Accertamento della maternità: quando è possibile revocare l’anonimato
La questione dell’accertamento della maternità, nell’ipotesi in cui la madre abbia esercitato il c.d. parto anonimo, è stata oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione.
In particolare, la Corte, secondo un’interpretazione costituzionalmente e internazionalmente orientata dell’art. 629 c.c., ha effettuato un’analisi comparativa e di bilanciamento tra l’accertamento dello status filiationis e il diritto della madre a mantenere l’anonimato, anche con riferimento al periodo successivo alla morte della donna.
Il diritto della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto trova il proprio riconoscimento in una pluralità di norme (art. 30, co. 1 D.P.R. 03.11.2000, art. 93, co. 1 d.lgs. 196/2008, art. 28, co. 7 L. n. 184/1983 e allegato del D.M. n. 349/2001) ma è stato l’incisivo intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278/2013, ad averne riconosciuto il fondamento costituzionale.
Questo diritto, infatti, “riposando” sull’esigenza di salvaguardare la madre e il neonato da qualsivoglia perturbamento – inteso come qualsiasi situazione di fatto personale, ambientale, culturale, sociale – cela sullo sfondo il superiore interesse di salvaguardare i beni primari, quali il bene della vita e quello della salute.
Tuttavia, nell’esame degli interessi “in gioco” oltre che il diritto della madre all’anonimato, c’è anche il non secondario diritto all’accertamento dello status filiationis.
Ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 CEDU, il diritto al riconoscimento di uno status filiale corrispondente a verità attiene al nucleo dei diritti inviolabili della persona intesi nella dimensione sia individuale sia relazionale.
La verità biologica di un figlio costituisce, dunque, una delle componenti più rilevanti del diritto all’identità personale, tanto importante da determinare l’imprescrittibilità dell’azione di accertamento sia della maternità sia della paternità che, quindi, può avvenire in qualsiasi momento della vita di una persona, anche in età adulta.
A tale proposito, tuttavia, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19824 del 2020 ha chiarito che, nel bilanciamento dei valori di rango costituzionale, al cospetto del diritto al riconoscimento dello status di filiazione, quello della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto si pone comunque in una posizione preminente e non può essere, in alcun modo, sacrificato o compresso per tutta la durata della vita della madre.
Unica eccezione è prevista quando è proprio la madre, con la propria inequivocabile condotta, a manifestare la volontà di revocare, nei fatti, la scelta presa a suo tempo di rinuncia alla genitorialità.
Questo perché la previsione della irreversibilità della scelta materna si trasformerebbe in una sorta di vincolo obbligatorio, espropriando, in via definitiva, da qualsiasi ulteriore opzione la persona titolare del diritto.
Qualora, invece, l’accertamento dello status di filiazione avvenisse in un momento successivo alla morte della madre, il diritto all’anonimato è suscettibile di essere compresso.
La Corte, infatti, discostandosi da un precedente indirizzo giurisprudenziale, ha sostenuto che, nel bilanciamento dei valori costituzionali, il diritto all’accertamento dello status di figlio naturale che avviene nel periodo successivo alla morte della madre non può che essere preminente rispetto all’esigenza di tutela dei diritti degli eredi e dei discendenti della donna che ha optato per l’anonimato, poiché è venuta meno l’esigenza di tutela dei diritti alla vita e alla salute.
Da ultimo, la Corte di Cassazione ha consolidato l’orientamento secondo il quale ai sensi dell’art. 629 c.c., tutti i mezzi di prova hanno pari valore. Non rilevando né una sorta di salvaguardia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità o la maternità naturale, né l’ordine cronologico nella loro ammissione e assunzione davanti al giudice.
Per di più, vengono ritenuti pienamente validi ed efficaci sul piano probatorio anche i c.d. elementi presuntivi che, valutati nel loro complesso e alla luce del principio dell’“id quod plerumque accidit”, risultino idonei per attendibilità e concludenza a fornire la dimostrazione della paternità o maternità naturale (ad esempio: l’accertato comportamento di fatto del genitore, la manifestazione esterna del rapporto nelle relazioni sociali e le risultanze della consulenza immuno-ematologica eseguita su campioni biologici dei parenti più stretti).
In conclusione, il diritto all’anonimato della madre trova fondamento nell’esigenza di tutela dei diritti alla vita e alla salute, esigenza che viene meno con la morte della donna. In quest’ultima ipotesi, infatti non ci sono più elementi ostativi non soltanto per la conoscenza del rapporto di filiazione, ma anche per la proposizione dell’azione volta all’accertamento dello status di figlio naturale ex art. 269 c.c.
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