Abuso dei mezzi di correzione da parte della maestra
“Integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorchè minima ed orientata a scopi educativi”, è così che la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata con sentenza n. 37642 del 18 ottobre 2021.
La decisione tra le sue origini dalla decisione del Giudice di seconde cure che aveva confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di abuso dei mezzi di correzione e disciplina, previsto dall’art. 571 c.p., nei confronti di una insegnante della scuola primaria che, per punire un alunno per avere sputato per terra, lo aveva fatto sputare, a sua volta, addosso dai compagni di classe, applicando un metodo educativo definito “role play”.
La Corte di Cassazione, disattendendo la tesi difensiva secondo cui la maestra non era perseguibile perché non poteva ritenersi sussistente l’elemento soggettivo del delitto, posto che l’insegnante si era mossa nella sicura convinzione che la sua condotta rientrasse nei limiti dello ius corrigendi ed in applicazione di un metodo, role play, che aveva già applicato in altri contesti, ha ribadito il principio di cui in apertura.
L’art. 571 c.p. punisce “se dal fatto deriva pericolo di una malattia nel corpo o nella mente” con la reclusione fino a mesi sei la condotta di chiunque abusi dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583 c.p. ridotte ad un terzo; se ne deriva la morte si applica la reclusione da anni tre ad otto.
L’abuso cui la norma fa riferimento presuppone l’esistenza, tra soggetto attivo e passivo di tale reato, di un rapporto di affidamento legittimante l’uso di poteri disciplinari finalizzati, sulla base dei principi costituzionali, alla stessa protezione del soggetto nei confronti del quale tali poteri vengono attribuiti.
La giurisprudenza ha più volte determinato con continuità che non tutti i mezzi di correzione sono da ritenersi leciti, essendo che la valutazione dell’abuso va calata nel caso concreto, per cui solo l’uso di un mezzo correttivo lecito, ma realizzatosi con modalità che ne snaturino la funzione stessa, integrerebbe reato.[1]
Ciò in quanto l’autoritarismo sterile, quale metodo educativo, configurerebbe non un abuso dei mezzi di correzione ma l’ipotesi, più grave, di maltrattamenti.[2]
Gli atti di violenza esercitati da una maestra di scuola materna, nei confronti di infanti di tre anni, vanno qualificati come maltrattamenti in famiglia.[3]
Infatti, il compimento sistematico di atti di natura vessatoria integra il reato ex art. 572 c.p. anche qualora le condotte dell’agente siano sorrette da intento educativo o animate da spirito di protezione[4] e anche quando siano sempre sorrette da ius corrigendi[5].
Nel caso in esame la Corte di Appello aveva confermato il giudizio di penale responsabilità per il reato di abuso dei mezzi di correzione e disciplina nei confronti di una maestra di primo grado, ad esito di giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell’insegnante aveva sostenuto l’erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto ex art. 571 c.p., posto che, nel caso di specie, essa era mossa nella sicura convinzione che la sua condotta rientrasse nei limiti dello ius corrigendi.
La Cassazione ha, invece, sottolineato che i bambini, su conforme indicazione dell’insegnante, non si erano limitati a mimare il gesto dello sputo, ma avevano realmente sputato al loro compagno di classe; quel comportamento, dunque, indotto dalla maestra, integrava il reato contestato, reato che richiede il dolo generico, ossia la volontà di abusare dei mezzi di correzione, mentre il fine disciplinare costituisce un elemento della fattispecie e non una qualificazione dell’elemento soggettivo.
Secondo la Suprema Corte il Giudice di merito aveva applicato il principio di diritto in maniera corretta. Infatti, secondo costante orientamento della Cassazione integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi, posto che un bambino di soli sei anni veniva esposto, su indicazione della maestra, ad una punizione mediante denigrazione e ludibrio, servendosi dei suoi compagni di classe, abusando, in tal modo, dolosamente dei mezzi di correzione e disciplina.
Da qui la ritenuta inammissibilità del ricorso.
[1] Cass. Pen. sez. V sent. n. 44109/2018; Cass. Pen. Sez. VI sent. n. 8074/2016;
[2] Ex multis: Cass. Pen. Sez. VI n. 43673/2002;
[3] Cass. Pen. Sez. VI sent. n. 11956/2017;
[4] Cass. Pen. Sez. VI sent. n. 9154/2017;
[5] Cass. Pen. Sez. VI sent. n. 36832/2019; Cass. Pen. Sez. III sent. n. 17810/2019;
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Adriana Arcari
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