Accordo cruciale sulla protezione della biodiversità marina nelle acque internazionali: prossime sfide e nuove speranze per la protezione degli oceani

Accordo cruciale sulla protezione della biodiversità marina nelle acque internazionali: prossime sfide e nuove speranze per la protezione degli oceani

Sommario§1. Introduzione – §2. Perché è importante un nuovo trattato ONU per la salvaguardia dell’alto mare – §3. Cosa prevede l’accordo sulla protezione degli oceani e della biodiversità marina – §4. Conclusione: le prossime sfide per la protezione degli oceani

 

1. Introduzione

Dopo una maratona di sessioni che si è svolta presso la sede delle Nazioni Unite a New York, lo scorso 4 marzo il presidente della Conferenza sulla Biodiversità Marina negli ABNJ, Rena Lee, ha annunciato che gli Stati membri dell’ONU hanno raggiunto un accordo essenziale per proteggere l’Alto Mare e la sua vitale biodiversità.

Il testo dell’Accordo-noto come Accordo nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale-è stato adottato dopo più di quindici anni di discussioni e negoziati serrati. Ciò è ritenuto necessario perché la normativa internazionale non fornisce attualmente un quadro compiuto di riferimento per le aree al di là della giurisdizione nazionale (noto in inglese come ABNJ).

Con la risoluzione 72/249[1] del 24 dicembre 2017, l’Assemblea Generale ha votato la convocazione di una conferenza intergovernativa, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, per esaminare le raccomandazioni fornite dal Comitato preparatorio istituito nel giugno 2015 e per elaborare l’adozione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante ai sensi della Convenzione UNCLOS sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina degli ABNJ. Dopo quattro diverse sessioni, svolte tra il 2018 e il 2022, una quinta sessione della Conferenza è stata convocata dal 15 al 26 agosto dello scorso anno, poi, sospesa l’ultimo giorno con l’obiettivo di riprenderla in una data successiva. Con la Risoluzione “Oceans and the law of the sea[2]”, del dicembre 2022, l’Assemblea ONU ha chiesto al Segretario Generale di convocare la ripresa della quinta sessione della Conferenza presso la sede delle Nazioni Unite dal 20 febbraio al 3 marzo 2023.

Sinora nessuno Stato ha assunto la responsabilità della protezione dell’alto mare poiché i negoziati sono stati bloccati per anni sia per divergenze geopolitiche sia per disaccordi sui finanziamenti e sui diritti di pesca contribuendo a rendere queste zone particolarmente vulnerabili. Dopo diverse riluttanze quasi duecento nazioni hanno contrattato sul modo migliore per invertire la situazione e hanno convenuto che la vita marina dell’alto mare necessita di una protezione legale olistica, sotto forma di un trattato. Come affermato nel preambolo dell’accordo quadro le parti “desiderano” agire come “amministratori dell’oceano” per conto delle generazioni presenti e future.

Il nuovo accordo aggiornerà l’UNCLOS, e gli altri trattati settoriali, alle sfide presenti e sosterrà ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in particolare l’Obiettivo 14 “La vita sotto l’acqua”.

2. Perché è importante un nuovo trattato ONU per la salvaguardia dell’alto mare

Quasi due terzi degli oceani non sono sottoposti ad alcuna giurisdizione nazionale, ma da cui tutti dipendono per la loro prosperità e il benessere. Esse sono considerate acque internazionali ove trova applicazione il principio consuetudinario della libertà dei mari, codificato all’articolo 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. L’Alto Mare è la zona di mare che si estende al di là della Zona Economica Esclusiva nazionale oltre le 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa, se gli Stati hanno dichiarato la ZEE. La disciplina concernente le acque internazionali e la stessa Convenzione di Montego Bay definisce l’alto mare come una res communis omnium, ossia un bene non suscettibile di costituire oggetto di pretese sovrane da parte di alcuno Stato bensì un bene appartenente a tutta la comunità internazionale, sia per gli Stati costieri sia privi di litorale.

In quanto tale a ogni Stato è conferita in questa zona, nel rispetto delle regole di diritto internazionale generale, la libertà di navigazione, sorvolo, la libertà di collocare cavi e oleodotti, costruire isole artificiali e altre istallazioni permesse, la libertà di pesca e quella di ricerca scientifica a condizione che tali libertà siano esercitate “tenendo in debito conto sia gli interessi degli altri Stati che esercitano la libertà dell’alto mare, sia i diritti sanciti dalla presente Convenzione relativamente alle attività nell’Area[3]“.Quest’obbligo di diligenza ha l’obiettivo di limitare l’appropriazione e lo sfruttamento di tali risorse entro limiti necessari volti a garantire l’esercizio effettivo dello stesso diritto anche da parte degli altri Stati. Ma con la pesca eccessiva e il continuo sfruttamento delle risorse -come l’estrazione del petrolio e gas dalle piattaforme continentali – la libertà dell’alto mare è stata spesso considerata come un diritto a estrarre eccessivamente, senza benefici da condividere e senza alcun impegno a preservare la flora e la fauna marina.

Le aree al di fuori della giurisdizione nazionale (ABNJ) ospitano un’importante e diversificata biodiversità svolgendo un ruolo vitale nel sostenere le attività di pesca, nel fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica. Ma finora solo poco più l’1% di queste acque è stato protetto ponendo la vita marina a elevato rischio di sfruttamento a causa della pesca eccessiva e incontrollata, l’inquinamento chimico, il traffico marittimo e dei deleteri effetti del cambiamento climatico che colpisce almeno il 41% delle specie marine minacciate. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), nell’ultima valutazione delle specie marine, è stato, infatti, dimostrato che gli ecosistemi e le specie presenti nelle ABNJ si sono gravemente degradati a causa delle attività umane, e quasi il 10% è risultato a rischio di estinzione[4]. Per giunta, a titolo esemplificativo, nell’ambito del progetto finanziato dall’UE CARBOCHANGE “Changes in carbon uptake and emissions by oceans in a changing climate” è stato condotto uno studio che ha evidenziato come gli oceani riescono ad assorbire circa il 25 % della CO2 emessa ogni anno dalle attività umane[5]. Queste ricerche mirando a evidenziare l’importanza essenziale degli oceani forniscono una solida base di conoscenze e di sensibilizzazione per le politiche sostenibili riguardanti l’ambiente.

Sebbene la Convenzione UNCLOS stabilisca l’obbligo generale di proteggere e preservare l’ambiente marino e di conservarne le risorse[6], non specifica adeguatamente i meccanismi e i processi per la conservazione della biodiversità marina nell’ABNJ mancando di disposizioni dettagliate sulla conservazione dell’ambiente e sulla gestione dell’alto mare. A livello globale, sono state create diverse organizzazioni regionali per la gestione della pesca nell’oceano, ma la loro copertura è parziale ed incompleta non riuscendo a proteggere in modo affidabile le specie ittiche migratorie o gli ecosistemi vulnerabili. Inoltre un approccio limitato e settoriale non è di per se in grado di affrontare le molteplici pressioni che incombono sull’alto mare data anche la connettività degli ecosistemi marini, lo spostamento delle specie migratorie e il carattere transfrontaliero dell’inquinamento stesso.

In questo contesto è emersa sempre più la necessita di adottare un trattato quadro che regolasse in maniera organica le questioni rimaste irrisolte relative alla gestione, conservazione e protezione sostenibile della biodiversità negli ABNJ su larga scala. Quest’accordo consentirà di estendere la percentuale di oceano soggetto a protezione e di stabilire nuovi requisiti, alcuni stringenti, per la gestione delle attività antropiche che hanno un impatto sugli ecosistemi marini.

3. Cosa prevede l’accordo sulla protezione degli oceani e della biodiversità marina

Il trattato BBNJ assumerà la forma di un accordo vincolante internazionale nell’ambito dell’UNCLOS per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale e contribuirà, si spera, a mettere ordine alla disparità di trattati multilaterali e accordi regionali che riguardano questioni distinte come la pesca, l’inquinamento marittimo, gli uccelli migratori e l’estrazione mineraria in alto mare. Il preambolo del nuovo trattato ha riconosciuto la necessità di affrontare la perdita di biodiversità e il degrado dell’ecosistema nell’oceano “in modo coerente e cooperativo” dovuti, in particolare, al “riscaldamento e la deossigenazione degli oceani, nonché l’acidificazione […], l’inquinamento, compreso l’inquinamento da plastica e l’uso non sostenibile”. Se il trattato fosse adottato, sarebbe la prima volta che il preambolo di un trattato delle Nazioni Unite fa esplicito riferimento all’inquinamento da plastica in mare, che rappresenta uno dei problemi più urgenti da affrontare.

Tuttavia uno degli aspetti principali è l’accordo che prevede l’inserimento dell’Obiettivo 30×30 ossia proteggere il 30% delle acque internazionali in aree protette (e della terraferma) entro il 2030, frutto dell’accordo in seno alla COP15[7] dello scorso dicembre, il summit delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Il testo dell’accordo prevede l’istituzione di Area Based Management Tools, ossia diversi nuovi meccanismi e strumenti di gestione di vaste aree, al di fuori delle acque nazionali laddove in precedenza non esisteva un meccanismo chiaro per farlo. Questi “strumenti di gestione basati sulle aree” possono afferire sia un singolo settore, come nel caso dei fermi pesca a livello regionale, o essere multi-settoriali, come nel caso delle aree marine protette (AMP), che offrirebbero una protezione maggiore. L’Accordo fornisce il quadro giuridico per la designazione di codeste aree marine protette, la cui istituzione spetta alla Conferenza delle Parti, al fine di salvaguardare regioni fragili e “raggiungere obiettivi specifici di conservazione della biodiversità a lungo termine[8]“. L’Alto Mare contiene, infatti, numerose zone ecologicamente sensibili, ma gli Stati sono da tempo in disaccordo su come gestirle collettivamente. E’ evidenziato, a questo proposito, che le AMP dovrebbero essere “ecologicamente rappresentative”, comprendere cioè una miriade di biomi marini, e “ben collegate” anziché istituite in modo isolato, facendo, dunque, ricadere la responsabilità sugli Stati nel processo d’istituzione delle stesse. Da evidenziare, però, che questa parte dell’accordo non fa esplicito riferimento ad attività come la pesca o altre potenzialmente inquinanti come l’estrazione mineraria. La capacità di identificare, istituire, regolare e monitorare queste aree vulnerabili, sulla base di pareri e raccomandazioni scientifiche periodiche, è fondamentale per raggiungere potenzialmente l’obiettivo di proteggere il 30% degli oceani della Terra. È essenziale notare che il trattato consente alle nazioni di istituire le AMP con una votazione se non riescono a raggiungere tramite consenso. Questo sarà fondamentale per evitare situazioni di stallo che ne impediscono l’istituzione e la relativa protezione.

In secondo luogo, il BBNJ crea nuove regole di base per le valutazioni d’impatto ambientale (V.I.A) delle attività commerciali e delle attività in acque profonde. Quando una Parte contraente intenda avviare “qualsiasi attività significativa a scopo di lucro pianificate sotto la propria giurisdizione o controllo, che si svolgono in aree al di fuori della giurisdizione nazionale o un’attività pianificata che deve essere condotta in zone marine all’interno della giurisdizione nazionale ma che può causare un inquinamento sostanziale o cambiamenti significativi e dannosi all’ambiente marino nell’ABNJ, gli Stati e le società che ricadono sotto la loro giurisdizione hanno l’obbligo di condurre una V.I.A e riferire pubblicamente sui possibili danni che potrebbero derivare agli ecosistemi e agli organismi marini[9]. Le nazioni, con il concorso del comitato scientifico, esamineranno queste valutazioni e saranno incaricate di approvare le attività. Sebbene non tutti i progetti scientifici richiederanno probabilmente tali valutazioni, queste ultime forniranno comunque un’utile fonte generale e centrale di scambio di informazioni sulle attività oceaniche. Tuttavia se una Stato esegue una V.I.A sotto la propria giurisdizione o controllo deve rendere pubbliche le informazioni pertinenti e relative attività attraverso il clearing-house mechanism (meccanismo di stanza di compensazione). Questo meccanismo di matrice finanziaria, già previsto nella Convenzione sulla Diversità Biologica 1992[10], fungerà da piattaforma centralizzata ad accesso aperto per consentire alle parti di scambiare, accedere e fornire informazioni nonché collegamenti con altri clearing-house globali, regionali, nazionali e settoriali e ad altre banche dati e know-how disponibili inclusi enti governativi, non governativi o privati. Questo meccanismo è previsto nell’accordo anche per l’istituzione di AMP, lo scambio d’informazioni e dati relativi alle risorse genetiche marine e alla loro sequenza digitale[11].

Nel condurre valutazioni d’impatto ambientale gli Stati devono, però, garantire che le conseguenze delle attività pianificate, compresi gli impatti cumulativi e gli impatti nelle aree soggette a giurisdizione nazionale, siano valutate e analizzate utilizzando non solo le migliori informazioni scientifiche ma, anche, qualora disponibili, le conoscenze tradizionali delle Popolazioni Indigene e delle comunità locali[12].

In terzo luogo, il trattato stabilisce disposizioni per un’equa condivisione delle risorse genetiche marine, come il materiale biologico di origine marina vegetale, animale o microbica utilizzati per prodotti farmaceutici e alimentari. In virtù della loro importanza, in seno alle contrattazioni,  gli Stati sviluppati  hanno sostenuto che le società private che eseguono ricerche e cercano di sequenziare le informazioni genetiche dagli organismi in alto mare dovrebbero godere di ampi diritti di proprietà intellettuale, in modo da poter trarre profitto dai loro investimenti. I Paesi meno sviluppati, invece, hanno chiesto la condivisione dei benefici derivanti da tali scoperte sul presupposto che tali risorse costituiscono patrimonio comune dell’umanità. Su questo argomento ostico e controverso, le parti contraenti sono riuscite a superare le divisioni e a concludere un accordo di sostanziale importanza per condividere i benefici che ne derivano.

Ribadendo che non è possibile rivendicare o esercitare la sovranità o diritti sovrani su queste risorse[13], l’accordo impegna i paesi sviluppati a condividere benefici non monetari con i paesi meno sviluppati o in via di sviluppo garantendone l’accesso a dati scientifici, alle informazioni digitali sulle sequenze delle risorse genetiche e il trasferimento di tecnologia marina[14] in modo che le nazioni più povere possano adempiere agli obblighi previsti dal trattato, ottenere l’accesso a specie ed ecosistemi marini che attualmente sono al di fuori della loro portata. In egual misura i benefici monetari derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche marine, compresa la commercializzazione, saranno ripartiti in modo giusto ed equo, attraverso un meccanismo finanziario istituito ai sensi dell’Accordo stesso. Per questi scopi il Trattato prevede altresì l’istituzione di un comitato per l’accesso e la condivisione dei benefici che servirà, tra l’altro, a stabilire le linee guida o codici di condotta, in conformità con l’articolo 11, fornendo trasparenza e garantendo una giusta ed equa condivisione dei benefici monetari e non monetari.

4. Conclusione: le prossime sfide per la protezione degli oceani

Se il trattato sarà all’altezza del suo potenziale rimane incerto ma sicuramente è destinato a produrre alcuni effetti importanti per la tutela ambientale degli oceani compresi gli habitat di acque profonde. L’Accordo, che ora è nella fase di revisione tecnica, come analizzato, prevede una tutela maggiore e più strutturata rispetta a quella attuale e servirà da impalcatura per iniziative future rappresentando una vittoria del multilateralismo in un contesto sempre più frammentato.

Nonostante la svolta nell’approvazione del trattato, c’è, però, ancora molta strada da fare prima che sia legalmente approvato ed inizia a produrre i suoi effetti. Il trattato deve essere prima adottato formalmente in una sessione successiva e poi approvato e ratificato dai singoli Paesi attraverso le proprie procedure. Esso entrerà in vigore 120 giorni dopo la data di deposito del sessantesimo strumento di ratifica. Ci sono, poi, molti organi istituzionali, tra cui il Comitato scientifico e tecnico, che dovranno essere progressivamente istituiti.

Inoltre se le future aree marine protette da istituire non saranno adeguatamente collegate ed interconnesse, potrebbero non avere l’impatto desiderato, poiché molte specie sono migratorie e possono attraversare aree non protette dove sono a rischio. Affinché tutti gli Stati possano partecipare a pieno titolo alla tutela sostenibile dell’economia blu, è anche necessario che abbiano abbastanza fondi per attutire l’impatto, che rappresenta certamente un ostacolo arduo nel processo di ratifica del Trattato. Ad esempio i paesi in via di sviluppo ma perlopiù i paesi sottosviluppati, gli Stati Africani costieri o i piccoli stati insulari sono gravati non solo dai costi di screening e V.I.A ma devono sostenere altri costi, come il contributo annuo per le riunioni della COP, la gestione di organi sussidiari cruciali e altre piattaforme. Tutto ciò richiede altresì una tecnologia necessaria per l’effettiva partecipazione di questi paesi, non sempre disponibile o alla loro portata. A tal proposito l’UE, alla Our Ocean Conference 2023, ha annunciato che provvederà a stanziare più di 800 milioni di euro per l’anno in corso[15] per sovvenzionare la protezione internazionale degli Oceani in tutto il mondo.

Benché ci sia molta strada da percorrere prima che l’Accordo produca efficacemente i suoi effetti, esso è orientato verso l’obiettivo di costruire la resilienza dei nostri oceani e di potenziare l’azione sui mari e sugli ecosistemi marini. Con il supporto della scienza, delle tecnologie disponibili e con un’implementazione rapida delle infrastrutture di monitoraggio che consentano di raccogliere dati e supportare il processo decisionale, l’obiettivo è migliorare la nostra resistenza agli effetti nefasti dei cambiamenti climatici che incombono sugli oceani, canali vitali sia per la vita umana sia per obiettivi socioeconomici. E’ necessario pertanto regolare adeguatamente ogni attività futura nei fondali mari assoggettando le stesse a rigorosi regolamenti ambientali.

 

 

 

 

 


[1] Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, UNGA, A/RES/72/249, 19 Gennaio 2018.
[2] Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, UNGA, A/RES/77/248, 30 dicembre 2022.
[3] Art.87, par.2, Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, 1982.
[4] IUCN, Human activity devastating marine species from mammals to corals – IUCN Red List, Comunicato Stampa, Montreal, Canada, 9 Dicembre 2022.
[5] CORDIS, Commissione Europea, Progetto CARBOCHANGE, Final publishable summary report CARBOCHANGE, nell’ambito del settimo programma quadro della Comunità europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, comprese le attività di dimostrazione (FP7 -ENVIRONMENT).
[6] Rif. Artt.118,119,145 Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, 1982.
[7] Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework adottato in seno alla Quindicesima “Conferenza delle Parti” – o nazioni – firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (CBD) del 1992, Montreal, Canada, 7-19 December 2022.
[8]Art 1, p. 12 “Progetto di accordo nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale“, New York, 4 Marzo 2023.
[9] Art.22, supra nota 7.
[10] Rif. Art. 18, par.3, Convenzione sulla diversità biologica, 1992.
[11] Rif. Artt.9,10,11 bis e 13, supra nota 7.
[12] Art 30, p.10. A tal proposito l’articolo 10 della bozza di tale accordo è specificamente dedicato all’accesso e all’utilizzo delle conoscenze tradizionali dei Popoli Indigeni e delle comunità locali associate alle risorse genetiche marine dell’ABNJ evidenziando che gli Stati parte adotteranno tutte le misure legislative e amministrative necessarie affinché queste conoscenze siano accessibili solo con il consenso o l’approvazione liberi, preventivi e informati e con il coinvolgimento di tali Popoli Indigeni e comunità locali.
[13] Art.9, p.4., “Progetto di accordo nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale”, New York, 4 Marzo 2023.
[14] Art. 11, ivi.
[15] Commissione Europea, Our Ocean Conference: EU announces €816.5 million worth of commitments to protect the ocean, Comunicato Stampa, 2 marzo 2023.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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