Abbandono di rifiuti e proprietario incolpevole

Abbandono di rifiuti e proprietario incolpevole

Per l’art. 183 D.L.gs. 152/2006, i rifiuti si definiscono e per un profilo oggettivo-materiale e per un profilo soggettivo, con ciò significando che la normativa degli illeciti ambientali a questi riferita si connota per l’essenzialità del profilo intenzionale, stante l’intrinseca natura antropica dell’oggetto che disciplina: “gli obblighi di corretta gestione e smaltimento dei rifiuti sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi” (Cass. Pen.Sez.III, num. 2206/2005).

Le Sezioni Unite si sono più volte pronunciate, in un continuum logico, sulla natura commissiva delle fattispecie di cui all’art. 256 D.lgs. 152/2006 (ex multis: Cass. Pen. SS.UU. 12753/1994; Cass. Pen. III Sez.,137/2007; Cass. Pen. Sez.III, 29460/2010; Cass. Pen.III Sez. 48050/2010). Destinatario della norma penale è il gestore della discarica ovvero il gestore abusivo di una delle ipotesi elencate nel I comma, e non il proprietario – cd. proprietario incolpevole – del terreno sul quale si attua la condotta illecita: “il proprietario di un terreno nel quale terzi depositino ripetutamente rifiuti non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti” (Cass. Pen, Sez. III 2206/2005).

Emblematica sul punto è la recente Cass. Sez. III 40528/2014 che stigmatizza in maniera inequivocabile la totale assenza di una cd. responsabilità di posizione del proprietario:

“In difetto di elementi di diretta partecipazione al reato o di un contributo materiale o morale nell’illecita gestione dei rifiuti, non è configurabile una responsabilità “di posizione” del proprietario dell’area. Come, infatti, autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva; ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza (Sez. U, n. 12753 del 05/10/1994 – dep. 28/12/1994, Zaccarelli, Rv. 199385). Per tale ragione, questa stessa Sezione, in linea con l’insegnamento del Massimo Consesso, ha ribadito che i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio realizzati da terzi estranei nel fondo di proprietà, (Sez. F, n. 44274 del 13/08/2004 – dep. 12/11/2004, Preziosi, Rv. 230173).”

Una residua possibilità di configurare una condotta omissiva, ai sensi del comma 2 dell’art. 40 c.p., può verificarsi solo ove il soggetto agente rivesta una posizione cd. di garanzia, essendo appunto titolare di specifico obbligo giuridico di impedire la realizzazione dell’evento, non genericamente ascrivibile ai principi solidaristici e sociali di cui agli artt. 2, 41 e 42 Cost. (Cass.Pen. Sez. III 21966/2005; Cass. Pen. Sez. III, n. 2206/2005).

Con particolare riferimento alle ipotesi di discariche abusive, l’orientamento giurisprudenziale risulta inequivocabilmente coeso nell’escludere una responsabilità ex art. 40 c.p. anche laddove vi sia consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi (Cass. Pen. Sez. III, n.19284/2011); in particolare è stata esclusa la responsabilità del proprietario quando “manca ogni riferimento alla condotta materialmente posta in essere dall’indagato e né vengono specificate le ragioni per le quali – se detta condotta fosse attribuibile a terzi – in quali termini verrebbe a configurarsi il concorso del proprietario”. (Cass. Pen. III sez. 47501/2013).

Inoltre la stessa Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, del 9 marzo 2010 procedimento C 378/08, ha escluso qualsiasi automatismo nell’imputazione della responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale disciplinata dalla Direttiva 2004/35/CE, chiarendo che l’autorità competente non può prescindere dall’esistenza di un nesso causale nella imputazione di responsabilità.

La vigilanza sull’igiene e salubrità delle aree urbane è competenza del Comune, ai sensi dell’art. 13 del D.P.R. 267/2000; la giurisprudenza amministrativa ha precisato che, ai sensi del successivo art. 14 del medesimo D.P.R. ”la condizione di colpa che rende il proprietario del fondo corresponsabile con gli autori materiali dell’abbandono non autorizzato di rifiuti – e consente al Comune di ingiungergli di provvedere al loro smaltimento, sotto pena di esecuzione in danno – consiste per lo più nella negligenza, dimostrata da una prolungata inerzia”(T.A.R. Friuli V.G., n. 692/2000).

Ad avvalorare quanto enucleato, la disciplina di cui all’art. 192 dello stesso T.U.A. stabilisce che la corresponsabilità del proprietario all’obbligo di rimozione ed al ripristino dello stato dei luoghi è ipotizzabile solo in caso di imputabilità a titolo di dolo o colpa, che risultino dagli accertamenti effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati ( vedasi Cons. Stato,Sez. II parere del 7 novembre 2007, num. 223). Laddove gli accertamenti effettuati non siano in grado di portare alla puntuale individuazione dei responsabili, è compito della Amministrazione comunale attivarsi, con i mezzi e gli strumenti normativi dati, al fine di salvaguardare la salute dei cittadini (Consiglio di Stato, sez. V, 2 Aprile 2001, n. 1904; TAR Piemonte, Torino, sez. II, 6 Marzo 2004 n.365; TAR Campania, Napoli, sez. I, 19 febbraio 2002,n. 990).

Secondo il Consiglio di Stato, parere del 7 novembre 2007 n. 2231, l’art. 192 TUA presuppone l’accertamento della responsabilità da illecito in capo al destinatario, occorrendo che sussista un atteggiamento di volontà dell’effetto ovvero un comportamento negligente, imprudente o affetto da imperizia, dovendosi viceversa escludere la sussistenza dell’obbligo di smaltimento a carico del proprietario incolpevole, che sia ritenuto responsabile sulla base di un principio presuntivo di responsabilità oggettiva.

Nel caso in cui l’illecito abbandono abbia generato una compromissione tale del sito inquinato da richiedere, oltre alla rimozione, la bonifica dello stesso, i medesimi principi si applicano qualora si imponga tale attività su un suolo di proprietà privata: la recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. VI n. 4119 del 5 ottobre 2016) ha ribadito che l’imposizione della bonifica da parte della Pubblica Amministrazione ai sensi degli artt. 242, comma 1, e 244, comma 2, del Testo Unico dell’ambiente, può aversi solo in presenza dei necessari presupposti di imputabilità del proprietario il quale, altrimenti, resta “incolpevole”:

“In ordine ai limiti della responsabilità per danno ambientale del proprietario attuale delle aree interessate da un fenomeno di inquinamento non ascrivibile sul piano eziologico alla sfera di azione del proprietario medesimo, deve ribadirsi – anche alla luce dei principi desumibili dal diritto europeo e dall’impianto del Codice dell’ambiente – il principio che esclude l’imposizione, a carico del proprietario estraneo all’inquinamento del sito, di misure di prevenzione o di riparazione, fatta eccezione per quelle che il soggetto intraprenda spontaneamente ai sensi dell’art. 245 codice ambiente”.

Infine, nel caso in cui, l’area contaminata e oggetto di abbandono illecito ricada su strada pubblica, non sussiste dubbio alcuno circa l’obbligo da parte della P.A. di intervenire, specie in caso di segnalazioni da parte dei cittadini con la dovuta precisazione che, in caso di inadempienza, sussisteranno i presupposti per il reato di omissione d’atti d’ufficio (art. 328 c.p.). Sul punto chiarisce sempre il Consiglio di Stato che “ai sensi dell’articolo 14 del Decreto Legislativo 30 aprile 1992 n. 285, (noto come Codice della strada), spetta agli enti proprietari provvedere alla loro manutenzione, gestione e pulizia, comprese le loro pertinenze e arredo, nonché attrezzature, impianti e servizi e, quindi, non limitatamente al solo nastro stradale, ma anche alle piazzole di sosta, onde siano garantite la sicurezza e la fluidità della circolazione”. Infatti, seppure per un verso non può negarsi che l’art. 14 del D.L.vo n. 22/1997, oggi sostituito dall’art. 192 TUA, preveda la corresponsabilità solidale del proprietario o del titolare di diritti personali o reali di godimento sull’area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, con il conseguente suo obbligo di provvedere allo smaltimento ed al ripristino, solo in quanto la violazione sia imputabile anche a quei soggetti a titolo di dolo o colpa; per altro verso esigenze di tutela ambientale sottese alla predetta norma rendono evidente che il riferimento è a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stessa imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente. Il requisito della colpa postulato da detta norma ben può consistere proprio nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficacia custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere indebitamente depositati rifiuti nocivi”.


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