Aberratio ictus e aberratio delicti
Quando si parla di un reato aberrante si deve prendere come riferimento la disciplina dettata dagli artt. 82 e 83 c.p. Il primo articolo parla del c.d. aberratio ictus che si ha quando nel commettere un reato, per errore nei mezzi di esecuzione o per altra causa, si cagiona un’offesa ad una persona diversa rispetto quella cui l’offesa era originariamente diretta. Al secondo comma viene specificato che, se oltre alla persona diversa, si reca offesa anche alla persona alla quale l’offesa era diretta, non solo si risponde del reato ma il colpevole viene assoggettato alla pena prevista per il reato più grave aumentata della metà. Il primo comma descrive l’aberratio ictus monolesiva, il secondo l’aberratio ictus biooffensiva. Il tema del reato aberrante viene spesso trattato in concomitanza con la rilevanza dell’errore quale causa di esclusione della colpevolezza. In questo caso l’errore sull’identità della vittima non ha alcuna rilevanza in ordine alla colpevolezza e alla necessità di assoggettare il colpevole alla pena stabilita. L’aberratio tratta del c.d. errore inabilità che si differenzia dall’errore motivo in quanto concerne la fase esecutiva del reato e comporta un esito differente rispetto a quello preventivato dal soggetto agente in ordine alla vittima nel caso dell’art.82 c.p. Tuttavia, l’errore sul soggetto passivo del reato non ha alcuna rilevanza in ordine alla colpevolezza e all’assoggettabilità del colpevole ad una pena, infatti il soggetto agente ha comunque realizzato una condotta tipica comprensiva di un’offesa ad un bene giuridico tutelato da una norma penale. In definitiva, l’identità del soggetto passivo non è un elemento essenziale della fattispecie penale e non rileva in materia di dolo. Una tesi minoritaria afferma che l’art.82 c.p. a ben guardare stravolgerebbe le regole generali del dolo. Tizio si rappresenta e vuole uccidere Caio, ma uccide Sempronio. Secondo i sostenitori di questa tesi Tizio non avendo avuto alcuna intenzione di uccidere Sempronio dovrebbe rispondere di un concorso di reati e non di omicidio volontario, ma di tentativo verso Caio e di omicidio colposo verso Sempronio. Questa lettura solleva però il problema del tentativo. Ossia Tizio dovrebbe rispondere di tentativo solo se compie atti idonei diretti in modo non equivoco a colpire la vittima designata, ma quando egli non compie nulla di tutto questo, e cionondimeno arreca l’offesa ad una terza persona non potrà vedersi ascritto il tentativo, ma dovrebbe rispondere della fattispecie colposa del reato commesso.
Diverso è invece il caso in cui si realizzi sia il tentativo nei confronti della vittima originaria sia l’offesa nei confronti di un’altra persona. In concreto ci sarebbe un reato tentato e uno consumato. La giurisprudenza in genere ritiene che il tentativo venga assorbito nel disvalore giuridico del reato consumato. Pertanto, il reo verrebbe punito solo per l’offesa arrecata alla vittima secondaria. Questa tesi vede il tentativo non come reato di offesa ma di pericolo che, di fatto, non arreca nessuna offesa ad un bene giuridico ma semplicemente lo mette in pericolo.
L’art. 82 inoltre, non contempla l’ipotesi in cui vengano offesa più persone diverse dalla vittima designata la quale rimanga totalmente indenne. Secondo la giurisprudenza il fatto sarebbe sussumibile sotto al primo comma mediante un’interpretazione estensiva e non sotto al secondo che richiede il quid pluris dell’offesa anche all’originaria vittima. Tuttavia, il trattamento sanzionatorio in caso di plurilesività dovrebbe, per la giurisprudenza, coincidere con quello più severo espresso al secondo comma dell’art. 82 c.p. La criticità di questa soluzione risulterebbe nel trattamento identico di fattispecie differenti in violazione dell’art. 3 Cost. Sembra pertanto preferibile riscontrare in quest’ultima ipotesi un concorso di reati ed applicare la disciplina dettata dall’art. 81 c.p. (pena per il reato più grave aumentata sino al triplo).
Il secondo comma dell’art. 82 c.p. tratta dell’ipotesi bioffensiva, ossia quando si arreca offesa sia alla persona originariamente designata sia ad un’altra. In questo caso si soggiace alla pena stabilita per il reato più grave aumentata della metà. A differenza dell’ultima ipotesi paventata del concorso di reati ove le offese possono essere più di due e questo giustifica un trattamento sanzionatorio più severo, in questo caso le persone offese possono essere soltanto due. Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che siamo in presenza di una pluralità di reati unificato sotto al profilo della pena. Nello specifico, si individua un primo reato doloso e un secondo reato colposo.
L’art. 83 c.p. parla dell’aberratio delcti che si verifica quando un soggetto per errore nei mezzi di esecuzione o per altra causa cagiona un evento diverso da quello prefissato. Poiché la norma codicistica parla espressamente di evento si deve ritenere che possa applicarsi soltanto ai reati con evento naturalistico. Inoltre, la norma stessa afferma che il reo risponderà dell’evento non voluto a titolo di colpa se il reato è previsto come colposo dall’ordinamento.
Il secondo comma dell’art. 83 c.p. esplica il caso in cui oltre all’evento non voluto si produca anche quello voluto. Si applicherebbero, nel caso, le norme sul concorso di reati.
È interessante accennare all’ipotesi di aberratio causae la quale ricorre quando un soggetto si raffigura e vuole commettere un reato secondo un certo iter causale ma si verifica una successione causale diversa lasciando l’esito inalterato. È opinione diffusa che il diverso iter causale non rilevi e il reo risponderà del reato commesso.
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Silvia Mallamaci
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