la macellazione dei capi animali non vaccinati, nell’ambito del territorio regionale.

Secondo la Corte Costituzionale “non vi è […] dubbio che la sospensione della campagna di profilassi obbligatoria contro la febbre catarrale degli ovini, ai sensi dell’art. 1 della legge della Regione Abruzzo n. 14 del 2004, e la possibilità che nello stesso periodo i capi non vaccinati possano essere movimentati, commercializzati e macellati, ai sensi dell’art. 2 della medesima legge, si pongano in palese contrasto con alcune delle prescrizioni fondamentali della normativa europea di cui alla direttiva 2000/75/CE del 20 novembre 2000, così ponendo anche a rischio la complessiva opera di profilassi a livello europeo. Né è certo sostenibile – come argomentato dalla difesa regionale – che la disapplicazione all’interno di un’area regionale della normativa sopranazionale non incida sulla sua complessiva efficacia, che evidentemente presuppone una uniformità di comportamenti per ridurre i rischi di contagio. D’altronde non può essere condiviso il tentativo della difesa regionale di utilizzare il principio comunitario di precauzione di cui all’art. 174 del Trattato istitutivo della Comunità europea per giustificare la disciplina legislativa impugnata: questo principio, infatti, rappresenta un criterio direttivo che deve ispirare l’elaborazione, la definizione e l’attuazione delle politiche ambientali della Comunità europea sulla base di dati scientifici sufficienti e attendibili valutazioni scientifiche circa gli effetti che possono essere prodotti da una determinata attività, ma non può certo essere addotto dai destinatari di una normativa comunitaria ad esso ispirata per negarle attuazione”[202].

La Corte Costituzionale, quindi, respinge le argomentazioni della Regione Abruzzo nel punto in cui sostiene che le misure sono state adottate in applicazione del principio di precauzione poiché l’applicazione del principio di precauzione non può essere invocato al fine di ridurre un determinato livello di tutela della salute umana, ma al fine di salvaguardarlo o innalzarlo[203].

Un’importante pronuncia relativa al bilanciamento degli interessi, si rinviene nella sentenza 17 marzo 2006, n. 116[204] sugli OGM, con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale[205] delle disposizioni del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 recante “Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica”[206].

Secondo la Corte Costituzionale “[…] la formulazione e specificazione del principio di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il punto di sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo costituzionale, costituiti da un lato dalla libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo e dall’altro lato dall’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute”.

Inoltre, la Corte, richiamando la sentenza n. 282 del 2002, prosegue ribadendo che “l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può essere giustificata costituzionalmente solo sulla base di «indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici»”.

Infine, afferma che “l’elaborazione di tali indirizzi non può che spettare alla legge dello Stato, chiamata ad individuare il «punto di equilibrio fra esigenze contrapposte» (sentenza n. 307 del 2003), che si imponga, in termini non derogabili da parte della legislazione regionale, uniformemente sull’intero territorio nazionale (sentenza n. 338 del 2003)”[207],[208].

Tra le più recenti pronunce sul bilanciamento degli interessi, occorre porre l’attenzione sulla sentenza 9 maggio 2013, n. 85 (“caso ILVA”)[209] con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale[210] delle disposizioni del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale)[211], il quale dispone che “in caso di stabilimento di interesse  strategico nazionale, […] quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati […] non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano  adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione […], al fine di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili” (art. 1).

Secondo la Corte Costituzionale “la ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”.

Inoltre, la Corte sottolinea che l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’art. 32 Cost., non è rivelatore di un “carattere preminente” e che “la qualificazione come «primari»[212] dei valori dell’ambiente e della salute significa […] che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto”[213].

Secondo la Corte, la norma censurata non annienta il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico[214]; infatti, la “prosecuzione dell’attività produttiva” è condizionata “alla puntuale osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio […] nel quale […] devono trovare simultanea applicazione i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale. Il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA […] rappresenta lo strumento attraverso il quale si perviene […] all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi, che derivano dall’attività oggetto dell’autorizzazione. Una volta raggiunto tale punto di equilibrio, diventa decisiva la verifica dell’efficacia delle prescrizioni”[215]: se sono inefficaci, l’amministrazione deve aprire il procedimento di riesame “che sfocia nel rilascio di un’AIA «riesaminata»[216][217], la quale “indica un nuovo punto di equilibrio, che consente […] la prosecuzione dell’attività produttiva a diverse condizioni, nell’ambito delle quali l’attività stessa deve essere ritenuta lecita nello spazio temporale massimo (36 mesi), considerato dal legislatore necessario e sufficiente a rimuovere […] le cause dell’inquinamento ambientale e dei pericoli conseguenti per la salute delle popolazioni”[218]. Il punto di equilibrio contenuto nell’AIA non è necessariamente il migliore in assoluto – essendo ben possibile nutrire altre opinioni sui mezzi più efficaci per conseguire i risultati voluti – ma deve presumersi ragionevole […]”[219],[220].

In ultimo, è d’obbligo menzionare la sentenza 5 dicembre 2014, n. 274 (“caso Stamina”)[221] con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità[222] dell’art. 2 del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria)[223] il quale limita l’uso di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali consentendone l’utilizzo solo al fine di completare i trattamenti avviati prima della sua entrata in vigore del decreto-legge stesso.

La Corte Costituzionale, richiamando la sentenza n. 282 del 2002, sottolinea ancora una volta che le “decisioni sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non potrebbero nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, bensì dovrebbero prevedere «l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali e sovranazionali – a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che a questi fini rivestono gli organi tecnico-scientifici»”.

Inoltre, la Corte ammette che “il legislatore del 2013 – nel dare corso ad una «sperimentazione […] concernente l’impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali» – ha parzialmente derogato ai principi di cui sopra” in virtù del principio di continuità terapeutica, ma sottolinea che “lo ha fatto intervenendo nella particolare situazione fattuale, che vedeva, in concreto, già avviati trattamenti con cellule staminali per iniziativa di vari giudici che […] avevano ordinato a strutture pubbliche di effettuarli”[224].

4.1.1. La giurisprudenza amministrativa

Il riferimento al principio di precauzione si rinviene anche nella giurisprudenza amministrativa, ed in particolar modo nelle pronunce in tema di tutela ambientale.

Dall’analisi delle pronunce dei giudici amministrativi in relazione al principio di precauzione[225], si possono riassumere i tratti salienti del comune orientamento.

Innanzitutto, si sottolinea che “l’applicazione del principio di precauzione postula l’esistenza di un rischio per la salute e per l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa e gli effetti negativi che si prefigge di eliminare o ridurre”.

Inoltre, i giudici amministrativi sono concordi nell’affermare che “il principio di precauzione fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la salute pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione; l’applicazione del principio di precauzione, quindi, “comporta che quando non sono conosciuti con certezza i rischi connessi ad un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali”.

In riferimento alla situazione di pericolo, si osserva che il rischio “deve essere potenziale o latente, ma non meramente ipotizzato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente”; infatti, “l’adozione delle misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi che rilevi indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute. La valutazione dei rischi deve essere seria e prudenziale, condotta alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, e può anche condurre a non autorizzare l’attività pericolosa nel caso in cui, anche utilizzando le migliori tecniche disponibili, non sia possibile scongiurare con ragionevole certezza l’insorgere di danni per l’ambiente e per la salute”.

In ultimo, si evidenzia il fatto che il principio di precauzione lascia alle autorità competenti “ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanze del caso concreto”; tuttavia, esso “va armonizzato, nella sua concreta attuazione, con quello di proporzionalità, nella ricerca di un equilibrato bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco”.

5. Il principio di prevenzione

Per completezza della trattazione si ritiene opportuno accennare brevemente anche al principio di prevenzione e ciò al fine di tracciare le differenze tra il suddetto principio e il principio di precauzione; questi due principi, infatti, pur essendo spesso confusi o ritenuti analoghi, non presuppongono gli stessi requisiti per la loro applicazione.

Se è vero che il principio di precauzione può riassumersi nell’aforisma “prevenire è meglio che curare”, inteso come generalizzazione moderna del principio “primum non nocere” (Ippocrate)[226], tuttavia, occorre tenere a mente che una cosa è la precauzione, altra cosa è la prevenzione e ciò è avvalorato dal fatto che lo stesso art. 191 TFUE distingue i due principi, infatti, dispone che “la politica dell’Unione in materia ambientale […] è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva […]”.

Il principio di prevenzione, invero, presenta tratti comuni al principio di precauzione, infatti, entrambi consentono di realizzare una tutela anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno, tuttavia, ed è questo l’elemento differenziale, il principio di precauzione, come visto sopra, postula l’esistenza di un’incertezza scientifica che non consente di “determinare con sufficiente certezza il rischio”[227] (rischio potenziale)[228]; il principio di prevenzione, invece, presuppone l’esistenza di un rischio la cui esistenza è oggettivamente provata (rischio oggettivo)[229],[230].


[1] B. Bertarini, Tutela della salute, principio di precauzione e mercato del medicinale. Profili di regolazione giuridica europea e nazionale, Torino, Giappichelli, 2016, p. XIII.
[2] F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, Giuffrè, 2005, p. 369.
[3] F. De Leonardis, ivi, p. 349.
[4] U. Beck, Risikogesellschaft. Auf dem Weg zu eine andere Moderne, Frankfurt, 1986. Trad. italiana: W. Privitera, C. Sandrelli (a cura di), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, Carocci, 2000
[5] D. Lamanna Di Salvo, L’influenza del fattore “rischio” nella gestione aziendale, in C. Riviezzo (a cura di), L’impresa in tempo di crisi. Riorganizzazione e strumenti di soluzione – Rapporti di lavoro con banche e fisco, Milano, Giuffrè, 2010, p. 4.
[6] “[…] Spetta al Sindaco, nella Sua veste di ufficiale di Governo e massima autorità sanitaria locale in ossequio all’art. 32 della Costituzione ed al principio di precauzione sancito dal diritto comunitario e dall’art. 3-ter del D. L.vo. n. 152/2006, al fine di fronteggiare la minaccia di danni gravi ed irreversibili per i cittadini di adottare le migliori tecnologie disponibili e di assumere ogni misura e cautela volte a ridurre significativamente e, ove possibile, eliminare l’inquinamento elettromagnetico e le emissioni prodotte ed i rischi per la salute della popolazione”, Ord. Comune di Scanzano Jonico n. 93 del 18 luglio 2019, recante “divieto di sperimentazione e/o installazione del 5G”.
[7] In particolare, l’ordinanza fa riferimento a: quattro studi (Rea 1991; Havas 2006, 2010; McCarty et al. 2011) secondo i quali è possibile identificare persone con ipersensibilità elettromagnetica e dimostrare che possono essere testati usando risposte obiettive, misurabili, dimostrando che questi soggetti sono realmente ipersensibili se confrontati con i normali controlli; studi che dimostrano che ci sono veri e propri cambiamenti fisiologici nei soggetti con elettrosensibilità; due studi (De Luca, Raskovic, Pacifico, Thai, Korkina 2011 e Irigaray, Caccamo, Belpomme 2018) che hanno dimostrato che le persone elettrosensibili hanno alti livelli di stress ossidativo e una prevalenza di alcuni polimorfismi genetici che potrebbero suggerire una predisposizione genetica; rapporto finale (diffuso il 1° novembre 2018 dal National Toxicology Program) di uno studio su cavie animali  dal quale è emersa una “chiara evidenza che i ratti maschi esposti ad alti livelli di radiazioni da radiofrequenza, come 2G e 3G, sviluppino rari tumori delle cellule nervose del cuore” e “alcune evidenze di tumori al cervello e alle ghiandole surrenali”; primi risultati (diffusi nel marzo 2018) di uno studio  condotto dall’Istituto Ramazzini di Bologna (Centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni) che ha considerato esposizioni alle radiofrequenze della telefonia mobile mille volte inferiori a quelle utilizzate nello studio sui telefoni cellulari del National Toxicologic Program, riscontrando gli stessi tipi di tumore (sono emersi aumenti statisticamente significativi nell’incidenza degli schwannomi maligni, tumori rari delle cellule nervose del cuore, nei ratti maschi del gruppo esposto all’intensità di campo più alta, 50 V/m. Inoltre, è stato individuato un aumento del’incidenza di altre lesioni, già riscontrate nello studio dell’NTP: iperplasia delle cellule di Schwann e gliomi maligni alla dose più elevata). Inoltre l’ordinanza fa riferimento al fatto che il Parlamento Europeo nella Risoluzione del 2009 e l’Assemblea del Consiglio d’Europa con la Risoluzione 1815/2011 hanno richiamato gli Stati membri a riconoscere l’elettrosensibilità come una disabilità; al fatto che riscontrati gli “effetti nocivi sulla salute umana”, il 15 gennaio 2019 il TAR Lazio (con sentenza n. 500/2019) ha disposto che il ministero della Salute, il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca devono “adottare una campagna informativa avente ad oggetto l’individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e l’informazione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un uso improprio di tali apparecchi; al fatto che una serie di sentenze emesse nell’ultimo decennio dalla magistratura internazionale e italiana attestano il danno da elettrosmog, l’elettrosensibilità e il nesso causale telefonico-cancro; al fatto che nel 2011 la IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato i campi elettromagnetici delle radiofrequenze come possibili cancerogeni per l’uomo.
[8] Ord. Comune di Scanzano Jonico n. 93 del 18 luglio 2019, ivi.
[9] Ord. Comune di Scanzano Jonico n. 93 del 18 luglio 2019, ivi.
[10] Ord. Comune di Scanzano Jonico n. 93 del 18 luglio 2019, ivi.
[11] In particolare, l’ordinanza richiama il documento pubblicato nel 2019 dal Comitato scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti (SCHEER) della Commissione europea.
[12] B. Bertarini, op. cit., p. 4 ss.
[13] F. De Leonardis, op. cit., p. 3. Le parole “amministrazione precauzionale” sono virgolettate nel testo originale.
[14] F. De Leonardis, ivi, p. 3-4; C. Petrini, Bioetica, ambiente, rischio. Evidenze, problematicità, documenti istituzionali nel mondo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 108; G. Grasso, L’esposizione ai campi elettromagnetici inquinanti: la tutela giurisdizionale in sede civile, in F. Alcaro et al. (a cura di), Valori della persona e modelli di tutela contro i rischi ambientali e genotossici. Esperienze a confronto, Firenze, Firenze University Press, 2008, p. 220; S. Spuntarelli, Normatività del principio di precauzione nel processo decisionale dell’amministrazione e legittimazione procedurale, in Costituzionalismo.it, 2015, 3, p. 3, <http://www.costituzionalismo.it>; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, Il principio di precauzione in materia ambientale. Tentativi di definizione a partire dal livello sovranazionale e dagli esempi italiano e francese, in Lexambiente.it, 2017, <http://www.lexambiente.it>; S. Zorzetto, Concetto di rischio e principio di precauzione (I parte), in Sintesidialettica, 2012, <http://www.sintesidialettica.it>.
[15] F. De Leonardis, ivi, p. 4; B. Bertarini, op. cit., p. 31; C. Palmiero, Il principio di precauzione in ambito Internazionale, in Diritto.it, 2011, p. 2, <https://www.diritto.it>; M. Montini, La necessità ambientale nel diritto internazionale e comunitario, Padova, Cedam, 2001, p. 39; A. Barone, Il diritto del rischio, Milano, Giuffrè, 2006, p. 72; G. Andreone, Il principio di precauzione nel diritto internazionale del mare, in A. Bianchi, M. Gestri (a cura di), Il principio precauzionale nel diritto internazionale e comunitario, Milano, Giuffrè, 2006, p. 287-288.
[16] B. Bertarini, ivi, p. 24.
[17] B. Bertarini, ibid.
[18] Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, in Arpal, <https://www.arpal.gov.it>.
[19] F. De Leonardis, op. cit., p. 9; B. Bertarini, op. cit., p. 24; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, op. cit.; C. R. Sustein, Il diritto della paura. Oltre il principio di precauzione, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 30.
[20] Carta Mondiale della Natura, in Comune.lucca.it, <http://www.comune.lucca.it>.
[21] A. Sukhova, Precauzione e ALARA principle, l’esempio della radioprotezione del paziente, in G. Comandé (a cura di), Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione e responsabilità, Milano, Giuffè, 2006, p. 354.
[22] F. De Leonardis, op. cit., p. 11. La parola “consacrazione” è virgolettata nel testo originale.
[23] Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, in Ispra, <http://www.isprambiente.gov.it>.
[24] F. De Leonardis, op. cit., p. 11; C. Palmiero, op. cit., p. 2-3; C. Petrini, op. cit., p. 108; B. Bertarini, op. cit., p. 27 ss.; S. Spuntarelli, op. cit. p. 8; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, op. cit.; L. Butti, Principio di precauzione, ambiente e salute: aspetti generali e applicazione nel settore delle nanotecnologie, in Diritto.it, p. 4, <https://www.diritto.it>; Id., Principio di precauzione, codice dell’ambiente e giurisprudenza delle corti comunitarie e della corte costituzionale, in Riv. giur. ambiente, 2006, 6, p. 809 ss.; S. Di Benedetto, La funzione interpretativa del principio di precauzione in diritto internazionale, in Dir. comm. internaz., 2006, 2, p. 321 ss.; A. Fabbriccotti, Il principio di precauzione nel diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), in Riv. it. per le scienze giuridiche, 2014, p. 469.
[25] Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in Admin.ch, <https://www.admin.ch>.
[26] Convenzione sulla diversità biologica, in Admin.ch, <https://www.admin.ch>.
[27] F. De Leonardis, op. cit., p. 12; C. Palmiero, op. cit., p. 4; C. Petrini, op. cit., p. 108.
[28] Convenzione per la protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico Nord-orientale, in Eur-lex, <www.eur-lex.europa.eu>.
[29] “Le parti contraenti applicano il principio di precauzione, adottano, cioè, misure preventive ogniqualvolta si possa ragionevolmente presumere che sostanze o energie introdotte, direttamente o indirettamente, nell’ambiente marino possano rappresentare un rischio per la salute umana, danni per le risorse viventi e gli ecosistemi marini, danni alle amenità connesse all’ambiente marino o possano interferire con altri usi legittimi del mare, anche in assenza di una prova conclusiva del nesso causale tra immissioni nell’ambiente marino e loro effetti presunti”, art. 3, par. 3, della Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino della zona del Mar Baltico, in Eur-lex, <http://eur-lex.europa.eu>.
[30] Il protocollo sulla biosicurezza (Biosafety Protocol) fu inizialmente discusso con una sessione straordinaria della CBD a Cartagena (Colombia).
[31] B. Bertarini, op. cit., p. 30-31.
[32] Protocollo sulla Biosicurezza, in Minambiente.it, <http://www.minambiente.it>.
[33] B. Bertarini, op. cit., p. 38.
[34] Accordo GATT, in Unisalento.it, <https://www.unisalento.it>.
[35] G. Venturini (a cura di), L’organizzazione mondiale del commercio, Milano, Giuffrè, 2015, p. 103; Accordo SPS, in Salute.gov.it, <http://www.salute.gov.it>.
[36] S. Di Benedetto, op. cit.
[37] F. De Leonardis, op. cit., p. 6 ss.
[38] F. De Leonardis, ivi, p. 10-11; B. Bertarini, op. cit., p. 27-28; S. Di Benedetto, op. cit.
[39] Organi di I e II grado per la risoluzione delle controversie di natura commerciale nell’ambito dell’OMC.
[40] Nel caso “sigarette thailandesi” si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Thailandia che, al fine di tutelare la salute dei propri cittadini, impediva ad altri Paesi (nel caso specifico agli Stati Uniti) di esportarvi tabacco. Il Panel si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura restrittiva ritenendo che la salute dei cittadini thailandesi potesse essere tutelata con misure alternative, in International legal materials, <https://www.asil.org>.
[41] Nel primo caso “tonno-delfini” si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dagli Stati Uniti che impediva ad altri Paesi di esportarvi tonni pescati con tecniche di pesca non idonee a salvaguardare i delfini. Il Panel si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura restrittiva ritenendo non sussistente l’eccezione ambientale, in International legal materials, <https://www.asil.org>.
[42] Nel secondo caso “tonno-delfini” si controverteva circa la legittimità della misura restrittiva oggetto del primo caso “tonno-delfini” reiterata dagli Stati Uniti; anche in tal caso il Panel si pronunciò nel senso dell’illegittimità di tale misura, in International legal materials, <https://www.asil.org>.
[43] Nel caso “benzina americana” si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dagli Stati Uniti che, al fine di tutelare l’ambiente, imponeva standards differenziati agli importatori e ai produttori di benzina americani. Il Panel si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura restrittiva ritenendo che l’ambiente potesse essere tutelato con misure alternative, in International legal materials, <https://www.asil.org>.
[44] Nel caso “gamberetti-tartarughe” si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dagli Stati Uniti che impediva ad altri Paesi di esportarvi gamberetti pescati con tecniche di pesca non idonee a salvaguardare le tartarughe di mare. Il Panel si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura restrittiva ritenendo non sussistente l’eccezione ambientale, in International legal materials, <https://www.asil.org>.
[45] Nel caso “amianto” si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Francia che, al fine di salvaguardare la salute dei suoi cittadini, impediva al Canada di esportarvi amianto. Il Panel si pronunciò nel senso della legittimità della misura restrittiva ritenendo che la salute pubblica non potesse essere efficacemente tutelata con una misura alternativa. Lo stesso orientamento fu seguito dall’Appellate body che si pronunciò a seguito del ricorso proposto dal Canada avverso la pronuncia del Panel, in International legal materials, <https://www.asil.org>.
[46] F. De Leonardis, op. cit., p. 13 ss.; B. Bertarini, op. cit., p. 36 ss.; S. Spuntarelli, op. cit., p. 8.
[47] F. De Leonardis, ivi, p. 18 ss.; B. Bertarini, ivi, p. 31 ss.
[48] Firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 23 luglio 1952.
[49] Firmati a Roma il 25 marzo 1957 ed entrati in vigore il 1 gennaio 1958.
[50] Il nome del Trattato è stato successivamente cambiato in Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, e poi in Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
[51] In particolare: art. 69, comma 1, Trattato CECA; artt. 36, 48, 52 e 56, 135 TCEE; art. 2, comma 1, lettera b), Trattato Euratom.
[52] B. Bertarini, op. cit., p. 59 ss.
[53] Firmato il 17 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 28 febbraio 1986.
[54] B. Bertarini, op. cit., p. 63 ss; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, op. cit.; S. Cavaliere, La regolamentazione degli organismi geneticamente modificati e il principio di precauzione alla luce della sentenza della Corte di giustizia UE, causa C-111/16, in Osservatorio AIC, 2018, 1, p. 420-421, <https://www.osservatorioaic.it>; F. Follieri, Decisioni precauzionali e stato di diritto. La prospettiva della sicurezza alimentare (I parte), in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 6, p. 1495 ss.
[55] Atto unico europeo, in Wikisource.org, <https://it.wikisource.org>.
[56] Trattato di Maastricht o TCE firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 dai Paesi membri della Comunità europea ed entrato in vigore l’1 novembre 1993.
[57] P. Pallaro, Il principio di precauzione tra mercato interno e commercio internazionale: un’analisi del suo ruolo e del suo contenuto nell’ordinamento comunitario, in Dir. comm. internaz., 2002, XVI, 1, p. 16.
[58] O. Porchia, Le politiche dell’Unione europea in materia ambientale, in R. Ferrara, C. E. Gallo, Trattato di diritto dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2014, p. 155.
[59] Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, rinumera l’art. 130 R TCE art. 174. Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore l’1 dicembre 2009, rinumera l’art. 174 TCE art. 191 TFUE.
[60] B. Bertarini, op. cit., p. 66; F. De Leonardis, op. cit., p. 33; S. Spuntarelli, op. cit., p. 4; A. Postiglione, I grandi temi del nostro tempo: l’ambiente nel Trattato di Maastricht, in Dir. giur. agr. amb., 1998, 2, p. 70; L. Falomo, L’incidenza del Trattato di Maastricht sul diritto comunitario ambientale, in Riv. dir. eur., 1992, 3, p. 598; S. Pugliese, Il principio di precauzione nella conservazione delle risorse alieutiche alla luce della giurisprudenza comunitaria, in Innovazione e diritto, 2008, 6, p. 112.
[61] Il termine “Comunità” è sostituito con il termine “Unione” dal TFUE.
[62] Art. 130 R TCE, in Ecb.europa.eu, <https://www.ecb.europa.eu>.
[63] F. De Leonardis, op. cit., p. 22-23.
[64] Nel caso “bottiglie danesi” (Corte Giust., 20 settembre 1988, C-302/1986) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva dell’importazione adottata dalla Danimarca che, al fine di tutelare l’ambiente, prevedeva l’obbligo di commercializzare alcune bevande in contenitori riutilizzabili. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura restrittiva ritenendo che non fosse proporzionata al fine perseguito poiché fissava una misura troppo esigua di importazioni in contenitori non autorizzati (la salvaguardia dell’ambiente poteva essere ottenuta con mezzi meno restrittivi per gli scambi intercomunitari). In proposito si deve ricordare che, già nel caso “oli usati” (Corte Giust., 7 febbraio 1985, C-240/83), la Corte aveva precisato che i provvedimenti adottati in materia ambientale “non devono eccedere le restrizioni inevitabili giustificate dal perseguimento dello scopo d’interesse generale costituito dalla tutela dell’ambiente” (principio di proporzionalità), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[65] Nel caso “buste non biodegradabili” (Corte Giust., 13 luglio 1989, C-380/87) si controverteva circa la legittimità di una misura limitativa della libertà di circolazione delle merci adottata dal Sindaco di un Comune italiano che, al fine di tutelare l’ambiente, vietava l’uso di buste non biodegradabili nel proprio territorio. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità della misura limitativa ritenendo che fosse necessaria al fine di tutelare l’ambiente, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[66] Nel caso “rifiuti valloni” (Corte Giust., 9 luglio 1992, C-2/90) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Vallonia (regione del Belgio) che, al fine di tutelare l’ambiente, vietava in modo assoluto l’importazione di rifiuti (pericolosi e non) provenienti da altri Paesi o da altre regioni del Belgio. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso dell’illegittimità del divieto assoluto di importazione ritenendo che tale divieto sottende l’aprioristica prevalenza della tutela ambientale rispetto ad altri interessi (nel caso specifico lo smaltimento dei rifiuti), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[67] Nel caso “gamberi d’acqua dolce” (Corte Giust., 13 aprile 1994, C-131/93) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva dell’importazione adottata dalla Repubblica Federale Tedesca che, al fine di tutelare i gamberi indigeni, vietava l’importazione di gamberi diversi. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura restrittiva ritenendo che non fosse proporzionata al fine perseguito (la tutela dei gamberi poteva essere ottenuta con mezzi meno restrittivi) e che fosse finalizzata ad ostacolare il commercio intercomunitario, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[68] Nel caso “PCP” (Corte Giust., 17 maggio 1994, C-41/93) si controverteva circa la legittimità di misure adottate dalla Germania che, al fine di tutelare l’ambiente, imponevano condizioni più restrittive di quelle comunitarie nella disciplina del PCP. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso dell’illegittimità delle misure restrittive ritenendo che non fossero sufficientemente giustificate ex art. 95, comma 4, TCE (clausola di garanzia ambientale), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[69] Nel caso “api di Læsø” (Corte Giust., 3 dicembre 1998, C-67/97) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva all’importazione adottata dalla Danimarca che, al fine di tutelare le api brune dell’isola di Læsø, vietava l’importazione di api diverse. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità della misura restrittiva ritenendo che fosse necessaria al fine di tutelare la salute e la vita degli animali, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[70] F. De Leonardis, op. cit., p. 24 ss.
[71] F. De Leonardis, ivi, p. 34.
[72] P. Pallaro, op. cit., p. 21; B. Bertarini, op. cit., p. 68 ss.; E. D. Cosimo, Il principio di precauzione fra Stati membri e Unione europea, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2006, 3, p. 1121 ss.
[73] Nel caso “Sandoz” (Corte Giust., 14 luglio 1983, C-174/82) si controverteva circa la legittimità di una misura adottata dal governo olandese che, al fine di tutelare la salute dell’uomo, vietava la commercializzazione di prodotti alimentari a cui erano state aggiunte vitamine. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità di tale misura affermando che “la concentrazione delle vitamine contenute nelle derrate alimentari del genere di quelle di cui è causa è lungi dal raggiungere la soglia critica di nocività” e che “nemmeno il consumo eccessivo di esse può di per se implicare un rischio per la sanità pubblica. Tuttavia un rischio del genere non si può escludere nel caso in cui il consumatore assorba inoltre delle quantità di vitamine incontrollabili ed imprevedibili con altri alimenti” (punto 12). “[…] Tutte le volte che sussistono delle incertezze nello stato attuale della ricerca scientifica, spetta agli Stati membri in mancanza d’armonizzazione, decidere il livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone, pur tenendo conto delle esigenze della libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità” (punto 16). “Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle vitamine le quali non sono in via generale nocive di per se, ma possono produrre effetti nocivi particolari nel solo caso del consumo eccessivo col complesso degli alimenti la cui composizione e imprevedibile ed incontrollabile. Date le incertezze inerenti alla valutazione scientifica, la disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di derrate alimentari cui siano state aggiunte delle vitamine è in linea di principio giustificata […] da motivi di tutela della salute umana” (punto 17), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[74] Nel caso “Hejin” (Corte Giust., 19 settembre 1984, C-94/83) si controverteva circa la legittimità di una misura adottata dall’Olanda che, al fine di tutelare la saluta umana, vietava ad una società olandese di commercializzare (in Olanda) le mele su cui era presente un antiparassitario (vinchlozoline) in misura superiore rispetto a quella consentito. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità di tale misura ritenendo che gli antiparassitari implicano gravi rischi per la salute umana, ma anche per quella degli animali e per l’ambiente. Inoltre, sul punto in cui la società commercializzante sottolineava il fatto che le stesse mele potevano essere commercializzate in altri Paesi, la Corte di Giustizia affermò che “se la normativa comunitaria in materia non contempla determinati antiparassitari, gli Stati membri possono disciplinare la presenza di residui di detti antiparassitari sulle derrate alimentari in un modo che può variare da Paese a Paese a seconda delle condizioni climatiche, delle abitudini alimentari della popolazione e dello stato di salute della popolazione stessa. In questo contesto essi possono diversificare, per lo stesso antiparassitario, la percentuale consentita a seconda degli alimenti” (punto 16), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[75] Nel caso “Motte” (Corte Giust., 10 dicembre 1985, C-247/84) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dal Belgio che, al fine di tutelare la salute umana, vietava la commercializzazione di uova di pesce colorate con indigotina e rosso di cocciniglia. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità della misura affermando che una tale misura può essere adottata purché ciò avvenga sulla base di un’adeguata istruttoria che provi la nocività del prodotto, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[76] Nel caso “Muller” (Corte Giust., 6 maggio 1986, C-304/84) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva che, al fine di tutelare la salute umana, vietava di utilizzare un preparato per pasticceria (Phenix) che conteneva un particolare emulsionante. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità della misura affermando che una tale misura può essere adottata purché ciò avvenga sulla base di un’adeguata istruttoria che provi la nocività del prodotto, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[77] Nel caso “Fedesa” (Corte Giust., 13 novembre 1990, C-331/88) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dal Consiglio che, al fine di tutelare la salute umana, vietava l’utilizzo di determinati ormoni nella produzione di carne animale. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità di tale misura affermando che le misure preventive possono essere adottate anche in assenza di prove scientifiche sulla nocività delle sostanze o dell’esistenza di prove contrarie e, quindi, quando il rischio che si verifichi un evento dannoso sia solo possibile, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[78] Nel caso “BSE” (Corte Giust., 5 maggio 1998, C-157/96, “National Farmers Union” e Corte Giust., 5 maggio 1998, C-180/96, “Regno Unito/Commissione”) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Commissione che, al fine di tutelare la salute umana, vietava alla Gran Bretagna l’esportazione di bovini, di carni bovine e dei prodotti derivati infetti sia all’interno che all’esterno della Comunità europea. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità della misura ritenendo: a) che fosse adottata sulla base di un’adeguata e completa istruttoria da cui emergeva la probabile esistenza del nesso causale tra il consumo di carne ottenuta da bovini affetti da encefalopatia spongiforme bovina o “morbo della mucca pazza” (Bovine Spongiform Encephalopathy – BSE) e l’insorgere della malattia di Creutzfeld-Jacobs nei consumatori di essa. Infatti, secondo la Corte di Giustizia, “[…] quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi” (punto 63); b) che la Commissione, vietando globalmente l’esportazione, non aveva violato il principio di proporzionalità poiché la tutela della salute pubblica non poteva essere efficacemente tutelata con misure meno restrittive; c) che la Commissione, vietando globalmente l’esportazione, non aveva travalicato i limiti dei propri poteri poiché, al fine di tutelare la salute pubblica, era necessario confinare la malattia nel territorio del Regno Unito; d) che la Commissione, vietando globalmente l’esportazione, non aveva perseguito altri fini se non quello di tutelare la salute pubblica (ipotesi di sviamento di potere), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[79] F. De Leonardis, op. cit., p. 65 ss; B. Bertarini, op. cit., p. 97 ss.
[80] L. Marini, Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario. Disciplina del commercio di organismi geneticamente modificati e profili di sicurezza alimentare, Padova, Cedam, 2004, p. 98.
[81] B. Bertarini, op. cit., p. 73 ss.; F. De Leonardis, op. cit., p. 34-35; C. R. Sustein, op. cit., p. 30; D. Franzone, Il principio di precauzione in diritto comunitario, in A. Bianchi, M. Gestri (a cura di), in op. cit. p. 4-5; S. Spuntarelli, op. cit., p. 5; S. Cavaliere, op. cit., p. 421; L. Butti, Principio di precauzione, ambiente e salute: aspetti generali e applicazione nel settore delle nanotecnologie, cit., p. 6; Id, Principio di precauzione, codice dell’ambiente e giurisprudenza delle corti comunitarie e della corte costituzionale, cit.
[82] Libro Verde sui principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione europea – COM (1997) 176, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[83] Libro Bianco sulla sicurezza alimentare – COM (1999) 719, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[84] B. Bertarini, op. cit., p. 74-75.
[85] Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione – COM (2000) 1, cap. 2 (Obiettivi della presente comunicazione), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[86] COM (2000) 1, Sommario, par. 3.
[87] COM (2000) 1, Sommario, par. 4; cap. 1 (Introduzione).
[88] COM (2000) 1, Sommario, par. 4; COM (2000) 1, cap. 5 (Il principio di precauzione nelle sue componenti).
[89] D. Franzone, op. cit., p. 7.
[90] “Decidere di adottare misure senza aspettare di disporre di tutte le conoscenze scientifiche necessarie rientra chiaramente in una strategia fondata sulla precauzione. […] Il fatto di invocare o no il principio di precauzione è una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto”, COM (2000) 1, cap. 1 (Introduzione); B. Bertarini, op. cit., p. 77; E. D. Cosimo, op. cit.; F. De Leonardis, op. cit., p. 123.
[91] COM (2000) 1, punto 5.1 (I fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione).
[92] COM (2000) 1, punto 5.1.3 (Incertezza scientifica); COM (2000) 1, punto 5.1.1 (Identificazione di effetti potenzialmente negativi); “Una valutazione scientifica degli effetti potenzialmente negativi dovrebbe essere adottata sulla base dei dati disponibili nel momento in cui si considera se siano necessarie misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana, animale o vegetale”, COM (2000), punto 5.1.2. (Valutazione scientifica).
[93] Secondo la Commissione “la valutazione dei rischi comprende quattro componenti: l’identificazione del pericolo, la caratterizzazione del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio”, COM (2000) 1, punto 5.1.2 (Valutazione scientifica).
[94] “Una valutazione di dati scientifici relativi ai rischi è un elemento necessario per ricorrere al principio di precauzione”, COM (2000) 1, punto 5.1.1 (Identificazione di effetti potenzialmente negativi); “Il ricorso al principio di precauzione presuppone l’identificazione di effetti potenzialmente negativi […] e una valutazione scientifica del rischio che, per l’insufficienza dei dati, il loro carattere non concludente o la loro imprecisione, non consente di determinare con sufficiente certezza il rischio in questione”, COM (2000) 1, punto 5.1.3 (Incertezza scientifica); “Una valutazione scientifica del rischio dovrebbe essere realizzata laddove sia possibile al momento decidere se invocare o no il principio di precauzione”, COM (2000) 1, punto 5.1.2 (Valutazione scientifica); “L’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica quanto più completa possibile, identificando in ciascuna fase il grado di incertezza scientifica”, COM (2000) 1, Sommario, par. 4; “I responsabili politici devono ottenere […] una valutazione scientifica quanto più completa possibile del rischio per l’ambiente o la salute al fine di selezionare il tipo d’azione più adeguato. La determinazione delle azioni adeguate, comprese le misure basate sul principio di precauzione, dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica […]. L’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica, quanto più possibile completa, identificando, ove possibile, in ciascuna fase il grado d’incertezza scientifica”, COM (2000) 1, punto 6.1 (Attuazione); “Una volta realizzata la valutazione scientifica nel modo migliore possibile, è possibile disporre di una base per invocare eventualmente il principio di precauzione”, COM (2000) 1, punto 6.2 (Il fattore che attiva il ricorso al principio di precauzione).
[95] COM (2000) 1, punto 6.1 (Attuazione).
[96] COM (2000) 1, punto 5.1.2 (Valutazione scientifica).
[97] COM (2000) 1, ibid.
[98] “Giudicare quale sia un livello di rischio «accettabile» per la società costituisce una responsabilità eminentemente politica. I responsabili politici, posti di fronte ad un rischio inaccettabile, all’incertezza scientifica e alle preoccupazioni della popolazione, hanno il dovere di trovare risposte. […] In alcuni casi la giusta risposta può essere l’inazione o quanto meno la decisione di non adottare misure giuridicamente vincolanti”, COM (2000) 1, Sommario, par. 5; “[…] I responsabili politici debbono dare risposte. Dare risposte non significa tuttavia che debbano sempre essere adottate misure. Anche la decisione di non agire può costituire una risposta. La scelta della risposta da dare di fronte ad una certa situazione deriva quindi da una decisione eminentemente politica, funzione del livello del rischio «accettabile» dalla società che deve sopportarlo”, COM (2000) 1, punto 5.2.1 (La decisione di agire o di non agire); F. De Leonardis, op. cit., p. 131.
[99] COM (2000) 1, punto 6.2 (Il fattore che attiva il ricorso al principio di precauzione).
[100] COM (2000) 1, punto 5.2.2 (Natura dell’azione eventualmente decisa).
[101] COM (2000) 1, ibid.
[102] COM (2000) 1, punto 6.3 (I principi generali di applicazione).
[103] COM (2000) 1, ibid.
[104] “Le misure previste devono consentire di raggiungere il livello di protezione adeguato. Le misure basate sul principio di precauzione non dovrebbero essere sproporzionate rispetto al livello di protezione ricercato, tentando di raggiungere un livello di rischio zero che esiste solo di rado. […] In alcuni casi, un divieto totale può non costituire una risposta proporzionale ad un rischio potenziale. In altri casi, può essere la sola risposta possibile ad un rischio dato. Misure di riduzione del rischio possono comportare alternative meno restrittive per gli scambi che consentono di raggiungere un livello di protezione equivalente […]. La misura di riduzione dei rischi non deve limitarsi ai rischi immediati per i quali la proporzionalità dell’azione è più facile da valutare. […] Gli effetti potenziali a lungo termine devono essere presi in considerazione per valutare la proporzionalità delle misure che consistono nel realizzare azioni suscettibili di limitare o sopprimere un rischio, i cui effetti apparirebbero solo dopo dieci o venti anni o colpirebbero le generazioni future”, COM (2000) 1, punto 6.3.1 (La proporzionalità).
[105] “Il principio di non discriminazione vuole che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate in modo uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Le misure precauzionali adottate dovrebbero applicarsi in modo tale da raggiungere un livello di protezione equivalente, senza che l’origine geografica o la natura di una produzione possano essere invocate per applicare in modo arbitrario trattamenti diversi”, COM (2000) 1, punto 6.3.2 (La non discriminazione).
[106] “Le misure dovrebbero essere coerenti con quelle già adottate in situazioni analoghe o utilizzando approcci analoghi. […] Se la mancanza di alcuni dati scientifici non consente di caratterizzare il rischio […] le misure precauzionali adottate dovrebbero essere di portata e di natura comparabile con le misure già adottate in settori equivalenti, nei quali tutti i dati scientifici sono disponibili”, COM (2000) 1, punto 6.3.3 (La coerenza).
[107] “Occorrerebbe stabilire un confronto tra le conseguenze positive o negative più probabili dell’azione prevista e quelle dell’inazione in termini di costi globali per la Comunità, sia a breve che a lungo termine le misure previste dovrebbero essere in grado di arrecare un beneficio globale in materia di riduzione del rischio ad un livello accettabile. […] L’esame dei vantaggi e degli oneri dovrebbe tuttavia comprendere un’analisi economica costi/benefici quando ciò sia adeguato e realizzabile. […] Le esigenze collegate alla protezione della salute dovrebbero vedersi riconoscere un carattere preponderante rispetto alle considerazioni economiche”, COM (2000) 1, punto 6.3.4 (L’esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dall’inazione).
[108] “Anche se di natura provvisoria, le misure devono essere mantenute finché i dati scientifici rimangono incompleti, imprecisi o non concludenti e finché il rischio viene ritenuto sufficientemente importante per non accettare di farlo sostenere alla società. Il loro mantenimento dipende dall’evoluzione delle conoscenze scientifiche, alla luce della quale devono essere sottoposte a nuova valutazione. Ciò implica che le ricerche scientifiche devono essere proseguite, al fine di disporre di dati più completi. Le misure basate sul principio di precauzione devono essere riesaminate e, se necessario, modificate in funzione dei risultati della ricerca scientifica e del controllo del loro impatto”, COM (2000) 1, punto 6.3.5 (L’esame dell’evoluzione scientifica).
[109] “Le regole esistenti nella legislazione comunitaria […] applicano il principio dell’autorizzazione preventiva (elenco positivo) prima dell’immissione sul mercato di alcuni tipi di prodotti […]. Ciò costituisce già un modo di applicare il principio di precauzione spostando la responsabilità della produzione delle prove scientifiche. È questo il caso in particolare delle sostanze ritenute a priori pericolose o che possono essere potenzialmente pericolose ad un certo livello d’assorbimento. In questo caso il legislatore, per precauzione, ha previsto l’inversione dell’onere della prova, stabilendo che tali sostanze siano considerate come pericolose finché non sia dimostrato il contrario. Spetta quindi alle imprese realizzare i lavori scientifici necessari per la valutazione del rischio. Finché il livello di rischio per la salute e per l’ambiente non può essere valutato con sufficiente certezza, il legislatore non può legittimamente autorizzare l’utilizzazione della sostanza […]. In altri casi, nei quali non è prevista una simile procedura di autorizzazione preventiva, può spettare all’utilizzatore […] di dimostrare la natura di un pericolo e il livello di rischio di un prodotto o di un procedimento. Un’azione adottata in base al principio di precauzione può comportare in alcuni casi una clausola che preveda l’inversione dell’onere della prova sul produttore, il fabbricante o l’importatore”, COM (2000) 1, punto 6.4 (L’onere della prova).
[110] COM (2000) 1, Sommario, par. 6.
[111] COM (2000) 1, punto 5.1.3.
[112] B. Bertarini, op. cit., p. 90.
[113] “La politica ambientale della Comunità deve contribuire a perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, che dev’essere fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»” (considerando 11), direttiva 2000/60/CE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio in 23 ottobre 2000, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[114] “In base all’articolo 191, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), la politica ambientale dell’Unione deve basarsi sul principio di precauzione” (considerando 11), regolamento 2013/525/UE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 21 maggio 2013, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[115] “La gestione del rischio tiene conto dei risultati della valutazione del rischio […] e del principio di precauzione” (art. 6, par. 3). “Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio” (art. 7, par. 1), regolamento 2002/178/CE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 28 gennaio 2002 e modificato dal regolamento 2014/652/UE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 15 maggio 2014, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[116] “L’autorizzazione degli enzimi alimentari dovrebbe tenere conto di altri fattori pertinenti per la questione in esame, tra cui i fattori sociali, economici, tradizionali, etici ed ambientali, il principio di precauzione e la fattibilità dei controlli” (considerando 7), regolamento 2008/1333/CE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 16 dicembre 2008 e modificato dal regolamento 2014/1093/UE adottato dalla Commissione il 16 ottobre 2014, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[117] “Qualora siano minacciati la salute degli animali o dell’uomo o l’ambiente, occorre consentire agli Stati membri di ridurre temporaneamente i livelli massimi fissati o di fissare livelli massimi per altre sostanze ovvero di vietare la presenza di tali sostanze nei prodotti destinati all’alimentazione degli animali” (considerando 14), direttiva 2002/32/CE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 7 maggio 2002 e modificata dal regolamento 2015/186/UE adottato dalla Commissione il 6 febbraio 2015, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[118] “[…] In assenza di sufficienti riscontri scientifici pertinenti, il principio di precauzione […] consente alla Comunità di adottare misure provvisorie sulla base dei dati pertinenti a disposizione, in vista di un’ulteriore valutazione del rischio e di una revisione delle misure entro un ragionevole periodo di tempo” (considerando 15), direttiva 2006/141/CE, adottata dalla Commissione il 22 dicembre 2006 e modificata dalla direttiva 2013/46/UE adottata dalla Commissione il 28 agosto 2013, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[119] “In base al principio di precauzione e in linea con la dieta e le condizioni di vita naturali dei ruminanti è quindi necessario mantenere il divieto relativo alla somministrazione di proteine animali ai ruminanti in forme che non costituiscono abitualmente parte della loro dieta naturale” (considerando 11-bis), regolamento 2001/999/CE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 22 maggio 2001, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[120] “Il principio di precauzione e la valutazione dei rischi sono fattori chiave per la protezione della salute umana e dovrebbero pertanto figurare maggiormente in altre azioni e politiche comunitarie” (considerando 25), decisione 2007/1350/CE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 23 ottobre 2007, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[121] “La valutazione del funzionamento dei quattro principali strumenti giuridici che disciplinano le sostanze chimiche nella Comunità, ha messo in luce l’esistenza di alcuni problemi nel funzionamento della normativa comunitaria relativa alle sostanze chimiche, che si traducono in divergenze tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno in questo settore, e la necessità di fare di più per proteggere la salute pubblica e l’ambiente conformemente al principio di precauzione” (considerando 9). “Il presente regolamento si basa sul principio che ai fabbricanti, agli importatori e agli utilizzatori a valle spetta l’obbligo di fabbricare, immettere sul mercato o utilizzare sostanze che non arrecano danno alla salute umana o all’ambiente. Le sue disposizioni si fondano sul principio di precauzione” (art. 1, par. 3), regolamento 2006/1907/CE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 18 dicembre 2006, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[122] “È opportuno stabilire requisiti di sicurezza specifici per far fronte al particolare pericolo potenziale rappresentato dai giocattoli all’interno di prodotti alimentari secondo il principio di precauzione […]” (considerando 28). “Qualora i dati scientifici disponibili siano insufficienti per consentire un’accurata stima dei rischi, gli Stati membri in sede di adozione di misure a norma della presente direttiva dovrebbero applicare il principio di precauzione […]” (considerando 38). “Quando le autorità competenti degli Stati membri adottano le misure previste dalla presente direttiva […] tengono debitamente conto del principio di precauzione” (art. 39), direttiva 2009/48/CE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 18 giugno 2009 e modificata dalla direttiva 2014/84/UE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 30 giugno 2014, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[123] “Il tasso di cofinanziamento dei fondi a favore di un asse prioritario può essere modulato per tenere conto” della “tutela e miglioramento dell’ambiente, in particolare tramite l’applicazione del principio di precauzione, del principio di azione preventiva e del principio «chi inquina paga»” (art. 121), regolamento 2013/1303/UE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 17 dicembre 2013, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[124] B. Bertarini, op. cit., p. 90 ss.; L. Salvi, La comunicazione del rischio nella disciplina della sicurezza alimentare, tra informazione, tutela e mercato, in Riv. dir. agr., 2013, I, 3, p. 466; L. Gradoni, Il principio di precauzione nel diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, in A. Bianchi, M. Gestri (a cura di), op. cit., p. 204-205; M. G. Fanelli, La recente Direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli, in Contratto e impresa/Europa, 2009, 2, p. 1012 ss.
[125] Adottato a Bruxelles il 12 luglio 2000.
[126] Adottata a Bruxelles il 4 dicembre 2000. Il testo è riprodotto nell’Allegato III delle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo tenutosi a Nizza dal 7 al 10 dicembre 2000.
[127] Adottata a Strasburgo il 4 dicembre 2000.
[128] B. Bertarini, op. cit., p. 83 ss.; D. Franzone, op. cit., p. 10 ss.; M. Cafagno, La cura dell’ambiente tra mercato ed intervento pubblico. Spunti dal pensiero economico, in D. De Carolis, E. Ferrari, A. Police (a cura di), op. cit., p. 239.
[129] T. Marocco, Il principio di precauzione e la sua applicazione in Italia e in altri Stati membri della Comunità europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2003, 5, p. 1237.
[130] Nel caso “Greenpeace France” (Corte Giust., 21 marzo 2000, C-6/99) la Corte di Giustizia fu chiamata a pronunciarsi sulla domanda pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia) che verteva sull’interpretazione dell’art. 13, par. 2 e 4, della direttiva 90/220/CE del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, come modificata dalla direttiva 97/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001. La procedura per l’immissione nel mercato di un prodotto contenente OGM prevede che l’azienda produttrice presenti domanda di commercializzazione all’amministrazione nazionale; che l’amministrazione nazionale a cui è stata presentata la domanda di commercializzazione si pronunci favorevolmente; che la Commissione autorizzi la commercializzazione e che l’amministrazione dia esecuzione all’autorizzazione della Commissione. Antefatto: La società Novartis Seeds SA, che intendeva commercializzare sementi derivanti da alcune varietà di granturco OGM, aveva presentato domanda per ottenere l’autorizzazione dall’amministrazione francese, la quale si era pronunciata favorevolmente. La questione, quindi, fu presentata alla Commissione, la quale autorizzò la commercializzazione, e poi riportata dinanzi all’amministrazione francese che diede esecuzione all’autorizzazione della Commissione con decreto. Il fatto: Greenpeace France e altre associazioni chiesero l’annullamento del decreto autorizzativo ritenendo che l’art. 10, par. 4, il quale dispone che “se la Commissione ha adottato una decisione favorevole, l’autorità competente che ha ricevuto la notifica originale dà il suo consenso scritto alla notifica in modo che il prodotto possa essere immesso sul mercato […]”, obbligherebbe l’amministrazione nazionale a dare il proprio consenso e che, quindi, tale procedura fosse contraria al principio di precauzione. Secondo la Corte di Giustizia, invece, il principio di precauzione è pienamente rispettato: è vero che l’amministrazione nazionale è “tenuta a rilasciare il «consenso scritto»” se nessuno Stato membro ha sollevato obiezioni o se la Commissione ha adottato una decisione favorevole, ma è anche vero che in quel momento lo Stato ha già avuto modo di valutare se il prodotto può essere pericoloso per la salute e l’ambiente; “tuttavia, ove lo Stato membro interessato sia entrato nel frattempo in possesso di nuove informazioni che lo inducano a ritenere che il prodotto oggetto della notifica possa essere pericoloso per la salute e l’ambiente, esso non sarà tenuto a dare il proprio consenso, a condizione che ne informi immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri […]” (punto 47). Inoltre, “qualora il giudice nazionale accerti che, in ragione di irregolarità nello svolgimento dell’esame della notifica da parte dell’autorità nazionale competente […], quest’ultima non ha validamente trasmesso alla Commissione il fascicolo con parere favorevole […], il detto giudice è tenuto ad adire la Corte in via pregiudiziale ove ritenga che tali irregolarità siano idonee a pregiudicare la validità della decisione favorevole della Commissione, eventualmente disponendo la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di attuazione della detta decisione fino a che la Corte non abbia statuito sulla questione della validità” (punto 57). A ciò si aggiunga anche che la stessa direttiva 90/220/CE, par. 16, prevede che “se uno Stato membro ha un motivo valido di ritenere che un prodotto che è stato opportunamente notificato e ha ricevuto un consenso scritto […] costituisce un rischio per la salute umana o per l’ambiente, esso può limitarne o proibirne provvisoriamente l’uso e/o la vendita sul proprio territorio” (Conclusioni dell’Avv. Gen. Mischo, punto 86), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[131] Nel caso “Commissione c/Francia” (Corte Giust., 13 dicembre 2001, C-1/00) la Corte di Giustizia fu chiamata a pronunciarsi sul ricorso per inadempimento della Francia di porre fine all’embargo sulle carni bovine britanniche (il caso in questione si ricollega al caso “BSE” precedentemente esaminato). Antefatto: sebbene la Commissione dispose la fine dell’embargo sulle carni bovine sulla base del parere tecnico adottato dal Comitato scientifico direttivo, la Francia continuò a mantenere l’embargo sulla base del parere dei propri organi tecnici i quali ritenevano che dei rischi fossero ancora possibili. Il parere dell’organo tecnico francese venne esaminato dall’organo tecnico comunitario che, a maggioranza dei componenti, confermò che si poteva revocare l’embargo. La Francia si rifiutò di revocare l’embargo sostenendo che la Commissione violasse il principio di precauzione: la Commissione avrebbe dovuto mantenere l’embargo poiché l’organo tecnico comunitario non si era pronunciato all’unanimità (punto 38); la Commissione, invece, sostenendo che l’esistenza di una parte dissenziente (nel caso di specie la minoranza) non obbliga ad adottare una misura precauzionale, propose ricorso per inadempimento ex art. 226 TCE (il fatto). La Corte di Giustizia, ritenendo che la decisione dell’organo tecnico comunitario fosse ragionevole (a prescindere dalla maggioranza), si pronunciò nel senso della legittimità della revoca dell’embargo da parte della Commissione, in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[132] Nel caso “Pfizer Animal Health SA/Consiglio” (Trib. CE, 11 settembre 2002, T-13/99) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Comunità europea. Antefatto: La società Pfizer produceva un antibiotico (virginiamicina) che veniva aggiunto al mangime degli animali per fargli acquistare peso. Per il fatto che venne riscontrata, sia negli animali che nell’uomo, una resistenza agli antibiotici, la Comunità europea vietò (regolamento 98/2821/CE) la commercializzazione del prodotto poiché si supponeva l’esistenza di un nesso causale tra l’uso degli antibiotici negli animali e lo sviluppo di una resistenza a tali prodotti nell’uomo. Il fatto: la società produttrice impugnò il regolamento affermando che la misura precauzionale era stata adottata in violazione dell’art. 7, par. 1 della direttiva 70/524/CEE relativa agli additivi nell’alimentazione degli animali e, quindi, sulla base di un pericolo non provato. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso della legittimità della misura adottata dalla Comunità europea affermando che: a) “[…] il principio di precauzione costituisce uno dei principi sui quali si fonda la politica della Comunità in materia ambientale. […] Tale principio si applica ugualmente quando le istituzioni comunitarie adottano, nel quadro della politica agricola comune, misure di tutela della salute umana. Si evince, infatti, dall’art. 130 R, nn. 1 e 2, del Trattato, che la protezione della salute umana rientra tra gli obiettivi della politica della Comunità in materia ambientale, che tale politica, la quale mira ad un elevato livello di tutela, è fondata, fra l’altro, sul principio di precauzione e che le esigenze di tale politica devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie” (punto 114); b) nei considerando del regolamento impugnato non si fa riferimento alla nozione di «pericolo», ma alla nozione di «rischio» (punto 137); c) “[…] quando sussistono incertezze scientifiche riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute umana, le istituzioni comunitarie possono, in forza del principio di precauzione, adottare misure di protezione senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi […]” (punto 139). “Ne consegue, anzitutto, che, secondo il principio di precauzione […] le istituzioni comunitarie potevano adottare una misura preventiva relativa all’impiego della virginiamicina come additivo nell’alimentazione degli animali anche se, a causa del permanere di una situazione di incertezza scientifica, la realtà e la gravità dei rischi per la salute umana connessi a tale utilizzo non erano ancora pienamente dimostrate” (punto 140). “A fortiori, ne deriva ugualmente che le istituzioni comunitarie non erano tenute, per poter agire in via preventiva, ad attendere che gli effetti negativi dell’impiego di tale prodotto come promotore di crescita si concretizzassero […]” (punto 141). “Inoltre, nel contesto dell’applicazione del principio di precauzione – che è per definizione un contesto d’incertezza scientifica – non si può esigere che una valutazione dei rischi fornisca obbligatoriamente alle istituzioni comunitarie prove scientifiche decisive sulla realtà del rischio e sulla gravità dei potenziali effetti nocivi in caso di avveramento di tale rischio […]” (punto 142). “Tuttavia, […] una misura preventiva non può essere validamente motivata con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente […]” (punto 143). “[…] Una misura preventiva può essere adottata esclusivamente qualora il rischio, senza che la sua esistenza e la sua portata siano state dimostrate «pienamente» da dati scientifici concludenti, appaia nondimeno sufficientemente documentato sulla base dei dati scientifici disponibili al momento dell’adozione di tale misura” (punto 144). “[…] L’adozione di misure, anche se preventive, sulla base di un approccio puramente ipotetico del rischio sarebbe […] inadeguata […]. Infatti, […] non può esistere un livello di «rischio zero» nei limiti in cui l’assenza totale del minimo rischio attuale o futuro […] non può essere scientificamente provata” (punto 145). “Il principio di precauzione può, dunque, essere applicato solamente a situazioni in cui il rischio, in particolare per la salute umana, pur non essendo fondato su semplici ipotesi non provate scientificamente, non ha ancora potuto essere pienamente dimostrato” (punto 146). “In un tale contesto, la nozione di «rischio» corrisponde dunque ad una funzione della probabilità di effetti nocivi per il bene protetto dall’ordinamento giuridico cagionati dall’impiego di un prodotto o di un processo. La nozione di «pericolo» è, in tale ambito, usata comunemente in un’accezione più ampia e definisce ogni prodotto o processo che possa avere un effetto negativo per la salute umana […]” (punto 147). “Di conseguenza, in un contesto come quello del caso di specie, la valutazione dei rischi ha ad oggetto la stima del grado di probabilità che un determinato prodotto o processo provochi effetti nocivi sulla salute umana e della gravità di tali potenziali effetti” (punto 148). “[…] La valutazione dei rischi comporta per l’autorità pubblica competente […] un duplice compito i cui due profili sono complementari e possono sovrapporsi, ma che, a causa delle loro funzioni differenti, non devono essere confusi. La valutazione dei rischi comporta, infatti, da un lato, la determinazione del livello di rischio giudicato inaccettabile e, dall’altro, la realizzazione di una valutazione scientifica dei rischi” (punto 149). “Anche se alle istituzioni comunitarie è precluso adottare un’impostazione puramente ipotetica del rischio e orientare le proprie decisioni ad un livello di «rischio zero», esse devono tuttavia tener conto dell’obbligo […] di garantire un livello elevato di tutela della salute umana che, per essere compatibile con tale disposizione, non dev’essere necessariamente il più elevato possibile sotto il profilo tecnico” (punto 152). Inoltre, relativamente alla contestazione della società Pfizer, la quale lamentava anche il fatto che il Consiglio si fosse discostato dal parere tecnico dello SCAN (Scientific Committee for Animal Nutrition), la Corte di Giustizia affermò che l’amministrazione può discostarsi dal parere tecnico, ma “è tenuta a motivare specificamente la sua diversa valutazione rispetto a quella espressa nel parere, esponendo i motivi sulla base dei quali non vi si conforma. Tale motivazione dovrà essere di un livello scientifico almeno equivalente a quello del parere in questione. In tal caso, l’istituzione può fondarsi vuoi su un parere integrativo del medesimo comitato di esperti, vuoi su altri elementi aventi forza probatoria almeno equivalente a quella del parere di cui trattasi. Nel caso in cui l’istituzione si discosti solo parzialmente dal parere, essa può anche basarsi sulle parti del ragionamento scientifico in esso contenuto che condivide” (punto 199), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[133] Nel caso “Artegodan” (Trib. CE, 26 novembre 2002, cause riunite T-74/00, T-76/00, T-83/00, T-84/00, T-85/00, T-132/00, T-137/00 e T-141/00) si controverteva circa la legittimità di una decisione della Commissione (C(2000)453) che, al fine di tutelare la salute umana, revocava l’AIC (autorizzazione all’immissione in commercio) di un medicinale. Antefatto: la società Artegodan aveva ottenuto l’AIC di un medicinale anoressizzante. Studi scientifici facevano supporre che questo medicinale fosse pericoloso per la salute umana, pertanto, la Commissione, su parere del CPMP (Committee for Proprietary Medicinal Products), aveva revocato l’AIC. Il fatto: la società Artegodan propose ricorso innanzi al Tribunale di primo grado che si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura poiché non fondata su nuovi dati scientifici. Innanzitutto, il Tribunale afferma che “nonostante sia menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica ambientale, il principio di precauzione ha quindi un ambito di applicazione più ampio. Esso è destinato ad applicarsi, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza dei consumatori e dell’ambiente, in tutti gli ambiti di azione della Comunità […]” (punto 183). “Ne consegue che il principio di precauzione può essere definito come un principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici. Infatti, essendo le istituzioni comunitarie responsabili, in tutti i loro ambiti d’azione, della tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, il principio di precauzione può essere considerato come un principio autonomo che discende dalle menzionate disposizioni del Trattato” (punto 184). “[…] Il principio di precauzione implica che, nel caso sussistano incertezze quanto all’esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono prendere provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate” (punto 185). Inoltre, secondo il Tribunale, per valutare la legittimità di una decisione precauzionale occorre, oltre alla valutazione del rischio, anche la valutazione costi/benefici: “occorre sottolineare che, al momento di ogni valutazione di un medicinale, il grado di nocività che l’autorità competente può considerare accettabile dipende concretamente dai benefici attesi dal medicinale. Infatti, […] le nozioni di «nocività» e di «effetto terapeutico» possono essere esaminate solo in relazione reciproca ed hanno solo un significato relativo giudicato in base al grado di sviluppo della scienza. […] L’esigenza di un’analisi del rapporto rischi/benefici di un medicinale non riguarda esclusivamente il rilascio di un’AIC, ma si applica segnatamente nell’ambito di una procedura di revoca di un’autorizzazione del genere […]. Inoltre, […] ogni nuovo dato o nuova informazione devono essere presentati alle autorità competenti, dopo il rilascio dell’AIC, «ai fini del controllo costante degli effetti positivi e negativi»” (punto 178). “[…] Le ragioni che hanno condotto un’autorità competente a mantenere l’AIC di un medicinale nonostante l’esistenza di determinati effetti nocivi possono venire meno se la detta autorità constata che i benefici che giustificavano tale autorizzazione, cioè l’esistenza di un’efficacia terapeutica, non sono più presenti, di modo che il medicinale di cui trattasi non offre più un rapporto rischi/benefici favorevole […]” (punto 180). “[…] Spetta all’azienda che richiede l’AIC di un medicinale dimostrare, da una parte, l’efficacia di tale medicinale e, dall’altra, la sua innocuità […]” (punto 188). “[…] Il titolare dell’AIC di un medicinale non è tenuto, durante il periodo di validità di tale autorizzazione, a fornire la prova dell’efficacia e/o dell’innocuità di tale medicinale. Spetta senza dubbio all’autorità competente, come riconosce la Commissione, dimostrare che si sia verificata qualcuna delle condizioni alternative relative alla revoca, alla modifica o alla sospensione di un’AIC […]. […] Il fatto di ammettere che, in caso di incertezze di ordine scientifico, ragionevoli dubbi sull’efficacia o sull’innocuità di un medicinale possono giustificare un provvedimento precauzionale non può essere assimilato a un’inversione dell’onere della prova” (punto 191). “Il principio di precauzione impone infatti di sospendere o di revocare un’AIC in presenza di nuovi dati che suscitano seri dubbi circa la sicurezza o l’efficacia del medicinale di cui trattasi, quando tali dubbi portino a un giudizio sfavorevole del rapporto rischi/benefici di tale medicinale. In tale contesto, l’autorità competente può limitarsi a fornire, conformemente al regime comune di prova, indizi seri e concludenti i quali, senza eliminare l’incertezza scientifica, consentano ragionevolmente di dubitare dell’innocuità e/o dell’efficacia del medicinale” (punto 192). “[…] Si deve ritenere che la revoca di un’AIC si giustifichi in via di principio solo se l’esistenza di nuovi rischi potenziali o l’ipotesi di inefficacia sono suffragate da nuovi e oggettivi dati o informazioni di ordine medico e/o scientifico. In particolare, l’applicazione di un nuovo criterio di valutazione, sul quale esista ormai un consenso all’interno della comunità medica, si giustifica, del tutto logicamente, durante il periodo di validità dell’autorizzazione, solo se tale evoluzione si basa su nuovi dati o informazioni” (punto 194). Inoltre, il Tribunale si pronunciò in ordine ai limiti del sindacato giurisdizionale affermando che “il controllo giudiziario si esercita solamente sulla regolarità dei lavori del CPMP, nonché sulla coerenza interna e sulla motivazione del suo parere. […] Il giudice è unicamente legittimato a verificare se il parere contenga una motivazione che consente di valutare le considerazioni sulle quali esso si basa e se esso stabilisca un nesso comprensibile fra gli accertamenti medici e/o scientifici e le conclusioni cui perviene” (punto 200) e che “[…] allorché un’istituzione comunitaria è chiamata a compiere valutazioni complesse, essa dispone di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un sindacato giurisdizionale che si limita a verificare se il provvedimento di cui trattasi non sia inficiato da errore manifesto o da sviamento di potere, o se l’autorità competente non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale” (punto 201), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[134] Nel caso “Commissione/Regno di Danimarca” (Corte Giust., 23 settembre 2003, C-192/01) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Danimarca che, al fine di tutelare la salute, vietava l’importazione di una bevanda a cui era stata aggiunta la vitamina C. In particolare, il governo danese, richiamando la sentenza “Sandoz”, aveva adottato la misura precauzionale senza provare la pericolosità del prodotto. La Corte di Giustizia si pronunciò nel senso dell’illegittimità della misura affermando che “[…] in mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, compete agli Stati membri decidere in merito al livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone […]” (punto 42). “Tale potere discrezionale relativo alla tutela della salute è particolarmente importante qualora sia dimostrato che sussistono incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica in merito a determinate sostanze, quali le vitamine, che in genere non sono nocive di per sé, ma possono produrre effetti nocivi particolari solo se consumate in misura eccessiva assieme al complesso degli alimenti la cui composizione è imprevedibile e incontrollabile” (punto 43). “Il diritto comunitario non osta quindi, in linea di principio, a che uno Stato membro vieti, salvo previa autorizzazione, la commercializzazione di prodotti alimentari cui siano state aggiunte sostanze nutritive, quali vitamine o minerali, diverse da quelle il cui impiego è dichiarato lecito dalla normativa comunitaria” (punto 44). “Tuttavia, nell’esercizio del loro potere discrezionale relativo alla tutela della salute, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità. I mezzi che essi scelgono devono essere pertanto limitati allo stretto necessario per garantire la tutela della salute; essi devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari” (punto 45). “Inoltre, poiché l’art. 30 CE contiene una deroga, da interpretare restrittivamente, al principio della libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità, spetta alle autorità nazionali che ad esso si richiamano dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati da detto articolo e, segnatamente, che la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute” (punto 46). “Un divieto di commercializzare prodotti alimentari integrati con sostanze nutritive deve quindi basarsi su una valutazione approfondita del rischio fatto valere dallo Stato membro che invoca l’art. 30 CE” (punto 47). “Una decisione di vietare la commercializzazione […] può essere adottata soltanto qualora l’asserito rischio reale per la salute risulti sufficientemente dimostrato sulla base dei dati scientifici più recenti disponibili al momento dell’adozione di una tale decisione […]” (punto 48). “Certamente, tale valutazione del rischio potrebbe rivelare che sussiste un’incertezza scientifica riguardo all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute. In tali circostanze, si deve ammettere che uno Stato membro può adottare, in forza del principio di precauzione, misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. Tuttavia, la valutazione del rischio non può basarsi su considerazioni puramente ipotetiche” (punto 49). “Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, inconcludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive” (punto 52). “Misure simili devono essere ammesse solo se non discriminatorie ed oggettive” (punto 53), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[135] Nel caso “Solvay” (Trib. CE, 21 ottobre 2003, T-392/02) si controverteva circa la legittimità di una misura restrittiva adottata dalla Comunità europea (regolamento 99/2430/CE) che, al fine di tutelare la salute, vietava la commercializzazione di un medicinale. Antefatto: la società Solvay produceva un medicinale (Nifursol) che veniva aggiunto al mangime dei tacchini per evitare il propagarsi di una malattia. Studi scientifici facevano supporre che questo medicinale fosse pericoloso per la salute umana, pertanto la Comunità europea aveva revocato l’AIC. Il fatto: la società Solvay, ritenendo che la misura fosse adottata sulla base di rischi ipotetici e, quindi, in violazione del principio di precauzione, propose ricorso innanzi al Tribunale di primo grado che si pronunciò nel senso della legittimità della misura poiché vi erano indizi seri relativi alla pericolosità del medicinale. Secondo il Tribunale “[…] il principio di precauzione costituisce un principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità interessate di adottare […] provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici […]” (punto 121). “Secondo una giurisprudenza consolidata, in materia sanitaria il principio di precauzione implica che, nel caso in cui sussistano incertezze quanto all’esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possano prendere provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate” (punto 122). “[…] La mancanza di esplicito riferimento al principio di precauzione nel regolamento impugnato non significa che tale istituzione non si sia fondata su tale principio ai fini della valutazione dei provvedimenti da adottare […] per evitare i rischi denunciati” (punto 124). “[…] L’esistenza di indizi seri i quali, senza eliminare l’incertezza scientifica, consentano ragionevolmente di dubitare dell’innocuità di una sostanza, giustifica la revoca dell’autorizzazione della stessa. Il principio di precauzione tende infatti a evitare i rischi potenziali. Invece, rischi puramente ipotetici – fondati su semplici ipotesi non provate scientificamente – non possono essere presi in considerazione” (punto 129). “Subordinare il mantenimento dell’autorizzazione di una sostanza alla prova dell’assenza di qualsiasi rischio anche puramente ipotetico sarebbe contemporaneamente irrealistico – in quanto siffatta prova e di regola impossibile da fornire dal punto di vista scientifico, giacché un livello di «rischio zero» in pratica non esiste” (punto 130), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[136] Nel caso “Greenham e Abel” (Corte Giust., 5 febbraio 2004, C-95/01) la Corte di Giustizia fu chiamata a pronunciarsi sulla domanda pregiudiziale proposta dal Tribunal de grande instance de Paris (Francia) che verteva sull’interpretazione degli art. 28 CE e 30 CE. La questione era stata sollevata nell’ambito di un procedimento penale a carico dei sigg. Greenham e Abel che, commercializzando in Francia prodotti alimentari arricchiti dal coenzima Q10, erano stati accusati di aver violato una legge francese che ne vietava la vendita. Secondo la Corte di Giustizia, un’autorità nazionale può vietare la commercializzazione di una sostanza “soltanto se tale sostanza presenta un rischio reale per la salute” (punto 36). “Certamente, in mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, compete agli Stati membri decidere in merito al livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone ed al requisito di una previa autorizzazione all’immissione sul mercato di prodotti alimentari, tenendo conto anche delle esigenze della libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità” (punto 37). “Tale potere discrezionale relativo alla tutela della salute è particolarmente importante qualora sia dimostrato che sussistono incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica in merito a determinate sostanze nutritive, quali le vitamine, che in genere non sono nocive di per sé, ma che possono produrre effetti nocivi particolari solo se consumate in misura eccessiva assieme al complesso degli alimenti la cui composizione è imprevedibile e incontrollabile” (punto 38). “Tuttavia, nell’esercizio del loro potere discrezionale relativo alla tutela della salute, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità. I mezzi che essi scelgono devono essere pertanto limitati allo stretto necessario per garantire la tutela della salute; essi devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari” (punto 39). “Inoltre, poiché l’art. 30 CE contiene una deroga, da interpretare restrittivamente, al principio della libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità, spetta alle autorità nazionali che ad esso si richiamano dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati da detto articolo e, segnatamente, che l’immissione in commercio dei prodotti di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute” (punto 40). “Un divieto di commercializzare prodotti alimentari integrati con sostanze nutritive deve quindi basarsi su una valutazione approfondita del rischio fatto valere dallo Stato membro che invoca l’art. 30 CE” (punto 41). “Una decisione di vietare la commercializzazione di un prodotto alimentare arricchito […] può essere adottata soltanto qualora l’asserito rischio reale per la salute risulti sufficientemente dimostrato sulla base dei dati scientifici più recenti disponibili al momento della sua adozione […]” (punto 42). “Certamente, tale valutazione del rischio potrebbe rivelare che sussiste un’incertezza scientifica riguardo all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute. In tali circostanze, si deve riconoscere che uno Stato membro può adottare, in forza del principio di precauzione, provvedimenti cautelari senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. Tuttavia, la valutazione del rischio non può basarsi su considerazioni puramente ipotetiche” (punto 43). “Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio dedotto a causa della natura insufficiente, poco convincente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive” (punto 48). “[…] Gli artt. 28 CE e 30 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a che uno Stato membro vieti, salvo previa autorizzazione, la commercializzazione di prodotti alimentari, legalmente fabbricati e messi in vendita in un altro Stato membro, cui siano state aggiunte sostanze nutritive, quali vitamine o minerali, diverse da quelle il cui impiego è dichiarato lecito nel primo Stato membro, qualora risultino soddisfatti determinati requisiti. […] Una decisione che neghi l’autorizzazione alla messa in commercio deve fondarsi su un’approfondita valutazione del rischio per la salute, basata sui più affidabili dati scientifici disponibili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale” (punto 50), in Eur-lex, <https://eur-lex.europa.eu>.
[137] F. De lonardis, op. cit., p. 78 ss.; B. Bertarini, op. cit., p. 99 ss; S. Spuntarelli, op. cit.,
  1. 9.
[138] M. G. Stanzione, Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità della p.a. Profili di diritto comparato, in Comparazionedidirittocivile.it, 2016, p. 1, <http://www.comparazionedirittocivile.it>.
[139] M. G. Stanzione, ivi, p. 4; F. De Leonardis, op. cit., p. 63; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, op. cit.; S. Cassese, La nuova disciplina sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici, in Giorn. Dir. amm., 2001, p. 330 ss; F. Merusi, Dal fatto incerto alla precauzione: la legge sull’elettrosmog, in Foro amm., 2001, p. 221 ss.
[140] M. G. Stanzione, ivi, p. 3; F. De Leonardis, ibid.
[141] M. G. Stanzione, ivi, p. 4.
[142] M. G. Stanzione, ivi, p. 5.
[143] M. G. Stanzione, ibid.
[144] Articolo inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 “Ulteriori disposizioni correttive del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale”.
[145] Comma inserito dall’art. 38, comma 11-quater, del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164.
[146] Articolo sostituito dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205.
[147] “La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo; per esempio il recupero di energia; smaltimento”, art. 179, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
[148] Articolo sostituito dall’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205.
[149] M. G. Stanzione, op. cit., p. 5-6; S. Spuntarelli, op. cit., p. 5-6; F. De Leonardis, Principio di prevenzione e novità normative in materia di rifiuti, in Riv. quadrimestrale dir. dell’ambiente, 2011, 2, p. 16-17; L. Butti, Principio di precauzione, codice dell’ambiente e giurisprudenza delle corti comunitarie e della corte costituzionale, cit.
  1. G. Sgueo, I principi comunitari del diritto amministrativo ed il loro recepimento da parte del legislatore italiano, in it, 2007, <https://www.diritto.it>.
[150] M. G. Stanzione, op. cit., p. 7.
[151] Come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15.
[152] M. G. Stanzione, op. cit., p. 7; S. Spuntarelli, op. cit., p. 5; F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, cit., p. 57; F. Trimarchi, Principio di precauzione e “qualità” dell’azione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, 6, p. 1673 ss.; M. Antonioli, Precauzionalità, gestione del rischio e azione amministrativa, in Riv. it. Dir. pubbl. comunit. 2007, 1, p. 51 ss.
[153] M. G. Stanzione, ivi, p. 8 ss.; U. Corcuera Barcena, Principio di precauzione, in Masterdirittoprivatoeuropeo.it, p. 2, <http://www.masterdirittoprivatoeuropeo.it>; G. Di Cosimo, Corte costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, in Forumcostituzionale.it, 2015, 3, p. 1, <http://www.forumcostituzionale.it>; S. Grassi, A. Gragnani, Il principio di precauzione nella giurisprudenza costituzionale, in L. Chieffi (a cura di), Biotecnologie e tutela del valore ambientale, Torino, Giappichelli, 2003, p. 149 ss.; G. Galasso, Il principio di precauzione nella disciplina degli OGM, Torino, Giappichelli, 2006, p. 49 ss.; G. Manfredi, Note sull’attuazione del principio di precauzione, in Dir. pubbl., 2004, 3, p. 1106; S. Grassi, Problemi di diritto costituzionale dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2012, p. 102 ss.
[154] Corte Cost., 19 giugno 2002, n. 282, in Consulta online, <http://www.giurcost.org>.
[155] Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26 (Sospensione della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale e altri simili interventi di psicochirurgia), assumendo la violazione degli artt. 2, 32, 33, comma 1, e 117 comma 2, lettere l) e m), Cost. e, ove fosse stata ravvisata una competenza concorrente della Regione, dell’art. 117, comma 3, Cost. e dei principi recati dalle norme interposte quali quelle contenute negli artt. 1, 2, 3 e 5 della legge 13 maggio 1970, n. 180 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori), negli artt. 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), negli artt. 1 e 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e negli artt. 112, 113, 114 e 115 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
[156] Punto 4 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 282/2002, cit.
[157] Le parole “a rischio” sono virgolettate nel testo originale.
[158] Le parole “essenziale rilievo” sono virgolettate nel testo originale.
[159] Le parole “gli organi tecnico-scientifici” sono virgolettate nel testo originale.
[160] Punto 5 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 282/2002, cit.
[161] Punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 282/2002, ivi.
[162] G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, in Federalismi.it, 2006, 25, p. 3, <https://federalismi.it>. Secondo l’Autore, la Corte costituzionale svolge due tipi di controllo: quello relativo all’effettiva esistenza di dati scientifici all’origine delle misure adottate (c.d. controllo di “primo livello) e quello relativo all’effettiva esistenza di una situazione di incertezza scientifica in merito alla pericolosità/nocività di un certo fenomeno (c.d. controllo di “secondo livello”).
[163] Punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 282/2002, cit.
[164] F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, cit., p. 233 ss.; M. G. Stanzione, op. cit., p. 11 ss.; G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, cit., p. 3-4; Id., Corte costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, cit., p. 2.
[165] Corte Cost., 7 ottobre 2003, n. 307, in Cortecostituzionale.it, <https://www.cortecostituzionale.it>.
[166] Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della legge Regione Marche 13 novembre 2001, n. 25: dell’art. 3, commi 3 e 4, in riferimento agli artt. 117, commi 2, lettera s), e 3 (tutela della salute e ordinamento della comunicazione), Cost., ed in relazione agli artt. 1, comma 6, lettera a), n. 2, e 2, comma 6, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), all’art. 2, comma 1, del decreto legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, nella legge 20 marzo 2001, n. 66, e all’art. 2-bis, comma 2, del decreto legge 1° maggio 1997, n. 115 (Disposizioni urgenti per il recepimento della direttiva 96/2/CE sulle comunicazioni mobili e personali), convertito, con modificazioni, nella legge 1° luglio 1997, n. 189; dell’art. 3, comma 6, in riferimento all’art. 117, comma 3 (tutela della salute), Cost., ed in relazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici); e dell’art. 7, comma 3, in riferimento all’art. 117, comma 3 (ordinamento della comunicazione), Cost., ed in relazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge n. 36 del 2001; delle seguenti disposizioni della legge Regione Campania 24 novembre 2001, n. 13: dell’art. 1, comma 2, in relazione all’art. 117, comma 2, lettera s), Cost.; dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, in riferimento all’art. 117, comma 3 (tutela della salute e produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), Cost. ed in relazione agli artt. 4, comma 1, lettera h), e 5, comma 1, della legge 22 febbraio 2001, n. 36; dell’art. 3, in riferimento all’art. 117, comma 3 (tutela della salute e produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), Cost. ed in relazione agli artt. 4, comma 1, lettera d), e 9, della stessa legge n. 36 del 2001; dell’art. 7, in riferimento all’art. 117, comma 2, lettera s), Cost., anche in relazione all’art. 15 della stessa legge n. 36 del 2001; e dell’art. 8, in riferimento all’art. 117, commi 2, lettera s), e 3 (tutela della salute e produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), Cost. ed in riferimento all’art. 16 della stessa legge n. 36 del 2001; delle seguenti disposizioni della legge Regione Puglia 8 marzo 2002, n. 5: degli artt. 3, comma 1, lettera m); 4, comma 1; 10, commi 1 e 2, in riferimento all’art. 117, comma 2, lettera s), e 117, comma 3 (tutela della salute e ordinamento della comunicazione), Cost., e in relazione agli artt. 4, comma 2; 5, comma 1; e 8, comma 1, della legge 22 febbraio 2001, n. 36; delle seguenti disposizioni della legge Regione Umbria 14 giugno 2002, n. 9: degli artt. 1, commi 1 e 2; 2; 4, comma 1, lettera b); 5, commi 1, lettera c), e 2; 12, comma 1; 13 e 16, in riferimento agli artt. 3, 117, comma 2, lettera e) (tutela della concorrenza) e s) (tutela dell’ambiente), e 117, comma 3 (tutela della salute), Cost., ed in relazione agli artt. 4, commi 1 e 2; 5, comma 1; 8, comma 1; e 9, commi 3 e 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, e all’art. 1, comma 4, del d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale).
[167] In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 3, commi 4 e 6, e 7, comma 3.
[168] In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, comma 3, 3, comma 1, 4, limitatamente alle parole “per le finalità di cui al comma 1”, 7 e 8.
[169] In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2.
[170] In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, limitatamente alle parole “nonché mediante l’individuazione, in coerenza con le previsioni contenute nella legge n. 36/2001, di adeguati limiti di esposizione”, 2, 12, comma 1, 13 e 16.
[171] Punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 307/2003, cit.
[172] Punto 7 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 307/2003, ivi.
[173] Punto 8 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 307/2003, ivi.
[174] F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, cit., 246 ss.; M. G. Stanzione, op. cit., p. 14 ss.; G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, cit., p. 5.
[175] Corte Cost., 7 novembre 2003, n. 331, in Cortecostituzionale.it, <https://www.cortecostituzionale.it>.
[176] Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 12, lettera a), della legge della Regione Lombardia 6 marzo 2002, n. 4, ritenendo violata la competenza dello Stato prevista dall’art. 117, comma 2, lettera s), Cost. ed esercitata con la legge quadro 22 febbraio 2001, n. 36.
[177] Le parole “valori di attenzione” sono in corsivo nel testo originale.
[178] Le parole “limiti di esposizione” sono in corsivo nel testo originale.
[179] Le parole “obiettivi di qualità” sono in corsivo nel testo originale.
[180] Le parole “criteri localizzativi” sono virgolettate nel testo originale.
[181] Punto 4 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 331/2003, cit.
[182] Le parole “criteri localizzativi” sono virgolettati nel testo originale.
[183] Le parole “criteri di localizzazione” sono virgolettate nel testo originale.
[184] Le parole “limitazioni alla localizzazione” sono virgolettate nel testo originale.
[185] Punto 5.1 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 331/2003, cit.
[186] M. G. Stanzione, op. cit., p. 18 ss.
[187] Corte Cost., 14 novembre 2003, n. 338, in Consulta online, <http://www.giurcost.org>.
[188] Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della legge della Regione Piemonte 3 giugno 2002, n. 14 (Regolamentazione sull’applicazione della terapia elettroconvulsivante, la lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia): degli artt. 4, 5 e 6, in riferimento agli artt. 2, 32, 33, comma 1, 117, comma 3 (tutela della salute e professioni), Cost.; delle seguenti disposizioni della legge della Regione Toscana 28 ottobre 2002, n. 39 (Regole del sistema sanitario regionale toscano in materia di applicazione della terapia elettroconvulsivante, la lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia): dell’art. 3, commi 2, 3 e 4, in riferimento agli artt. 2, 32, 33, comma 1, 117, comma 3 (tutela della salute e professioni), Cost.
[189] In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 e, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell’art. 5.
[190] In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2, 3
e 4.
[191] In particolare, la legge della Regione Piemonte vietava l’utilizzo della terapia elettroconvulsivante sui bambini, sugli anziani e sulle donne in gravidanza salvo, in quest’ultimo caso, che l’applicazione fosse richiesta espressamente dalla paziente e autorizzata anche dal coniuge e dai familiari diretti della paziente. Inoltre, vietava l’utilizzo della lobotomia prefrontale e transorbitale, ed altri simili interventi di psicochirurgia (art. 4). La legge della Regione Toscana vietava l’utilizzo della terapia elettroconvulsivante sui, minori, sugli anziani oltre il sessantacinquesimo anno di età e sulle donne in stato di gravidanza, se non in caso di eccezionale e comprovata necessità medica, su espressa richiesta e autorizzazione dei familiari diretti del paziente nel caso dei minori, ovvero dal paziente stesso negli altri casi (art. 3, comma 2). Inoltre, l’utilizzo della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia (art. 3, comma 3).
[192] Punto 5.1 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 338/2003, cit.
[193] G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, cit., p. 6-7; V. Molaschi, Verso il superamento degli obblighi vaccinali: considerazioni alla luce del piano piemontese di promozione delle vaccinazioni 2006, in M. Andreis (a cura di), La tutela della salute tra tecnica e potere amministrativo, Milano, Giuffrè, 2006, p. 101.
[194] Corte Cost., 11 giugno 2004, n. 166, in Consulta online, <http://www.giurcost.org>.
[195] Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità della legge della Regione Emilia-Romagna 1° agosto 2002, n. 20, in riferimento agli artt. 117, commi 1, 2, lettera l), e 3; 33, Cost., e al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 116 (Attuazione della direttiva 86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici). In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 e, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, degli artt. 3 e 4.
[196] Legge 12 giugno 1931, n. 924, recante “Modificazione delle disposizioni che disciplinano la materia della vivisezione sugli animali vertebrati a sangue caldo (mammiferi e uccelli)”.
[197] La Corte Cost. osserva “[…] che esistono anche opinioni contrarie ad ogni specie di sperimentazione animale, dal momento che si asserisce che queste sperimentazioni sarebbero in realtà inefficaci, ma si tratta di opinioni scientifiche finora largamente minoritarie e non recepite né dal legislatore nazionale, né da quello comunitario”, punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 166/2004, cit.
[198] Punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 166/2004, cit.
[199] G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, cit., p. 4
[200] Corte Cost., 24 ottobre 2005, n. 406, in Consulta online, <http://www.giurcost.org>.
[201] Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge Regione Abruzzo 1° aprile 2004, n. 14, per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione al contrasto con la direttiva 2000/75/CE del 20 novembre 2000 (Direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni specifiche relative alle misure di lotta e di eradicazione della febbre catarrale degli ovini), e dell’art. 117, comma 2, lettere q) e s), Cost.
[202] Punto 3 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 406/2005, cit.
[203] M. G. Stanzione, op. cit., p. 13-14; G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, cit., p. 3; M. Sollini, Il principio di precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare. Profili critico-ricostruttivi, Milano, Giuffrè, 2006, p. 147 ss.
[204] Corte Cost., 17 marzo 2006, n. 116, in Consulta online, <http://www.giurcost.org>.
[205] La Regione Marche ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, in riferimento agli artt. 117, commi 1, 2, lettera s), 3, 4, 5, 6, e 118 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77, Cost. In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 6, comma 1, e 7 e, conseguentemente, degli artt. 5, commi 3 e 4, 6, comma 2, e 8.
[206] Adottato in attuazione della Raccomandazione 2003/566/CE del luglio 2003 (Raccomandazione della Commissione recante orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche) e convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2005, n. 5.
[207] Punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 116/2006, cit.
[208] G. Di Cosimo, Corte costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, cit., p. 1-2; Id., Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, cit., p. 4-5; M. G. Stanzione, op. cit., p. 21 ss; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, op. cit.
[209] Corte Cost., 9 maggio 2013, n. 85, in Consulta online, <http://www.giurcost.org>.
[210] Il Giudice per le indagini preliminare del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, in riferimento agli artt. 2, 3, 9, comma 2, 24, comma 1, 25, comma 1, 27, comma 1, 32, 41, comma 2, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112, 113 e 117, comma 1, Cost. In particolare, la Corte Cost., ha dichiarato la legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3.
[211] Convertito, con modificazioni, nella legge 24 dicembre 2012, n. 231.
[212] La parola “primari” è virgolettata nel testo originale.
[213] Punto 9 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 85/2013, cit.
[214] Punto 10 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 85/2013, ivi.
[215] Punto 10.1 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 85/2013, ivi.
[216] La parola “riesaminata” è virgolettata nel testo originale.
[217] Punto 10.2 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 85/2013, cit.
[218] Punto 10.2 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 85/2013, ivi.
[219] Punto 10.3 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 85/2013, ivi.
[220] G. Di Cosimo, Corte costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, cit., p. 3; R. Bertuzzi, A. Tedaldi, op. cit.; A. Morelli, Il decreto Ilva: un drammatico bilanciamento fra principi costituzionali, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 1, p. 7 ss., <https://www.penale-contemporaneo.it>; G. Arconzo, Note critiche sul “decreto legge ad Ilvam”, tra legislazione provvedimentale, riserva di funzione giurisdizionale e dovere di repressione e prevenzione dei reati, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 1, p. 16 ss., <https://www.penale-contemporaneo.it>; Id., Il decreto legge “ad Ilvam” approda alla Corte costituzionale: osservazioni preliminari al giudizio di costituzionalità, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 1, p. 28 ss., <https://www.penalecontemporaneo.it>; R. Bin, Giurisdizione o amministrazione, chi deve prevenire reati ambientali? Nota alla sentenza “Ilva”, in Giur. cost., 2013, 3, p. 1505 ss.
[221] Corte Cost., 5 dicembre 2014, n. 274, in Cortecostituzionale.it, <www.cortecostituzionale.it>.
[222] Il Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, in riferimento agli artt. 2, 3, e 32, Cost. In particolare, la Corte Cost. ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’art. 2.
[223] Convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 2013, n. 57.
[224] Punto 6 del Considerato in diritto, Corte Cost., n. 274/2014, cit.
[225] In particolare (in ordine cronologico): TAR Veneto, sez. II, 13 febbraio 2001, n. 236, in Aeranti, <http://www.aeranti.it>; Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2002, n. 3098, in Aeranti, <http://www.aeranti.it>; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2009, n. 7023, in Giustizia-amministrativa, <https://www.giustizia-amministrativa.it>; TAR Lazio, sez. II bis, 20 gennaio 2012, n. 663, in Neldiritto.it, <http://www.neldiritto.it>; Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250, in Clipper.arsedizioni.it, <https://clipper.arsedizioni.it>; Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2014, n. 4588, in Giustizia-amministrativa, <https://www.giustizia-amministrativa.it>; Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525, in Dirittoamministrazioni.it,  <http://www.dirittoamministrazioni.it>; Cons. Stato, sez. III, 6 febbraio 2015, n. 605, in Pubblicaamministrazione24, <https://quotidianoentilocali.ilsole24ore.com>; Cons. Stato, sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495, in Lexambiente.it, <http://www.lexambiente.it>; Cons. Stato, sez. III, 24 giugno 2015, n. 3195, in Giustizia-amministrativa, <https://www.giustizia-amministrativa.it>; Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2921, in Giustizia-amministrativa, <https://www.giustizia-amministrativa.it>; Cons. Stato, sez. VI, 31 agosto 2016, n. 3767, in Lexambiente.it, <http://www.lexambiente.it>; TAR Lombardia, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 60, in Anceaies.it, <https://www.anceaies.it>; TAR Lombardia, sez. I, 2 febbraio 2017, n. 153, in Reteambiente, <http://www.reteambiente.it>; TAR Lombardia, sez. I, 13 ottobre 2017, n. 1225, in Osservatorioagromafie.it, <http://www.osservatorioagromafie.it>; TAR Piemonte, sez. I, 22 gennaio 2018, n. 99, in Lexambiente.it, <http://www.lexambiente.it>; TAR Lombardia, sez. I, 16 aprile 2018, n. 419, in Lexambiente.it, <http://www.lexambiente.it>.
[226] M. Montanari, L. Ventaloro, La nuova legge sui vaccini tra prevenzione, obblighi e criticità, in Famiglia e diritto, 2018, 2, p. 177 ss.
[227] COM (2000) 1, punto 5.1.3.
[228] “Applicare il principio di precauzione […] significa […] adottare misure di tutela e prevenzione ambientale anche quando non sia assolutamente certo che un determinato fenomeno sia nocivo per l’ambiente, ma, al contempo, sussista un dubbio scientificamente attendibile che possa esserlo. […] Il principio di precauzione legittima l’adozione di misure di prevenzione, riparazione e contrasto ad una fase nella quale il danno non solo non si è ancora verificato, ma non esiste neanche la piena certezza scientifica che si verificherà”, G. Mancini Palamoni, Il principio di prevenzione, in Ambientediritto.it, 2014, p. 6 ss., <https://www.ambientediritto.it>.
[229] “A differenza della precauzione […] le misure di prevenzione si adottano quando è conosciuto con certezza il rischio provocato da certe azioni o da certe attività. […] Il principio di prevenzione si differenzia da quello di precauzione perché si occupa della prevenzione del danno rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o prodotti per i quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosità per l’ambiente”, G. Mancini Palamoni, ivi, p. 7 ss.
[230] G. Mancini Palamoni, ivi, p. 11; M. Marchese, Il principio di precauzione tra luci ed ombre, in Comparazionedidirittocivile.it, p. 3, <http://www.comparazionedidirittocivile.it>; F. De Leonardis, Principio di prevenzione e novità normative in materia di rifiuti, cit., p. 25; S. Spuntarelli, op. cit., p. 4.

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Avv. Andrea Persichetti

Dopo aver conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Camerino con tesi in Diritto Amministrativo ("Il principio di precauzione e la valutazione del rischio: il caso dei vaccini obbligatori"), ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino. Svolge la professione di Avvocato occupandosi di diritto civile e di diritto del lavoro, con particolare riguardo alla materia previdenziale, alle questioni di infortunistica sul lavoro e controversie INAIL. È abilitato a presentare istanze e ricorsi all'INPS ed è Intermediario abilitato a svolgere attività in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, ai sensi della Legge n. 12/1979. Collabora con l’Ufficio del Massimario dell’Associazione dei Giovani Avvocati di Torino – AGAT ed è autore di articoli di interesse giuridico. È iscritto all'Ordine degli Avvocati di Torino (Studio legale in Torino, Via Giannone n. 1 - Tel.: 011 51 11 005 - Mail: andreapersichetti91@gmail.com).

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