ACCESSO AGLI ATTI: nulla la clausola negoziale limitativa del diritto
T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, Pres. De Zotti – Rel. Pedron, aprile 2015, n. 497
a cura di Sara Scapin
La clausola di riservatezza inserita in un contratto e, pertanto, liberamente negoziata tra le parti, è contra legem non potendo le parti stesse ampliare i limiti fissati dal legislatore disponendo dei diritti dei terzi. Né si può invocare tale diritto onde evitare un accesso al documento amministrativo, nella cui sfera vanno ricompresi anche gli atti negoziali e le stesse dichiarazioni unilaterali dei privati, quando lo si acquisisca per finalità di tipo pubblicistico.
Il fatto
L’interessante pronuncia oggi in analisi prende le mosse da una recente decisione della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, la quale consentì a uno dei soci di un noto club di esercitare il proprio diritto di accesso in relazione ad un contratto di concessione d’uso di un importante marchio, stipulato dallo stesso club con altre tre società private.
Una di queste ultime, tuttavia, proponeva ricorso al T.a.r. lombardo contro la decisione della Commissione, al fine di veder riconosciuto il diritto alla riservatezza che le parti contraenti avevano assunto mediante apposita clausola inserita all’interno del contratto.
La decisione
La norma su cui si focalizza l’analisi dei giudici amministrativi è l’art. 24 comma 6-d della l. n. 241 del 1990, il quale, in combinato disposto con l’art. 10 della medesima legge, riconosce il diritto di prendere visione degli atti del procedimento amministrativo (c.d. diritto di accesso) ad una serie di soggetti dettagliatamente indicati all’art. 22. Quest’ultimo disposto normativo riconosce, nello specifico, tale diritto a «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».
Il T.A.R. precisa, anzitutto, come nel concetto di “documento amministrativo” debbano ricomprendersi sia gli atti negoziali che le dichiarazioni unilaterali dei privati, qualora ne sia stata fatta acquisizione in un procedimento amministrativo per una finalità di rilievo pubblicistico.
Nel caso di specie, infatti, il contratto sottoscritto gode di ampio rilievo all’interno della gestione amministrativa e finanziaria dell’ente pubblico, in considerazione dell’importanza e della notorietà sociale del marchio utilizzato.
Da ciò deriva, pertanto, l’interesse dei soci a conoscerne i contenuti, di modo che questi ultimi possano vigilare sull’operato degli organi apicali ed, in particolare, sulla gestione dell’ente da questi operata.
Il diritto alla riservatezza, precisano i giudici amministrativi, non può tuttavia espandersi fino a ricomprendere l’intero assetto contrattuale, dovendo piuttosto riguardare singoli e definiti componenti dello stesso (nello specifico, può valere solo per determinate premesse, clausole, dichiarazioni facenti parte dell’accordo negoziale).
Il T.a.r. specifica, inoltre, come tale diritto non possa poi discendere da una apposita clausola di riservatezza inserita all’interno del contratto, poichè, in ossequio a principi generali dell’ordinamento giuridico, le parti che sottoscrivono l’accordo possono disporre solo di diritto propri e mai di diritti facenti capo a terzi.
Il principio di trasparenza dei documenti amministrativi, che trova il suo fondamento nella legge, non può infatti essere derogato e sostituito con il principio di segretezza previsto dalle parti e avente, quindi, natura privata. Ne consegue, pertanto, che la clausola di riservatezza stipulata dai privati finisce per violare la legge e risulta, di conseguenza, inapplicabile nella parte in cui amplia l’area della riservatezza oltre i limiti sanciti dal legislatore.
La tutela della riservatezza rimane di conseguenza limitata a quelle informazioni che le parti private forniscono al soggetto pubblico:
a) sulla propria organizzazione interna;
b) sulle relazioni con parti terze;
c) sulle proprie strategie commerciali (purché tali informazioni non siano state utilizzate nell’accordo per pesare la controprestazione del soggetto pubblico);
d) eventuali informazioni, relative a persone determinate o determinabili, contenenti dati sensibili ai sensi dell’art. 4, comma 1-d, d. lgs. n. 196 del 2003.
In conclusione, i giudici amministrativi stabiliscono come, in tema di accordi commerciali conclusi con soggetti pubblici, se da un lato è giusto garantire il diritto alla riservatezza in favore dei privati, dall’altro lato è anche necessario dimostrare il buon uso delle risorse pubbliche, controllo che è possibile svolgere solo mediante esercizio del diritto di accesso.
Ne consegue, pertanto, che devono sempre rimanere accessibili (ad eccezione dei casi in cui sia una esplicita previsione normativa a prevedere il segreto) tutte le clausole contenenti i reciproci diritti e obblighi assunti dai sottoscrittori.
Sara Scapin
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