Abuso di sostanze alcoliche e violenza sessuale
Sommario: 1. L’iter processuale e l’aggravante – 2. La svolta della Cassazione – 3. Una diversa valutazione dell’uso di sostanze alcoliche nella violenza sessuale – 4. La giusta sentenza della Cassazione – 5. Violenza sessuale, consenso e aggravante – 6. La mancata comprensione di un pronuncia a tutela delle donne
Correva l’anno 2009. Due uomini sulla cinquantina decidevano di uscire a cena con una giovane ragazza bresciana. I tre scherzavano e trascorrevano allegramente la serata, appagati dal cibo ed eccitati dalla consumazione spasmodica e sconsiderata di sostanze alcoliche. Tuttavia, non serve molto perché la serata degeneri rapidamente, la donna, infatti, non essendo più in grado di autodeterminarsi e lasciatasi convincere a seguirli in albergo, veniva ripetutamente abusata. A distanza di qualche ora, recatasi al Pronto Soccorso, aveva confusamente ricostruito i fatti e deciso di sporgere denuncia.
1. L’iter processuale e l’aggravante
E proprio la poca chiarezza e lucidità, che tuttavia risulta essere una “debolezza” comprensibile in una donna scossa, abusata e reduce da una pesante consumazione alcolica, aveva portato il Gup di Brescia nel 2011 ad assolvere in primo grado gli imputati. La Corte d’Appello, poi, come spesso accade in casi particolarmente contestati e complicati aveva ribaltato completamente lo scenario sanzionatorio, condannando i due uomini a tre anni, sulla base di una diversa valutazione del referto medico. Lo stesso referto che in primo grado non aveva consentito la rappresentazione della avvenuta violenza, dati i leggeri segni di una flebile resistenza, acquisiva ora una importanza determinante per la ricostruzione della vicenda. Il giudice, nella valutazione della pena in concreto applicava altresì l’aggravante di “aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche”, aggravante che aveva rinvigorito le opposizioni della difesa, che, negando che qualsivoglia abuso fosse stato posto in essere, asseriva altresì che la ragazza aveva volontariamente deciso di ubriacarsi, non essendo dunque possibile imputare ai loro assistiti la condizione di incoscienza autodeterminata dalla stessa.
2. La svolta della Cassazione
Si pronuncia infine la Cassazione. È lunedì 17 luglio 2018, i giudici confermano la violenza sessuale, in quanto la donna non poteva dare un “valido consenso” alla congiunzione carnale, per lo stato di incoscienza in cui versava. Incoscienza, determinata dal consumo volontario di ingenti quantità di sostanze alcoliche, che dunque, a rigor di legge non consentono l’applicazione dell’aggravante espressa in sede di Appello, dovendo invece essere, per la determinazione e applicazione dell’aggravante, il soggetto attivo del reato a somministrare intenzionalmente le suddette sostanze alcoliche al fine di commettere la violenza sessuale. L’uso volontario delle bevande alcoliche alteranti il suo stato di coscienza incideva ed inficiava la determinazione di un consenso valido, determinando l’integrazione della fattispecie di abuso sessuale, e dunque mai così come in questa pronuncia la Cassazione si mostrava dalla parte delle donne. C’è violenza sessuale, a prescindere da chi ha indotto lo stato di incoscienza in cui versa la vittima, si è al cospetto di una vera e propria svolta giurisprudenziale, una svolta coraggiosa che tutela la donna e non la svilisce, come invece molte testate giornalistiche, vittime di un grossolano fraintendimento mediatico, hanno denunciato nei giorni seguenti.
3. Una diversa valutazione dell’uso di sostanze alcoliche nella violenza sessuale
La difesa degli imputati lamentò la mancata sussistenza di qualsivoglia elemento idoneo ad integrare una violenza, avendo la ragazza volontariamente assunto ingenti quantità di alcol e dunque non essendoci alcun disegno criminoso o raggiro da parte dei due uomini. In passato, più volte in casi analoghi si era sostenuto che lo stato di incoscienza determinato dall’assunzione di bevande alcoliche, non consentiva la corretta valutazione in merito alla esistenza o meno del consenso al momento del fatto. Molti avvocati difensori costruivano le loro difese processuali asserendo che, dato l’evidente alterazione cognitiva della ragazza ed altresì dell’abusante, il loro assistito aveva male interpretato le intenzioni della ragazza, confondendo dunque l’alterazione alcolica e l’euforia indotta, per un consenso alla congiunzione amorosa. Così non è stato il 17 luglio 2018, per la prima volta la Cassazione afferma che c’è violenza sessuale, c’è stupro, c’è abuso e imposizione di un atto non voluto ogni qual volta il consenso alla congiunzione non sia esplicitamente e volontariamente espresso. A prescindere da chi abbia indotto lo stato di incoscienza c’è violenza sessuale di gruppo con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, affermano gli Ermellini, mancando un valido consenso.
Discorso a parte va fatto per l’aggravante, infatti l’assunzione volontaria di alcol esclude la sussistenza dell’aggravante, poiché deve essere il soggetto attivo del reato a somministrare la bevanda alla vittima, al fine di commettere la violenza. L’uso volontario, incide si sulla valutazione del valido consenso ma non anche sulla sussistenza della aggravante.
4. La giusta sentenza della Cassazione
Nel caso in questione, i due uomini assolti in primo grado e condannati in Appello, avevano adito il terzo grado di giudizio, lamentando la mancata sussistenza della violenza e dell’aggravante. Ed è su quest’ultima che si pronuncia la Suprema Corte. C’è la violenza, non sussiste invece l’aggravante. Se i due uomini avessero continuamente versato alcol alla ragazza con la finalità e l’intenzione di costringerla poi ad un rapporto sessuale, sarebbe stato legittimo l’aumento di pena ex art. 609 ter, n.2 del codice penale. Ma così non è stato. La ragazza ha volontariamente determinato il suo stato di incoscienza, situazione che non consente dunque la rappresentazione dell’aggravante così come descritta dalla legge.
Quella che, a mio avviso, è stata una pronuncia all’avanguardia e innovativa in termini di contrasto alla violenza contro le donne e di tutela di genere, è stata fraintesa e criticata dall’opinione pubblica. Si è gridato alla scandalo, una “sentenza che umilia la dignità delle donne”, “che ci riporta indietro di decenni”. Ed all’attacco mediatico si aggiunge anche l’attacco politico. “ Sul corpo e sulla vita delle donne la cultura, soprattutto quella giuridica, non avanza di un passo, anzi. La sentenza della Cassazione ci porta indietro di decenni” dichiara Alessia Rota, vicepresidente vicaria dei deputati del Partito Democratico. “Lascia sconcertati – incalza la deputata e leader di Forza Italia Giovani Annagrazia Calabria – la decisione della Cassazione di negare l’aggravante nel caso in cui la vittima di uno stupro abbia abusato di alcol. Far passare anche solo lontanamente l’idea che approfittare della mancanza di pieno autocontrollo da parte di una donna non sia un comportamento da punire in maniera ancora più dura è un passo indietro nella cultura del rispetto e nella punizione di un gesto ignobile e gravissimo quale è lo stupro”.
Tutte affermazioni che, pur moralmente condivisibili sull’onda di una esasperazione sociale, non tengono in considerazione il disposto del Codice Penale. Il giudice è “bocca della legge” e dunque è chiamato ad applicare la legge, cosi come positivamente espressa, perché frutto di scelte democratiche e non arbitrarie o dispotiche. In questo caso applicare l’aggravante avrebbe determinato una violazione della legge, un vulnus e dunque anche un precedente, pericoloso e strumentalmente utilizzabile. Anche in casi come questi, dove la riprovazione sociale per la violenza perpetrata potrebbe condizionare il giudizio e spingere verso una durezza sanzionatoria fuori dalla norma, è stata invece importante l’aderenza codicistica tenuta dalla Cassazione. Per quanto acre, odioso e vile sia un comportamento perpetrato da un uomo, il sentimento non può e non deve condizionarne la risposta sanzionatoria. Il nostro apparato costituzionale è di tipo positivo, scritto ed il giudice non può, a maggior ragione perché spinto dall’opinione pubblica, violare i parametri legislativi e rendersi a sua volta autore di una violazione.
Ciò che rileva e che emerge per la sua importanza preponderante, dunque, in questa sentenza tanto discussa, non è la mancata aggravante ma il riconoscimento della avvenuta violenza.
5. Violenza sessuale, consenso e aggravante
Il dispositivo dell’articolo 609 bis del Codice Penale afferma che “ Chiunque, con violenza o minaccia mediante abuso di autorità costringe a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”. Il secondo comma fa dunque riferimento ad una situazione in cui il volere della vittima sia stato condizionato e dunque risulti non espresso liberamente, anche mediante induzione e dunque in assenza di una azione diretta. Il consenso, quindi, acquisisce una posizione determinante per l’integrazione del reato. Per essere valido, esso deve esserci in qualsiasi momento, dall’inizio della congiunzione alla fine. Deve essere libero e non condizionato. Così come non è richiesto un rifiuto espresso o urlato per capire che un atto non è voluto, a volta si ha paura di dire di no, altre non si è nelle condizioni mentali o fisiche per esprimere un qualsivoglia giudizio.
Negli ultimi anni in Italia, l’attenzione al consenso è cresciuta esponenzialmente, dalla adesione alla Convenzione di Istanbul, primo autorevole documento che ne ha evidenziato la problematica importanza, alla sentenza del 29 gennaio 2008 in cui la Cassazione stabilì che “ Il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di violenza sessuale la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga poi meno a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso”.
6. La mancata comprensione di un pronuncia a tutela delle donne
Ecco perché è così importante la pronuncia del 17 luglio 2018. È violenza sessuale. È violenza perché la ragazza non era in grado di scegliere. È violenza perché non ha potuto esprimere un valido consenso. È violenza a prescindere dalla circostanza che l’alcol fosse stato volontariamente assunto dalla stessa. Il polverone mediatico sollevato in merito al mancato riconoscimento della aggravante ex 609 ter per uso di sostanze alcoliche, rischia di far perdere di vista il grande passo in avanti compiuto dalla Cassazione. L’aggravante poco rileva nel caso di specie, non sussistevano i requisiti per il suo accoglimento . Nulla da dire, nulla da aggiungere. È l’affermazione della violenza sessuale che andava valorizzata, ritengo che questa, più di tante altre, sia stata una pronuncia per le donne e con le donne. Si riconosce l’inviolabilità del corpo e la libera autodeterminazione a tutto tondo, non importa chi abbia causato lo stato di temporanea incapacità, senza consenso esplicito e volontario è abuso.
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Giulia Romana Guida
Dottoressa in Giurisprudenza. Praticante avvocato presso il foro di Roma e tirocinante presso il Tribunale per i Minorenni. Tesi di laurea in diritto Penale: "Violenza di genere e movente culturale".
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