Actio libera in causa: la preordinazione dello stato di incapacità ai fini della commissione di un reato
In un sistema penale moderno, il criterio della gravità del fatto non può operare come regola assoluta in tema di giustificazione dell’intervento penale, ma deve necessariamente intrecciarsi ad un ulteriore criterio di opportunità di applicazione della sanzione penale.
Tale ultimo criterio si basa su scelte di politica criminale che consentono l’astensione dalla pretesa punitiva statale nei confronti di chi, a norma dell’art 85 c.p., nel momento in cui ha commesso un reato, non era capace di intendere e di volere.
La nozione di capacità di intendere e di volere può fondare le ragioni di esclusione dell’imputabilità in quanto intesa nel senso di una corretta maturazione e percezione da parte dell’individuo del contesto sociale in cui si muove. Tale consapevolezza non va guardata nel senso di possibile rappresentazione della portata offensiva del fatto posto in essere, ma di mancata consapevolezza che un certo comportamento si inserisce in una valutazione di rifiuto da parte dell’intero contesto sociale.
Un fatto, in sé antigiuridico, può essere rimproverato e quindi attribuito ad un soggetto, solo se è stato commesso in una situazione in cui era pienamente cosciente del disvalore dell’atto e delle sue conseguenze, anche perché solo se il soggetto era compos sui nel momento di compimento del reato, la pena può svolgere la sua funzione rieducativa (art. 27, comma 3 Cost.), non avendo altrimenti senso alcuno, la “rieducazione” di chi, non avendo la coscienza dei propri atti, non può neppure comprendere la ragione della pena inflittagli.
Tuttavia, esiste una norma, che è l’art 87 c.p., la quale esclude l’operabilità del principio sancito dall’art 85 c.p., qualora il soggetto “si sia messo in stato di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa”, (si pensi all’ubriachezza preordinata, da cui l’art 92 c.p. fa anche derivare un aumento di pena).
Per giustificare tale deroga si fa ricorso alla locuzione di actio libera in causa, con cui si intende l’ipotesi in cui l’agente, in un momento antecedente alla commissione del reato, e trovandosi nel pieno possesso delle proprie facoltà, tiene una condotta volta a procurarsi lo stato di incapacità in cui verrà a trovarsi al momento di compimento del reato.
Dunque, presupposto dell’applicabilità della norma in questione è il dolo di preordinazione sia dello stato di incapacità ma anche del reato che si vuole commettere, di cui, se realizzato, l’agente risponderà a titolo di dolo intenzionale.
Il soggetto risponderà a titolo di dolo intenzionale nel caso in cui la preordinazione dello stato di incapacità sia intenzionale (e non anche accidentale o colposa) e sia finalizzata a commettere quel determinato reato o a crearsi una scusa. Ai fini della punibilità in tal senso, quindi, si richiede una omogeneità tra il reato programmato e quello effettivamente posto in essere.
Tale ultima precisazione non è di poco conto in quanto legata ai possibili profili problematici che possono derivare dal compimento di azioni che, pur essendo dovute alla perdita di autocontrollo, non coincidono con il programma iniziale.
Si pensi all’ipotesi in cui il reato programmato era quello di omicidio ma lo stesso avvenga non a seguito di azione materialmente diretta a ciò da parte del soggetto, ma a seguito di incedente stradale causato dallo stesso per eccesso di velocità.
In questo caso il titolo di responsabilità cambia a seconda che lo stesso si faccia dipendere avendo riguardo all’elemento psicologico presente al momento del fatto (nell’esempio illustrato colpa) o al momento dell’actio praecedens (dolo).
Tuttavia anche a voler attribuire al momento di preordinazione la sola rilevanza volta ad evitare che dalla stessa ne possa derivare la non punibilità, rimane la possibilità di muovere all’agente un rimprovero a titolo di dolo eventuale per l’omicidio programmato ma avvenuto in un modo che comunque il soggetto aveva previsto e accettato.
Ulteriore ipotesi problematica potrebbe essere quella in cui, a causa della condizione di incoscienza e mentre ad esempio si è diretti a commettere il reato programmato, se ne commetta uno ulteriore o comunque diverso.
In merito a quest’ultimo troverà applicazione l’art 85 c.p. o il soggetto ne risponderà? E nel caso a che titolo? Se è vero che al momento di commissione del fatto non dovrebbe sussistere alcuna imputabilità, è anche vero che sussisteva comunque un’intenzione al momento della preordinazione. Dunque, se in tale ultimo momento il soggetto ne ha previsto la possibilità e ne ha accettato il rischio, egli risponderà di quel reato a titolo di dolo eventuale, o in caso di mancata accettazione del rischio, a titolo di colpa se previsto dalla legge come reato colposo (cfr. Cass. Pen. n.51860\2018).
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Donatella Cirocco
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli, attualmente praticante avvocato e stagista presso la Procura della Repubblica.
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