Addio alla legge fallimentare: spazio al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Addio alla legge fallimentare: spazio al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Sommario: 1. L’entrata in vigore del CCII – 2. A quali soggetti si applica il CCII – 3. Le principali novità del CCII – 4. Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi – 5. Piano attestato di risanamento – 6. L’accordo di ristrutturazione dei debiti – 7. Il concordato preventivo – 8. Quali impatti sulla corporate governance? – 9. Il testo della nuova normativa e le novità terminologiche

1. L’entrata in vigore del CCII

Il D.L. n. 36/2022 recante “ulteriori misure urgenti per l’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)” del 13 aprile 2022, mediante il disposto di cui all’art. 37, ha prorogato, dal 16 maggio al 15 luglio 2022, l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito anche “CCII”).

Dunque, il 15 luglio 2022, dopo numerosi differimenti, l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è diventata realtà, in ossequio a quanto disposto dal D.L. n. 36/2022.

Da pochi giorni non esiste più la legge fallimentare la quale, nell’ottica del legislatore del 1942, regolamentava la crisi e l’insolvenza degli imprenditori commerciali (fatta eccezione per quelli piccoli).

Tuttavia, al tramonto della legge fallimentare non corrisponde il venir meno di una regolamentazione speciale dedicata ai suddetti imprenditori: tale disciplina, infatti, è confluita nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; non solo, la stessa, dal 15 luglio 2022, è implementata ed “accompagnata” dalle norme relative alla crisi dei soggetti esclusi dalla disciplina fallimentare, ovverosia imprenditori agricoli, piccoli imprenditori commerciali e soggetti privati.

2. A quali soggetti si applica il CCII

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza si applica ad ogni categoria di debitore, persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività commerciale, agricola o artigianale, con esclusione dello stato e degli enti pubblici.

Il CCI, inoltre, disciplina tutte le procedure di risanamento e concorsuali, fatte salve unicamente le leggi speciali in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese, quelle di liquidazione coatta amministrativa, nonché quelle relative a società pubbliche.

Emerge, dunque, il carattere universale dell’CCII, il quale si applica ad un numero considerevole di soggetti dell’impresa e di procedure correlate a tale realtà.

3. Le principali novità del CCII

In linea generale, con l’entrata in vigore del nuovo Codice viene, di fatto, mantenuta vigente l’attuale disciplina fallimentare e viene accentuata l’efficacia delle nuove norme mirate ad una gestione più efficiente e conservativa (laddove possibile) dei risanamenti aziendali. Tutto ciò in una prospettiva meno penalizzante per la realtà aziendale e – appunto – maggiormente “conservativa”.

Tra gli obiettivi della riforma figurano l’introduzione di una disciplina maggiormente uniforme ed organica oltre al favorire la continuità aziendale, anticipare (come si vedrà) la risoluzione dello stato di crisi e dell’insolvenza, ridurre costi e durata delle procedure ad esse correlate ed incrementare la responsabilizzazione degli organi societari.

In tale ottica, molti istituiti già protagonisti della precedente normativa (dal concordato preventivo o fallimentare alle procedure di sovraindebitamento) sono stati mantenuti, seppur riformati. Altri, invece, sono stati introdotti ex novo: su tutti la composizione negoziata e gli accordi di ristrutturazione.

Filo conduttore della CCII è proprio il fatto che, in presenza di una crisi, sembra preferibile trovare una soluzione meno penalizzante, dando rilievo ad aspetti quali la ristrutturazione aziendale ed il relativo risanamento, evitando – in tal modo – l’apertura di una procedura liquidatoria eccessivamente traumatica.

Ebbene, tra le novità spiccano l’introduzione di meccanismi finalizzati all’emersione anticipata dello stato di crisi: obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore ed oneri di segnalazione posti a carico di soggetti qualificati.

Preliminarmente occorre guardare, con particolare attenzione, alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi.

4. Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi

Si tratta di una serie di misure volte ad anticipare l’emersione della crisi mediante la segnalazione ad un apposito organismo extra-giudiziario che offre supporto al debitore nella composizione della crisi e nel raggiungimento di un accordo con i propri creditori[1].

Tale organismo, specificamente competente in materia, è l’OCRI[2] ed è costituito presso la camera di commercio dove l’impresa ha la sede legale.

Per ciò che attiene alla prima fase della procedura, ovverosia la segnalazione, gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, devono:

– verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente se l’assetto organizzativo dell’impresa sia adeguato, se sussista l’equilibrio economico finanziario e quale sia il prevedibile andamento della gestione;

– segnalare immediatamente all’organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi.

L’Agenzia delle entrate, l’INPS e l’Agente della riscossione delle imposte devono segnalare all’organo amministrativo il superamento di determinate soglie di debito ed in caso di inerzia dell’organo amministrativo hanno l’obbligo di informare l’OCRI. Detto organismo può, altresì, essere allertato su istanza autonoma e volontaria del debitore.

Per ciò che riguarda la seconda fase, di avvio e svolgimento, l’OCRI deve interagire necessariamente con il debitore (e gli organi di controllo) e tenere conto dei dati e delle informazioni assunte. A seguito di tale fase potrà, dunque, disporre l’archivio della segnalazione ricevuta o, in alternativa, individuare con il debitore le possibili misure di rimedio alla crisi, fissando un termine entro il quale il debitore deve riferire sulla loro attuazione.

In caso di avvio della procedura su istanza del debitore è prevista una durata di tre mesi (prorogabili di ulteriori tre). È inoltre prevista la possibilità di richiedere al Tribunale l’adozione delle c.d. “misure protettive”.

La terza ed ultima fase, ha due possibilità alternative: in caso di esito positivo, si arriverà all’accordo con i creditori, il quale dovrà obbligatoriamente avere forma scritta e dovrà essere depositato presso l’OCRI. Non sarà, inoltre, ostensibile nei confronti di soggetti diversi da quelli che vi hanno aderito e potrà essere iscritto nel registro delle imprese.

In caso di esito negativo, invece, l’OCRI dovrà invitare il debitore a presentare domanda di accesso ad una procedura della crisi o dell’insolvenza entro trenta giorni. Sarà prevista, in tal caso, la possibilità di darne notizia al Pubblico Ministero, nel caso in cui l’OCRI ritenga sussistente lo stato di insolvenza.

5. Piano attestato di risanamento

Come noto agli “addetti ai lavori”, si tratta di un piano predisposto dal debitore, idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria.

Tale piano si definisce “attestato” in quanto viene verificato da un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Tale circostanza indubbiamente attribuisce terzietà ed attendibilità allo stesso.

Pur non essendo obbligatorio, in genere, il piano è accompagnato dalla conclusione di accordi con uno o più creditori.

In riferimento ai vantaggi (per il debitore) del c.d. “piano attestato di risanamento”, occorre premettere che la formazione dello stesso è riservata e – dunque – non è sottoposta ad alcun controllo giudiziale. In aggiunta, l’eventuale pubblicità è facoltativa e non comporta lo spossessamento del debitore ed ha, inoltre, il beneficio dell’esenzione da revocatoria e dai reati di bancarotta.

Guardando, invece, agli svantaggi ed alle criticità occorre rammentare che non sono previste misure protettive del patrimonio del debitore durante e/o dopo la predisposizione e attestazione del piano.

Dal punto di vista dei cambiamenti introdotti con il CCII, emerge innanzitutto l’ampliamento del contenuto essenziale e obbligatorio del piano, che consta dei seguenti elementi: situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa; le principali cause della crisi; le strategie d’intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; i creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative; gli apporti di nuova finanza, i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione.

Il piano, inoltre, dovrà avere data certa, così come i contratti e gli atti unilaterali in esecuzione dello stesso.

Il professionista, giova ribadirlo, sarà chiamato espressamente ad attestare la fattibilità economica e giuridica del piano.

Infine, vi è la previsione di un obbligo di allegazione documentale (ovverosia, di fatto, dei medesimi obblighi di allegazione previsti per la richiesta di accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza). Vi è poi un’ulteriore previsione di riconoscimento dei contratti e atti unilaterali conclusi e sottoscritti in connessione al piano (i quali devono essere provati per iscritto e devono avere data certa) ed in ultimo vi è la limitazione dell’ombrello protettivo della revocatoria (con esclusione dal beneficio dell’esenzione in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore conosciuti dal creditore).

6. L’accordo di ristrutturazione dei debiti

In primis occorre evidenziare quali sono le caratteristiche immutate di tale istituto.

Si tratta di un accordo sottoscritto dal debitore con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti. Un professionista indipendente accerta la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo. Quest’ultimo viene, quindi, pubblicato nel registro delle imprese e sottoposto al vaglio del Tribunale per la sua omologazione.

Il contenuto dell’accordo è liberamente determinabile (liquidazione o continuità) ma deve prevedere obbligatoriamente il pagamento integrale dei creditori non aderenti all’accordo.

I vantaggi dell’accordo di ristrutturazione dei debiti attinenti ai tratti rimasti immutati sono i seguenti: non vi è lo spossessamento del debitore, mentre invece vi è un accesso “facilitato” alla nuova finanza, oltre al notevole beneficio dell’esenzione da revocatoria e dai reati di bancarotta.

Tra gli svantaggi e le criticità figurano l’obbligo di pagamento in toto dei creditori non aderenti (in tempi molto brevi) e la limitazione delle misure protettive del patrimonio del debitore.

Ebbene, come cambia tale accordo con l’entrata in vigore del CCII?

In primis si afferma il riconoscimento della natura di procedura concorsuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di consecutio nelle procedure concorsuali.

Viene inoltre introdotta una specifica precisazione sul contenuto dell’accordo. Infatti, gli accordi devono essere corredati dal piano economico finanziario che ne consente l’esecuzione, il cui contenuto è mutuato da quello previsto per i piani attestati di risanamento.

Per ciò che attiene alle modifiche sostanziali al piano prima dell’omologazione si ha il rinnovo dell’attestazione e del consenso dei creditori mentre dopo l’omologazione, se necessario all’esecuzione degli accordi, si ha il rinnovo dell’attestazione e la pubblicazione nel registro delle imprese, con la previsione dell’avviso ai creditori che possono proporre eventuali opposizioni.

Ed ancora, oltre gli accordi di ristrutturazione “tradizionali”, che necessitano del voto favorevole del 60% della massa creditoria, il legislatore introduce i c.d. “accordi di ristrutturazione agevolati”, i quali possono essere stipulati con creditori che rappresentano almeno il 30% dei crediti a condizione che il debitore: non proponga la moratoria dei crediti estranei agli accordi; non richieda e rinunci a richiedere misure protettive temporanee.

Viene inoltre prevista l’estensione dell’efficacia degli accordi di ristrutturazione ai creditori estranei: è stata estesa questa possibilità a tutte le ipotesi di ristrutturazione (non limitata quindi all’ipotesi in cui l’ammontare dei debiti sia per almeno il 50% da debiti verso banche ed intermediari finanziari, come era invece prima). L’accordo deve prevedere la prosecuzione dell’attività d’impresa.

7. Il concordato preventivo

Trattasi di un istituto ben noto nel diritto fallimentare ed è, di fatto, una procedura concorsuale giudiziale nell’ambito della quale il debitore presenta una proposta di soddisfazione ai propri creditori sulla base di un piano. A seguito di ciò, un professionista indipendente accerta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del suddetto piano. Successivamente, quest’ultimo e la relativa proposta sono sottoposti alla approvazione dei creditori e all’omologazione da parte del tribunale. In caso di omologazione, il concordato vincola tutti i creditori del debitore.

Il contenuto del piano e della proposta è liberamente determinabile (in ordine alla liquidazione o alla continuità), sebbene esistano alcune restrizioni previste per legge. A titolo esemplificativo e non esaustivo: salvo alcune eccezioni, i creditori privilegiati devono essere pagati al 100%; deve essere rispettato l’ordine delle cause legittime di prelazione; in caso di concordato liquidatorio, i creditori chirografari devono essere soddisfatti al 20%.

Si noti che, a determinate condizioni, i creditori possono altresì presentare proposte ed offerte concorrenti.

Tra gli aspetti rimasti immutati a seguito dell’entrata in vigore del CCII vi sono taluni aspetti positivi quali: l’accesso più agevole alla nuova finanza; la prededucibilità dei crediti sorti in costanza di procedura; la possibilità di beneficiare di misure protettive del patrimonio, anche in via anticipata, mediante il deposito di domanda di concordato “con riserva”.

Tra gli ulteriori vantaggi figurano il beneficio dell’esenzione da revocatoria e dai reati di bancarotta per gli atti posti in essere durante ed in esecuzione della procedura, oltre alla possibilità di sospendere l’efficacia dei contratti pendenti (al momento della presentazione della domanda) oppure di instare per il relativo scioglimento (al momento del deposito di piano e proposta).

Tra gli svantaggi e le criticità figurano certamente lo “spossessamento” (seppur attenuato) del debitore, il forte controllo da parte del Tribunale che sorveglia anche l’esecuzione del piano e della proposta dopo la l’omologazione, gli elevati costi e le tempistiche della procedura, oltre alla possibile segnalazione al Pubblico Ministero in caso di mancata approvazione (o mancata omologazione del concordato).

Com’è cambiato tale istituto dopo l’entrata in vigore del CCII?

Sono molteplici le novità, riguardanti più o meno direttamente l’introduzione del piano di attuazione: la proposta, infatti, deve obbligatoriamente essere accompagnata da un piano di attuazione, il quale (come anticipato) deve risultare fattibile da un punto di vista giuridico ed economico (tale valutazione spetta al giudice). Il piano, inoltre, deve contenere anche l’indicazione dei tempi delle attività da compiersi, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti.

È prevista inoltre una moratoria del pagamento dei crediti privilegiati, della durata massima di due anni (anziché di uno, come previsto in precedenza) dall’omologazione, per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti su cui sussiste una causa di prelazione.

In ultimo, è previsto dal CCII il tramonto del c.d. “automatic stay”: il debitore che presenta domanda di concordato deve fare apposita istanza al Tribunale per la concessione delle misure protettive del suo patrimonio; gli effetti decorrono, in ogni caso, dalla data di pubblicazione del deposito nel registro delle imprese.

Ultima tra le novità maggiormente rilevanti è la soppressione dell’adunanza dei creditori: il voto si esprime esclusivamente tramite modalità telematiche.

Grazie al CCII sono stati introdotti due ulteriori istituti: il concordato liquidatorio ed il concordato di liquidità. Il primo prevede talune restrizioni ed è percorribile solo nell’ipotesi di apporto di risorse esterne che incrementino di almeno il 10% il soddisfacimento dei creditori chirografari (tali creditori devono, in ogni caso, essere soddisfatti nella misura non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo dei creditori chirografari), il secondo prevede la valorizzazione del concordato con continuità aziendale (diretta o indiretta). Si noti, inoltre, che la possibilità che il concordato possa essere diretto o indiretto è riconosciuta per la prima volta espressamente.

8. Quali impatti sulla corporate governance?

Con riferimento alla corporate governance emerge, nel nuovo Codice, una marcatissima responsabilizzazione degli amministratori alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

Oltre a ciò, tra le peculiarità del CCII vi è quella della previsione dell’azione di responsabilità contro gli amministratori proposta dai creditori, quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti e non è impedita dall’eventuale rinuncia all’azione da parte della società.

Fatta salva la prova contraria, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento.

In ultimo, vi è l’introduzione di nuovi criteri di obbligatorietà per la nomina di un organo di controllo e di revisione dei conti.

9. Il testo della nuova normativa e le novità terminologiche

Ponendosi nell’ottica dell’interprete, la Legge del 1942 risulta più snella e meno soggetta a difficoltà interpretative, le quali risultano invece frequenti nel nuovo Codice. Detto complesso normativo, infatti, non è più caratterizzato dalla logica formale propria della legge fallimentare, bensì da un annunciato difetto di intuitività e da una notevole lunghezza del dettato normativo.

Tuttavia, tale riforma pare necessaria in quanto il diritto fallimentare arriva da una complessa stagione di riforme, durata oltre quindici anni e finalizzata a rendere tale branca del diritto sempre meno “liquidatoria” e maggiormente “conservativa”.

Infatti, l’intentio del legislatore è, da tempo, quella di ricorrere in misura sempre minore alla pura liquidazione di un patrimonio, la quale porta inevitabilmente a ledere, tra gli altri, il valore di tipo occupazionale. Un’ottica maggiormente conservativa consente, invece, la tutela di tali valori e ne favorisce l’eventuale recupero.

Ebbene, nell’ultimo decennio, l’intenzione del legislatore è parsa proprio la seguente: incidere sul fallimento e sulle procedure liquidatorie al fine di ridurle a misure “marginali”, allo scopo di conservare le risorse patrimoniali e, ove possibile, recuperarle.

Del resto, emerge nel CCII il tentativo di guardare verso nuovi orizzonti, basti pensare alla rimozione della parola “fallimento”, sostituita dall’espressione “liquidazione giudiziale”.
Grazie alla riforma, inoltre, si introduce una mite definizione di “stato di crisi”, intesa come probabilità di futura insolvenza e si mantiene l’attuale nozione di “insolvenza”, intesa quale incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni verso i terzi.

Oltre a ciò, emerge l’introduzione di indici della “crisi”: squilibri reddituali, patrimoniali o finanziari, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività, che possono incidere sulla sostenibilità dei debiti per l’esercizio in corso o per i sei mesi successivi e sulla continuità aziendale, tenuto conto della presenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti[3]. Tali espressioni, in linea generale, rappresentano una forte novità ideologica (in particolar modo l’eliminazione della parola “fallimento”). Dal punto di vista etimologico, infatti, tale vocabolo viene associato alla chiusura definitiva della realtà aziendale; in tal senso, ricorrere ad un’espressione meno penalizzante può certamente supportare l’intenzione conservativa del legislatore, oltre a risultare maggiormente coerente con la stessa.

 

 

 

 

 

 


[1] Da tale procedura sono comunque escluse talune categorie di soggetti quali grandi imprese e società quotate.
[2] Organismo di composizione della crisi e dell’insolvenza. Esso è composto da un collegio di tre membri di cui uno designato dal presidente del tribunale delle imprese del luogo dove ha sede dell’impresa, uno designato dal presidente della camera di commercio ed uno scelto da un elenco predisposto dall’associazione rappresentativa del settore di riferimento.
[3] Si rammenta che le imprese hanno la facoltà di derogare a detti indici, fornendo i c.d. “indici personalizzati”, illustrati nella nota integrativa al bilancio e muniti dell’attestazione di adeguatezza degli stessi di un professionista indipendente, esterno alla realtà dell’impresa.

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