Abuso d’ufficio la Cassazione ridefinisce la portata dell’articolo 323 del c.p.
Il reato di abuso d’ufficio, normativamente disciplinato dall’articolo 323 del Codice Penale, è stato oggetto, recentissimamente, di una novella legislativa. La modifica, operata dall’articolo 23, comma 1, del Decreto Legge 16 Luglio 2020 n° 76, convertito nella Legge 11 settembre 2020 n° 120, riguarda, nello specifico, il comma 1 dell’articolo 323 del Codice Penale.
Abuso d’ufficio, la modifica legislativa. Il Legislatore, con la novella legislativa sopra menzionata, è andato a modificare il terzo periodo del primo comma dell’articolo 323 del Codice Penale. Nella versione previgente, infatti, erano inserite le parole “di norme di legge o di regolamento”. Ora, il testo del terzo periodo dell’articolo 323 fa riferimento a “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Facendo perno su questa modifica operata dal Legislatore, la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione nella Sentenza n°442/2021 depositata in Cancelleria l’08/01/2021 ha ridefinito, restringendola, la portata applicativa, dello stesso articolo 323 del Codice Penale rispetto a quello previgente.
Abuso d’ufficio, il nuovo perimetro di applicazione dell’articolo 323 c.p.. Prescindendo dal caso di specie che, in estrema sintesi, riguardava il ricorso presentato da un cittadino cagliaritano contro la decisione della Corte d’Appello del Capoluogo sardo che aveva confermato la sentenza di primo grado dello stesso Tribunale di Cagliari e condannato il ricorrente per il reato di cui agli articoli 81 e 323 del Codice Penale, e il cui reato è stato dichiarato dalla Suprema Corte estinto per intervenuta prescrizione, Il giudice di legittimità afferma di non potersi esimere dall’esaminare la questione della rilevanza della recente formulazione dell’articolo 323 del Codice Penale a seguito della novella legislativa sopra citata.
La Cassazione chiarisce che la ragion d’essere della figura di reato della delineata da una norma di chiusura, come l’articolo 323 del Codice Penale, è ravvisata nell’obiettivo di tutelare i valori fondanti dell’azione della Pubblica Amministrazione, che l’articolo 97 della Costituzione indica nel buon andamento e nell’imparzialità. Da ciò deriva che i nuovi elementi di fattispecie oggetto della violazione penalmente rilevante, introdotti dalla recente riforma, sono costituiti dalle “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Di conseguenza, la Suprema Corte fa notare come in luogo del generico richiamo della previgente disciplina alla indeterminata violazione “di norme di legge o di regolamento”, si pretende oggi che la condotta produttiva di responsabilità penale del pubblico funzionario sia connotata, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, dalla violazione di regole cogenti per l’azione amministrativa, che per un verso siano fissate dalla legge e per altro verso siano specificamente disegnate in termini completi e puntuali. Di qui, continua la Cassazione, il lineare corollario della limitazione di responsabilità penale del pubblico funzionario, qualora le regole comportamentali gli consentano di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa, anche tecnica. Quest’ultima, si precisa, va intesa nel suo nucleo essenziale come autonoma scelta di merito, effettuata all’esito di una ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati, dell’interesse primario pubblico da perseguire in concreto.
E questo sempreché l’esercizio del potere discrezionale non trasmodi in una vera e propria distorsione funzionale dei fini pubbici, intesi come uno sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità, laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito; oppure si sostanzi nell’alternativa modalità della condotta, rimasta penalmente rilevante, dell’inosservanza dell’obbligo di astensione in situazione di conflitto d’interessi.
Da ciò la Cassazione sostiene che la nuova disposizione normativa ha un ambito applicativo ben più ristretto rispetto a quello definito con la previgente definizione della modalità della condotta punibile, sottraendo al giudice penale tanto l’apprezzamento dell’inosservanza di principi generali o di fonti normative di tipo regolamentare o subprimario, quanto il sindacato del mero “cattivo uso”, cioè la violazione dei limiti interni nelle modalità d’esercizio, della discrezionalità amministrativa.
Da quanto premesso, la Cassazione rileva come sia indubitabile che si realizzi una parziale abolitio criminis in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma, che non siano più riconducibili alla nuova versione dell’articolo 323 del Codice Penale, siccome realizzati mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali ed astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità. Con il lineare corollario per cui all’abolizione del reato, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Codice Penale, consegue nei processi in corso il proscioglimento dell’imputato, con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.
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Daniele Cimarelli
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