Accesso civico generalizzato: quali limiti?

Accesso civico generalizzato: quali limiti?

“Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un segreto momentaneo, la casa dell’Amministrazione dovrebb’essere di vetro”. (Filippo Turati, 17 giugno 1908)

L’introduzione dell’accesso civico generalizzato ad opera del d.lgs. 33/2013 (c.d. “Decreto Trasparenza”) si inserisce nello scenario della riforma iniziata con l’emanazione della l. 190/2012, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, e meglio conosciuta come “Legge Severino”, adottata nel tentativo di contrastare il dilagante fenomeno corruttivo italiano.

Il legislatore, spinto non solo dagli allarmanti studi condotti dall’Unione Europea e dall’Ocse in tema di corruzione nostrana, ma altresì dall’intento di rivoluzionare il rapporto impari tra Pubblica Amministrazione e cittadino, ha consentito a che chiunque abbia accesso ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013).

La portata innovativa di questo istituto è lampante: esso ha realizzato un rovesciamento delle intenzioni del legislatore che, laddove nel 1990 aveva espressamente escluso la possibilità per il cittadino di operare un controllo diffuso sull’operato amministrativo (art. 24, comma 3, l. 241/1990), oggi, invece, intende addirittura favorirlo, operando un rimarcabile passaggio dall’ostensione subordinata ad una motivazione (quale quella ancora disciplinata dalla l. 241/1990) ad un accesso libero, indiscriminato e totale, i cui limiti vengono già predeterminati dalla legge.

L’accesso civico in predicato è, infatti, definito generalizzato non solo perché concede l’ostensione di tutti quei dati, documenti, informazioni ulteriori rispetto a quelli per cui è già previsto un obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale a carico della p.a., ma pure in quanto tale ostensione è garantita a chiunque, a prescindere da un interesse soggettivo manifesto ed esplicitato nell’istanza di accesso, cosicché l’osservanza del principio di trasparenza dell’azione amministrativa possa dirsi piena e attuativa del principio di partecipazione democratica.

D’altro canto, è apparso sin da subito evidente come l’intento di garantire un’accessibilità totale possa spesso confliggere con la tutela di alcuni interessi pubblici o privati, puntualmente elencati nell’art. 5 bis, d.lgs. 33/2013, che rischiano di essere fortemente vulnerati da un’ostensione illimitata delle informazioni richieste. Pertanto, al fine di attuare un contemperamento tra la garanzia della massima trasparenza e la tutela di interessi pubblici e privati, la norma succitata prevede che il diritto di accesso venga negato solo qualora il diniego sia necessario per evitare un pregiudizio concreto agli interessi pubblici o privati individuati dall’art. 5 bis d.lgs. 33/2013[1].

Proprio in materia di limiti all’accesso civico generalizzato, il T.a.r. Campania, chiamato ad esprimersi sulla possibilità o no di operare un bilanciamento tra la salvaguardia degli interessi individuati dalla normativa e la finalità dell’inclusione del cittadino nel perseguimento degli interessi pubblici, così come l’esigenza di contrastare fenomeni corruttivi, ha recentemente emanato un’interessante pronuncia (n. 2486 del 9 maggio 2019), con la quale ha lucidamente delimitato l’ambito applicativo dell’accesso civico generalizzato, facendo luce sui limiti a cui esso sottostà.

Nel caso esaminato dal Collegio campano, il ricorrente impugnava il rigetto dell’istanza di accesso da lui formulata e finalizzata all’ostensione di tutte le licenze commerciali, certificati di agibilità per attività commerciali e domande di condono rimaste inevase e relative ad immobili dedicati all’esercizio di attività commerciali, indirizzate o rilasciate dall’amministrazione comunale resistente. Quest’ultima, infatti, aveva negato l’accesso al ricorrente in quanto, a suo dire, volto a soddisfare esigenze egoistiche dello stesso e ad operare un controllo generalizzato e diffuso dell’operato dell’amministrazione, nonché in quanto foriera di un notevole carico di lavoro che avrebbe potuto pregiudicare il buon funzionamento della p.a..

Dopo aver didascalicamente ripercorso gli istituti dell’accesso agli atti di cui alla l. 241/1990 e dell’accesso civico ex d.lgs. 33/2013, il Collegio si è soffermato sull’inquadramento dei limiti cui il secondo è sottoposto “in ragione degli interessi pubblici e privati che devono essere necessariamente salvaguardati”.

Benché la normativa italiana, non preveda espressamente la possibilità di effettuare un bilanciamento tra interessi, dovendo l’amministrazione, a lettera dell’art. 5 bis,  limitarsi a verificare se esista un pregiudizio concreto agli interessi pubblici e privati individuati, l’orientamento del T.a.r. Campania è incentrato sulla necessaria valutazione non solo del suddetto pregiudizio ma, altresì, dell’interesse all’ostensione alla base della richiesta dell’istante, cosicché l’amministrazione è chiamata ad operare un contemperamento  tra i suddetti elementi in quanto, si precisa nella sentenza, la sussistenza di un  pregiudizio concreto “dovrebbe rappresentare solo una condizione necessaria, ma non sufficiente, per negare l’ostensione”.

Il T.a.r., pertanto, invita la pubblica amministrazione ad effettuare una valutazione dell’istanza di accesso che sia quanto più favorevole al cittadino, in piena aderenza con la ratio di trasparenza e totale accessibilità su cui riposa il d.lgs. 33/2013. È richiesto all’amministrazione, intanto, laddove ritenga che l’esercizio del diritto di accesso possa arrecare un concreto pregiudizio ad un interesse pubblico o privato, di ponderare adeguatamente tale circostanza con l’aspettativa del richiedente di conoscere le informazioni oggetto dell’istanza, nonché di valutare “quale potrebbe essere il contributo positivo alla “conoscenza diffusa” dell’attività amministrativa che l’ostensione richiesta potrebbe valutare”.

Alla luce di queste considerazioni, nel caso giudicato nella sentenza in analisi, il Collegio ha ritenuto di dichiarare illegittimo il diniego di accesso formulato dall’amministrazione comunale sulla base di due motivi. Innanzitutto, il T.a.r. ha precisato come l’accesso civico generalizzato non impedisce l’ostensione documentale richiesta per finalità “egoistiche e personali” del richiedente, non rilevando le ragioni poste a fondamento dell’istanza che ben può essere basata sulla mera volontà di operare un controllo diffuso sull’operato amministrativo. In secondo luogo, la sentenza ha escluso che la richiesta del ricorrente, seppur concernente una quantità significativa di documenti, potesse pregiudicare il buon andamento della pubblica amministrazione. Il Giudice ha, a tal proposito, ricordato come l’amministrazione, davanti a richieste siffatte, debba attivare l’istituito del “dialogo cooperativo”[2], quale “valore immanente alle previsioni della legge istitutiva dell’accesso civico generalizzato e della finalità di condividere con la collettività il patrimonio di informazioni in possesso della pubblica amministrazione”[3], nonché strumento volto ad scongiurare comportamenti ostruzionistici da parte dell’amministrazione.

Di certo è possibile tradurre questo significativo cambiamento normativo e giurisprudenziale in un tentativo di trasformazione di abitudini e di mentalità della pubblica amministrazione, radicate da tempi atavici, nella prospettiva di dare concretezza al sogno turatiano della “casa di vetro”. Il cittadino non dovrebbe più trovarsi in una posizione di subordinazione rispetto all’amministrazione, ma in una condizione di partecipazione diretta alla cosa pubblica e in un rapporto di cooperazione attiva con chi ne governa le sorti. La pronuncia del T.a.r. Campania si pone, sicuramente, quale guida, cifra di riferimento e confronto e anche quale monito per le amministrazioni pubbliche, oggettivamente ostili, nel solco della tradizione italica, alla rivoluzione copernicana operata dando dignità legale ai principi di trasparenza e al diritto all’informazione dei cittadini ma che, tuttavia, ob torto collo, vi si dovranno adeguare,   ponendosi al “servizio dei cittadini” e non amministrandoli da un’inaccessibile turris eburnea. Quella rivoluzione dà sostanza alla democrazia (démos, “popolo” e krátos “potere”), “la peggior forma di governo, ma la migliore finora” (Winston Churchill).

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[1] Gli interessi pubblici individuati sono: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive. Gli interessi privati individuati sono: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
[2] Vedasi: Circolare ANAC 2/2017, recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)”.
[3] T.a.r. Puglia, sez. III, 19/02/2018 , n. 234.

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