Accesso civico generalizzato: quando la richiesta non è ammissibile?

Accesso civico generalizzato: quando la richiesta non è ammissibile?

L’istituto dell’accesso civico generalizzato è stato introdotto nel nostro ordinamento per il soddisfacimento di finalità di rilevante interesse pubblico. Recenti pronunce del giudice amministrativo hanno affrontato la questione della sindacabilità delle finalità soggettive del richiedente sottese alla richiesta di accesso generalizzato, sebbene espressamente sia escluso, dal suddetto istituto, l’onere di motivare la richiesta. In particolare è sorto un contrasto giurisprudenziale, non ancora sanato dal Consiglio di Stato, sull’ammissibilità di richieste confinate a un bisogno conoscitivo esclusivamente individuale ed egoistico e, comunque, per finalità diverse da quelle individuate dal legislatore. Prima di entrare nel merito della questione sembra opportuno ricostruire sinteticamente i presupposti, le finalità e i limiti  del suddetto istituto.

1. Cenni sull’istituto dell’accesso civico generalizzato

Com’è noto l’articolo 5 co. 2 del decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33, come modificato dal d.lgs. 97/2016, ha introdotto, accanto all’accesso civico già disciplinato dal d.lgs. 33/2013, il diritto di chiunque di accedere a dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli  già oggetto di pubblicazione ai sensi del D.lgs 33/2013. L’art. 5 bis del d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016, ha disciplinato i casi di esclusioni e i limiti all’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 co. 2 del medesimo decreto demandando, al co. 6, all’Autorità nazionale anticorruzione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 281/1997, l’adozione di linee guida recanti indicazioni operative anche rispetto alla definizione delle esclusioni e dei limiti. L’.A.N.A.C ha adottato tali linee guida con delibera n.1309 del 28/12/2016.

Il nuovo impianto delineato dal legislatore con l’istituto dell’accesso civico generalizzato garantisce il diritto all’informazione come regola generale rispetto alla segretezza e prevede espressamente che i casi di esclusione costituiscono un’eccezione da interpretarsi restrittivamente.

Il diritto di accesso generalizzato: – si caratterizza per non essere subordinato alla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, specificità che lo differenzia dall’accesso ai sensi della L.241/90, per il quale proprio al contrario di quanto con l’istituto in esame “non è sufficiente addurre il generico e indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa” (Cfr. St., sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5111); – ha ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è previsto un obbligo di pubblicazione, ampliando pertanto la qualità e la quantità dei dati accessibili rispetto all’istituto dell’accesso civico introdotto dal D.lgs 33/2013; – è finalizzato a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e a promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. Una rivoluzione copernicana rispetto all’istituto dell’accesso introdotto con la L.241/90, che all’art. 24 co. 3 dispone, al contrario, espressamente che non possono essere ammesse istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni; – è lo strumento, il “grimaldello” per attuare quel nuovo principio di trasparenza che il novellato articolo 1, comma 1, del D.lgs 33/2013 definisce come accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni per la tutela dei diritti di tutti i cittadini e per la promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa. La trasparenza assurge a baluardo delle libertà individuali e collettive, dei diritti civili, politici e sociali, diventa strumento per la realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino, di una “buona amministrazione”, informando tutta l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni; – in quanto strumento di trasparenza  consente di perseguire la finalità, tracciata dal legislatore già con la L.190/2012, di costruire un sistema rigido di prevenzione e contrasto anticipato della corruzione; – a differenza dell’accesso ordinario, l’accesso generalizzato “non richiede motivazione”.

Con la recentissima circolare n. 1/2019 emanata dal Dipartimento della Funzione pubblica, a seguito di una meditata riflessione avviata con il Garante per la protezione dei dati personali e l’A.N.A.C, sono state diramate aggiornate indicazioni sull’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato. In tale sede è  stato riaffermato[1],  che “con il d.lgs. n. 97 del 2016 l’ordinamento italiano ha riconosciuto la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale, in conformità all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Dal carattere fondamentale del diritto di accesso generalizzato deriva che, nel definire le modalità di attuazione di questo istituto con regolamento o circolare, le pubbliche amministrazioni possono disciplinare esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno, ma non i profili di rilevanza esterna che incidono sull’estensione del diritto.” Esiste pertanto una vera e propria riserva di legge in tema di eccezioni al diritto di accesso generalizzato desumibile dall’art. 10 della CEDU. Di conseguenza le amministrazioni non possono individuare con fonti subordinate di natura  regolamentare categorie di atti sottratte all’accesso generalizzato, come previsto invece per l’accesso procedimentale di all’art. 24, comma 2, l. n. 241 del 1990.

Come ribadito dal Consiglio di Stato con Sentenza 9 ottobre 2019, n. 6897 “i limiti all’accesso civico sono quelli indicati nelle previsioni del d.lgs. n. 33 del 2013 (il quale ammette il diniego solo in relazione a una delle eccezioni da esso previste, frutto di un bilanciamento di interessi già operato dal legislatore) […] sicché è improprio il tentativo [da parte dell’Amministrazione] di introdurne di ulteriori e surrettizi.”

Nel merito l’accesso deve essere rifiutato se il diniego è necessario per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela di interessi pubblici ed in particolare la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato, la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento, il regolare svolgimento di attività ispettive e se ciò risulti necessario per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela di interessi privati, quali la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.

Al fine di massimizzare l’efficacia dello strumento dell’accesso generalizzato, attese le sue finalità di rilevante interesse pubblico il legislatore, come detto, ha esteso, sia sotto il profilo soggettivo della legittimazione del richiedente che oggettivo dei dati richiedibili, la sua portata rispetto all’accesso procedimentale. Con le “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico”, emanate dall’ANAC con delibera n. 1309/2016, si è cercato di incanalare, entro rigidi binari, l’operato della Pubblica amministrazione nei casi in cui questa debba far valere quelle eccezioni e quei limiti che la legge prevede a tutela degli interessi elencati dall’art. 5 bis co.1 e 2 del D.lgs 33/2013.

Nei casi in cui sia chiamata ad operare un virtuoso bilanciamento tra esigenze di trasparenza e interessi pubblici o privati, la pubblica amministrazione, specie in caso di diniego, deve motivare in modo particolarmente intenso la propria decisione dando contezza della valutazione degli interessi pubblici e privati sottesi all’azione amministrativa in modo di consentire all’istante ed eventualmente anche al giudice amministrativo, in caso di ricorso, di ricostruire l’iter logico seguito dall’Amministrazione procedente per denegare l’accesso.

Come chiarito dall’ANAC, in proposito, l’amministrazione non può limitarsi ad asserzioni apodittiche prefigurando il rischio di un pregiudizio in via generica ed astratta ma dovrà: “a) indicare chiaramente quale – tra gli interessi elencati all’art. 5, co. 1 e 2 – viene pregiudicato; b) dimostrare che il pregiudizio (concreto) prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta; c) dimostrare che il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile” (§ 5.2).

2. Sull’ammissibilità delle richieste di accesso per finalità diverse da quelle previste dalla legge

In merito ai limiti dell’istituto, il Consiglio di Stato ha chiarito che “l’accesso civico ‘generalizzato’, permane un settore ‘a limitata accessibilità’, nel quale continuano ad applicarsi le più rigorose norme della legge 241/1990 e se è vero che ormai è legislativamente consentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell’ente, in quanto obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non può essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l’ostensione di quel dato e documento sarà resa possibile solo in favore di una ristretta cerchia di interessati in quanto titolati, secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla legge 241/1990…; pur introducendo nel 2016 (d.lg. 97/2016) il nuovo istituto dell’accesso civico ‘generalizzato’, espressamente volto a consentire l’accesso di chiunque a documenti e dati e quindi permettendo per la prima volta l’accesso (ai fini di un controllo) diffuso alla documentazione in possesso delle amministrazioni (e degli altri soggetti indicati nella norma appena citata) e privo di un manifesto interesse da parte dell’accedente, ha però voluto tutelare interessi pubblici ed interessi privati che potessero esser messi in pericolo dall’accesso indiscriminato. Il legislatore ha quindi operato per un verso mitigando la possibilità di conoscenza integrale ed indistinta dei documenti detenuti dall’ente introducendo dei limiti all’ampio accesso (art. 5 bis, commi 1 e 2, d.lg. 33/2013) e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi e la propria disciplina speciale dettata dalla legge 241/1990 (evitando accuratamente di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate), anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso» (Cons. St., sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651). Secondo l’ANAC  “Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi. Tale bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso 241 dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.”

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il sindacato del giudice amministrativo sulle richieste di accesso generalizzato può estendersi anche alla verifica delle finalità soggettive della richiesta, con la conseguenza che non sarebbero ammissibili le richieste di accesso civico generalizzato per le quali non sussistano le finalità indicate dall’art.5 comma 2 del D.lgs 33/13, ovvero quelle di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, (Cfr. TAR Lazio sez. II del 07 ottobre 2019 n.11593; TAR Lazio sez III-quater, 17 settembre 2019, n.11024; TAR Lazio, sez. II-bis, 2 luglio 2018, n. 7326) “sicché  sono oggetto di  accesso generalizzato esclusivamente  documenti attinenti a  tali  finalità” (TAR  LAZIO,  SEZ. III-BIS, 24  NOVEMBRE  2017,  N. 11628)[2]. Scrive il Consiglio di Stato sulle finalità dell’istituto: “il nuovo accesso civico, che attiene alla cura dei beni comuni a fini d’interesse generale, si affianca senza sovrapposizioni alle forme di pubblicazione on line del 2013 ed all’accesso agli atti amministrativi del 1990, consentendo, del tutto coerentemente con la ratio che lo ha ispira e che lo differenzia dall’accesso qualificato previsto dalla citata legge generale sul procedimento, l’accesso alla generalità degli atti e delle informazioni, senza onere di motivazione, a tutti i cittadini singoli ed associati, in guisa da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “Cosa pubblica”, oltreché mezzo per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione” (Cons. di Stato sez. III, 06 marzo 2019, n.1546). Considerate tali finalità di carattere generale, per l’orientamento giurisprudenziale in esame, non sarebbe accoglibile nè  meritevole di tutela, in sede di ricorso amministrativo, una richiesta di accesso da cui non emerga “un bisogno conoscitivo del ricorrente comunque preordinato al controllo generalizzato sul buon andamento della PA e dunque sul perseguimento delle funzioni istituzionali dell’ente nonché sull’utilizzo corretto delle risorse pubbliche” (Cfr. TAR Lazio, sez. III quater del 27/08/2019, n.10620/2019) ma “esclusivamente  privato,  individuale,  egoistico o  peggio  emulativo  che, lungi  dal  favorire  la  consapevole partecipazione  del  cittadino  al  dibattito  pubblico, rischierebbe  di compromettere le  stesse  istanze  alla  base  dell’introduzione dell’istituto” (TAR  Abruzzo, SEZ. I, 22  NOVEMBRE  2018,  N. 347)[3] traducendosi, in sostanza, “in una  elusione  delle  diverse  finalità  e  dei  limiti  dettati dall’accesso documentale  ex  L.  241/90” (TAR  LOMBARDIA, BRESCIA,  SEZ. II, 6  MARZO  2019,  N. 2019).

La tesi opposta è ben sintetizzata in una sentenza del TAR Campania, per il quale le finalità della legge “non possono trasformarsi in limiti “impliciti”: l’amministrazione non potrà negare un accesso generalizzato ritenendo che la conoscenza dei documenti richiesti non sia utile alle finalità della legge ovvero che l’ostensione richiesta “non risulti finalizzata al controllo diffuso”; così interpretando il dato normativo si corre, infatti, il rischio di introdurre limiti alla libertà di informazione non previsti espressamente dal legislatore. La finalità soggettiva che spinge il richiedente a presentare istanza di accesso civico non è, infatti, sindacabile se non correndo il rischio di confondere la finalità della legge con la finalità soggettiva del richiedente. 11) – Alla luce di quanto argomentato, quindi, anche richieste di accesso civico presentate per finalità “egoistiche” possono favorire un controllo diffuso sull’amministrazione, se queste consentono di conoscere le scelte amministrative effettuate. Il controllo diffuso di cui parla la legge, infatti, non è da riferirsi alla singola domanda di accesso ma è il risultato complessivo cui “aspira” la riforma sulla trasparenza la quale, ampliando la possibilità di conoscere l’attività amministrativa, favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento dei compiti istituzionali e una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi democratici e al dibattito pubblico. In definitiva, l’accesso generalizzato deve essere riguardato come estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui relativi limiti debbono essere considerati di stretta interpretazione e saranno solo quelli espressamente previsti dal legislatore. Potranno trovare, così, accoglimento anche istanze tese all’acquisizione di informazioni utili a fini personali, ad esempio professionali, se l’istanza riguarda informazioni, dati e documenti amministrativi e ciò perché ai fini della trasparenza e del diritto a conoscere rileva “che cosa si può conoscere” e non “perché si vuole conoscere”. Se i dati e i documenti richiesti sono inerenti a scelte amministrative, all’esercizio di funzioni istituzionali, all’organizzazione e alla spesa pubblica, questi potranno essere considerati di “interesse pubblico” e quindi conoscibili, a meno che non si rinvengano concomitanti interessi pubblici e privati prevalenti da salvaguardare.” (cfr. TAR Campania, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486)

In questo senso, osserva la sezione II-bis del TAR Lazio: “escludere  che  il  privato, portatore  di  un autonomo ed  ulteriore interesse rispetto alla dichiarata  finalità  della disposizione, non confliggente con la  stessa,  possa agire al  fine di ottenere l’ostensione di  un  documento detenuto dalla pubblica amministrazione significherebbe violare  l’applicazione della norma, introducendo limitazioni non consentite dalla  legge” (TAR  LAZIO,  ROMA,  SEZ.  II-BIS,  19  GIUGNO  2018,  N.  6875).

In conclusione,  già la legge delega 7 agosto 2015, n. 124 all’art. 7 lett. h , nell’individuare misure in tema di “Revisione  e  semplificazione  delle  disposizioni  in   materia   di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza”, delegando il Governo ad adottare disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo  14  marzo  2013,  n.  33, aveva previsto tra gli obiettivi da perseguire l’introduzione di un diritto di accesso riconosciuto a “chiunque,  indipendentemente  dalla titolarità di situazioni giuridicamente  rilevanti,  ai  dati  e  ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni”. Non vi è dubbio, anche dalla lettura dell’art. 5 co. 2 del Dl.gs 33/2013, che recepisce tale delega, che  l’istituto dell’accesso  generalizzato,  dal  punto  di  vista soggettivo,  non  ammette  restrizioni  alla  legittimazione  del  richiedente. Parimenti   dal  punto  di vista  oggettivo, la lettera della norma è particolarmente generica  e  tendenzialmente  onnicomprensiva riferendosi “ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto” (art. 5 co. 2 del D.lgs 33/2013)  fatti  salvi  i  limiti indicati  nell’art.  5-bis,  commi  1,  2  e  3  del  D.  Lgs.  n.  33  del  2013.  Come osserva il TAR Bolzano “la  regola  generale  è  ora  la  trasparenza  (total  disclosure),  mentre  la riservatezza  e  il  segreto  costituiscono  le  eccezioni.  L’esclusione del diritto  di  informazione o  una sua  limitazione è  ammissibile pertanto  solo in  casi determinati, individuati con legge  o  regolamento” (TAR  BOLZANO,  SEZ.  AUTONOMA,  9  GENNAIO  2019, n. 6).

D’altro canto, considerato che, come più volte evidenziato, la richiesta di accesso generalizzato è sottratta dall’obbligo di una motivazione specifica, l’unico modo che avrebbe l’amministrazione  (ed eventualmente il giudice amministrativo in un sede di ricorso) per sindacare l’interesse sotteso all’istanza, verificando la non rispondenza tra interesse soggettivo e interesse normativamente previsto, sarebbe quella di desumerla dalla natura dei dati richiesti[4].

Per il TAR Emilia Romagna la  rimessione  della  valutazione  di  tale  finalità alla P.A. comporterebbe “l’esercizio  di  un’ampia  discrezionalità  da  parte  della  stessa  amministrazione  procedente,  in  ragione della  natura  apertissima  della  formula  di  controllo  operata,  con  sostanziale  vanificazione  del  diritto accordato  dal  legislatore” (TAR  EMILIA-ROMAGNA,  PARMA,  SEZ. I, 28  NOVEMBRE  2018,  N. 325).

In proposito, osserva sempre lo stesso TAR,  non è possibile  sostenere  che  le  finalità  indicate  dall’art.  5,  comma  2  del  d.lgs.  n.  33  del  2013 “debbano  trovare  diretta  declinazione  nella  tipologia  di  documenti  richiesti,  innanzitutto perché  è  arduo individuare  un  atto  pubblico  che,  in  un  regime  di  trasparenza  e  democraticità  delle  istituzioni, debba restare  interno  e  non  conoscibile  –  al  di  fuori  dei  limiti  di  tutela  riconosciuti  agli  interessi  pubblici  e  privati “sensibili”  -;  d’altra  parte,  nelle  stesse  finalità  valorizzate  dall’amministrazione,  per  definire  una  linea ideale  di  separazione  tra  accesso  garantito  e  accesso  di  “curiosità”,  vi  è  anche  la  generica  promozione della  “partecipazione  al  dibattito  pubblico”,  concetto  in  cui  è  possibile  far  rientrare,  in  senso  lato, l’ostensibilità  di  qualsiasi  documento  amministrativo

L’aver inserito la motivazione delle disposizioni contenute nella legge nello stesso corpo normativo di riferimento, secondo il TAR Emilia Romagna, deriva dall’applicazione di una tecnica legislativa tipica dell’ordinamento sovranazionale. Individuando lo scopo della norma (favorire  forme  diffuse  di  controllo  sul  perseguimento delle  funzioni  istituzionali  e  sull’utilizzo  delle  risorse  pubbliche  e  di promuovere  la  partecipazione  al  dibattito  pubblico)  il legislatore ha soltanto  chiarito le ragioni che giustificano il conferimento di un  diritto  così  ampio  a  tutti  i  cittadini. Pertanto, “le  finalità dell’accesso civico generalizzato […] non sono quelle che devono sorreggere  l’interesse del  cittadino, ma  quelle in base alle quali il  cittadino può  avere  un accesso  potenzialmente illimitato dei documenti amministrativi.

 

 


[1] Cfr. Circolare FOIA n. 2/2017 (§ 2.1)
[2] Cfr. TAR  LOMBARDIA, BRESCIA,  SEZ. II, 6  MARZO  2019,  N. 2019
[3] cfr. TAR Lazio sez. II-bis, 2 luglio 2018, n. 7326
[4] Cfr. TAR  EMILIA-ROMAGNA,  PARMA,  SEZ. I, 28  NOVEMBRE  2018,  N. 325.

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Calogero Alberto Petix

Nato a Catania il 18/06/1981. Dal 2012 è funzionario amministrativo giuridico legale e contabile del MIUR presso il provveditorato di Agrigento, ove coordina la gestione giuridica del personale docente ed ATA (organici, mobilità e reclutamento) e, su incarico dell’Assessorato regionale all’Istruzione e Formazione professionale, esercita la funzione di revisore dei conti nelle Istituzioni scolastiche. Dottore di ricerca in Pensiero Politico e Istituzioni nelle società mediterranee. Laureato in Scienze Politiche e in Storia Contemporanea, con lode, ha conseguito altresì ulteriori titoli post-lauream in ambito giuridico, metodologico-didattico e della progettazione europea. Ha collaborato con il quotidiano “La Sicilia” ed è stato docente esperto esterno in numerosi progetti di arricchimento dell’offerta formativa nelle scuole, finanziati con il fondo sociale europeo. Ha pubblicato saggi scientifici sul pensiero politico del periodo rivoluzionario francese, in riviste nazionali ed internazionali.

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