Abbandono di rifiuti e culpa in vigilando

Abbandono di rifiuti e culpa in vigilando

In materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono.

Invero, con specifico riguardo al tema dei rifiuti, la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda. Lo ha stabilito la Sezione Feriale penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41794, depositata il 14 settembre 2017.

Il reato di gestione non autorizzata di rifiuti… In relazione all’art. 256 d.lgs. n. 152/2006, la giurisprudenza ha recentemente stabilito che è imputabile per il predetto reato il prevenuto che esegua il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi in violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, che abilita la ditta all’attività di trasporto rifiuti. La contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni è infatti un reato di pericolo, la cui configurabilità presuppone la violazione delle prescrizioni imposte per l’esercizio di attività organizzata di gestione di rifiuti, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a ledere concretamente il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice.

Parimenti, il reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, riguardante, in via ordinaria e sull’intero territorio nazionale, l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, contempla segnatamente la condotta di chiunque effettui, tra le altre, una “attività di trasporto”: ebbene, con riguardo a tale fattispecie, plasmata, nelle sue componenti, in maniera, assolutamente uguale a quella impiegata dalla norma “speciale” ex lege n. 210/2008, la giurisprudenza non ha mai dubitato del fatto che per la integrazione della stessa, avente natura di reato istantaneo e solo eventualmente abituale, in quanto perfezionantesi nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, sia sufficiente un unico trasporto, da ciò discendendo, evidentemente, la non necessità di requisiti di continuatività e stabilità di sorta.

Peraltro, nel caso di continuatività dell’attività di trasporto, in quanto parte integrante, sia pure marginale, dell’organizzazione dell’impresa, occorre, ai sensi dell’art. 212, comma 8, del citato decreto, l’iscrizione semplificata dell’impresa nell’Albo Gestori Ambientali; in ogni caso, è sempre vietato il trasporto occasionale dei rifiuti prodotti dalla stessa impresa, la quale deve rivolgersi a gestore abilitato all’esercizio professionale di attività di trasporto dei rifiuti altrui.

…ed i presupposti della responsabilità in vigilando. In base all’orientamento riportato nella sentenza in commento, siamo in presenza della applicazione del principio generale della responsabilità per il mancato rispetto delle normativa di settore, come delineata dal d.l. 3 aprile 2006, n. 152, modificato dal d.l. 16 gennaio 2008, n. 4, discendente dalla attività di produzione di beni e servizi organizzata sotto forma di impresa, individuale o societaria o gestita in via istituzionale.

Inoltre l’ipotesi di reato di cui al comma 2 dell’art. 256 (ex art. 51 d.l. n. 22 del 1997) è ipotizzabile non soltanto in capo alle imprese o agli enti che effettuano una delle attività indicate al comma 1 dello stesso articolo (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), ma a qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all’art. 2082 c.c., o ente con personalità giuridica o operante di fatto.

La posizione del dirigente comunale e del Sindaco. Risponde del reato di cui all’art. 51 comma 3 d.l. 5 febbraio 1997 n. 22 (realizzazione o gestione di discarica non autorizzata) il dirigente dei servizi tecnici comunali, tra cui quello relativo alla nettezza urbana, che dispone, o non impedisce pur avendone l’obbligo giuridico, il deposito dei residui di potatura e pulitura degli alberi in zona adibita a discarica abusiva.

Riguardo alla distinta posizione del Sindaco, la Suprema Corte ha stabilito che, in tema di smaltimento dei rifiuti, e di responsabilità degli organi di governo locale per l’omesso controllo sull’operato dei dirigenti amministrativi, poiché le norme di ordinamento degli enti locali (art. 107 del d.l. 18 agosto 2000, n. 267, come integrato da specifiche disposizioni delle leggi finanziarie) conferiscono a detti dirigenti autonomi poteri di organizzazione delle risorse (anche mediante atti di rilevanza esterna non espressamente riservati agli organi di governo), le attività loro demandate sono oggetto – salvi casi particolari – di una competenza diretta ed esclusiva, mentre per gli organi di governo residua un dovere di controllo limitato al corretto esercizio della funzione di programmazione generale e, quanto al sindaco, dei compiti di ufficiale del governo, deputato all’eventuale adozione di ordinanze contingibili ed urgenti.


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