Adempimento del debito tributario e retroattività della lex mitior

Adempimento del debito tributario e retroattività della lex mitior

Dal momento che la scienza giuridica è, per sua stessa natura, una materia in incessante divenire, strettamente legata alle esigenze e ai nuovi interessi delle collettività, appare indispensabile esaminare in che modo il fattore “tempo” incida sull’applicazione delle norme e, conseguentemente, in che modo possano fronteggiarsi le problematiche legate all’avvicendarsi di leggi penali abolitive o modificative.

Il principio di irretroattività sfavorevole trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire anticipatamente ed in via rigorosa l’individuazione delle condotte vietate dall’ordinamento.

Il cittadino, infatti, non solo deve essere protetto dagli arbitri del legislatore ma ha anche il diritto – nel momento in cui agisce – di sapere se sta commettendo o meno un illecito e calcolare le eventuali conseguenze giuridiche delle sue azioni, quale condizione necessaria per la sua libera autodeterminazione.

Tale principio, oltre a trovare vasto eco nel diritto sovranazionale (art. 49, co. 1, Carta di Nizza, art. 7 CEDU, art. 15, co. 1, Patto internazionale sui diritti civili e politici), ha uno specifico riconoscimento sia a livello codicistico, nell’art. 2, co. 1, sia a livello costituzionale, nell’art. 25, co. 2, Cost., in tutte le sue espressioni. Quindi, non soltanto nelle ipotesi di nuova incriminazione ma anche nel caso di modifica peggiorativa del trattamento sanzionatorio.

Ma se il tema della irretroattività in peiusè stato oggetto di dibattito risalente e mai sopito, il principio della retroattivitàin mitiusha suscitato maggior interesse soltanto in tempi relativamente recenti.

A fondamento di tale principio, sancito dall’art. 2, co. 4 c.p., si rinviene la volontà del legislatore di garantire il favor libertatis, per il quale – nel caso in cui subentri una legge modificatrice – al cittadino deve essere assicurato il trattamento penale più mite tra quello previsto dalla legge penale vigente al momento della realizzazione del fatto e quello previsto dalle leggi successive.

Nonostante in passato la giurisprudenza costituzionale abbia più volte escluso che la regola della retroattività favorevole avesse alcun fondamento costituzionale (valutandola al pari di qualsiasi altra norma sancita dalla parte generale del codice penale), successivamente con le sentenze gemelle 393 e 394 del 2006 – in sintonia con lo spirito complessivo del nostro ordinamento penale – ha rinvenuto un fondamento più profondo nel principio di uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3 Cost., in base al quale il principio della legge favorevole avrebbe dovuto rispettare i principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Sarebbe, infatti, discriminatorio punire con pene diverse soggetti responsabili della medesima violazione esclusivamente in virtù del diverso tempus commissi delicti.

La stessa Corte EDU si è confrontata in più occasioni con il principio di retroattività in mitius, il cui riconoscimento è avvenuto soltanto nel 2009 a seguito della pronuncia sul noto caso “Scoppola c. Italia”.

Per effetto di questa sentenza, il principio in esame si è arricchito di un’ulteriore copertura costituzionale, rinvenibile nell’art. 117, co. 1, Cost., nella parte in cui prescrive che la potestà legislativa sia esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, tra cui quelli CEDU.

L’art. 7 CEDU, infatti, garantisce non soltanto il principio della irretroattività della norma penale più sfavorevole, ma anche – implicitamente – il principio della retroattività delle disposizioni più favorevoli al reo, prima che sia intervenuta sentenza definitiva, in assenza di ragioni giustificative di deroghe o limitazioni.

Ne consegue, dunque, che, qualora sussista una ragione positivamente apprezzabile, la giurisprudenza europea consente di derogare all’applicazione di tale principio.

La conclusione cui è pervenuta la Corte EDU ha fatto sì che la valutazione di eventuali deroghe introdotte dal legislatore nazionale all’operatività del principio della legge favorevole avvenisse tenendo conto non soltanto dall’art. 3 Cost. ma anche valutando l’eventuale compromissione dell’art. 117 Cost. in combinato disposto con l’art. 7 CEDU.

Un ulteriore riconoscimento di tale principio, è stato effettuato anche dalla Corte di Giustizia UE che, nel caso Berlusconi, ha affermato che l’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole rappresenta un principio internazionalmente riconosciuto, richiamato anche dall’art. 49 della Carta di Nizza ed, in quanto tale, non può più essere considerato un canone giuridico puramente nazionale ma facente parte delle tradizioni costituzionali comuni a tutti gli Stati Membri.

Ora, sebbene entrambi i principi siano governati da una ratiosimile, diverso appare l’ambito applicativo.

Mentre il principio di irretroattività della legge più sfavorevole è assoluto e non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali, il principio di retroattività della legge favorevole cede di fronte a contrapposti interessi di rilievo analogo.

Il primo interesse è, senz’altro, quello di economia processuale e dell’intangibilità del giudicato, salvo quanto previsto dall’art. 2, co. 3 (sostituzione di pena detentiva con una pecuniaria).

Comporterebbe un onere eccessivo, infatti, la pretesa di modificare il trattamento di ciascun condannato ogni qualvolta sopravvenga una legge che introduca modifiche anche lievemente più vantaggiose per il reo.

Accanto allo sbarramento temporale costituito dalla sentenza irrevocabile di condanna, figurano altre ipotesi derogatorie, legate alla eccezionalità o temporaneità della legge vigente al momento della commissione del fatto (art. 2, co. 5), alla decadenza o mancata ratifica di un decreto legge posteriore (art. 2, co. 6) ed alla natura processuale di una norma.

La diversa collocazione costituzionale fa sì che questo principio non possa ricevere dall’ordinamento la stessa tutela privilegiata accordata all’art. 25 della Carta fondamentale. Le esigenze di uguaglianza sono, infatti, fortemente affievolite dall’assenza di qualunque collegamento tra il principio menzionato e la libertà di autodeterminazione del soggetto, posto che la legge interviene in un momento in cui il reo aveva già liberamente deciso di agire conscio del panorama normativo vigente (sebbene per lui più sfavorevole).

Definita la portata di tale principio nel nostro ordinamento giuridico, non resta che comprendere in che modo possano risolversi i delicati profili problematici, che negli ultimi anni, sono emersi in relazione alla concreta applicabilità del principio di retroattività della legge favorevole.

Di particolare attualità è la questione riguardante una specifica causa di non punibilità, prevista dall’art. 13 del d.lgs. 74/2000 e riformulata dal d.lgs. 158/2015, afferente il pagamento dei debiti tributari.

Secondo quanto previsto dalla norma, i reati di cui agli artt. 10bis, 10 tere 10 quater, co. 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti. In altre parole, l’esimente prevede la non punibilità del reo/contribuente nel caso in cui questi provveda al pagamento del debito tributario, prima dell’apertura del dibattimento.

In merito a questa disposizione che attribuisce all’integrale adempimento efficacia estintiva e non più solo attenuante (come nella sua formulazione originaria), si era posto il problema di capire se tale modificazione favorevole potesse essere estesa anche a quei soggetti che – al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo – si trovavano in una fase successiva all’apertura del dibattimento.

Il principio di retroattività in mitius si disapplica in caso di disposizioni di natura processuale, ancorate al diverso criterio temporale del tempus regit actum, secondo il quale l’atto processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto.

Ed infatti in un primo momento la giurisprudenza di legittimità, contraria all’applicazione del suddetto principio, aveva obiettato proprio la natura processuale dell’art. 13, attribuendo al menzionato criterio il ruolo di guida logica, semplice e sempre certa.

Si evidenzia, tuttavia, che il mero richiamo ad una fase dal processo, quale l’apertura del dibattimento, non risulta di per sé sufficiente a processualizzare la disposizione.

Le cause di non punibilità ancorano la condotta del reo ad un termine entro il quale questo deve essere tenuto, in modo da incentivare comportamenti antagonisti riparatori del fatto criminoso in una fase in cui lo stato di sofferenza del bene giudico sia ancora materialmente eliminabile a posteriori.

Sebbene questo termine venga talvolta legato a fasi processuali, esso resta di natura sostanziale che solo per praticità viene inserito all’interno dello schema del processo.

A sostegno di tale tesi si richiamano non soltanto la relazione illustrativa del d.lgs. 158/2015 ma anche alcune pronunce in materia di prescrizione, intervenute a seguito della cd. riforma Cirielli, in cui il limite imposto dal legislatore di ancorare l’applicazione della nuova disciplina ad una specifica fase processuale (ossia quella di dichiarazione di apertura del dibattimento), venne dichiarato incostituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost., poiché privo di ragionevolezza.

Con una recente pronuncia del 17 gennaio 2018 (dep. 1 agosto 2018) n. 37083, la Cassazione, temperando la rigidità del limite temporale previsto dalla norma, ha optato per un’interpretazione costituzionalmente orientata verso il rispetto del principio di eguaglianza ed ha sancito la possibilità per tutti quei soggetti, che incolpevolmente si siano ritrovati in una fase successiva all’apertura del dibattimento al momento dell’entrata in vigore del decreto, di accedere alla suddetta esimente.

L’ordinamento italiano, infatti, imperniando il principio di retroattività della legge più favorevole nel principio di uguaglianza, è propenso a riconoscere eccezioni, qualora siano conformi a crismi di ragionevolezza.

Richiamando l’art. 7 CEDU, prima, e la sentenza “Scoppola”, dopo, la Corte sottolinea come il concetto di legge favorevole debba estendersi non solo alle norme che definiscono il reato o le pene che lo reprimono ma anche a tutte quelle disposizione che producano di fatto un effetto favorevole per il reo, come le cause di estinzioni del reato o le stesse cause di non punibilità.

Se la valutazione del legislatore in ordine al disvalore del fatto muta e ritiene che il trattamento sanzionatorio debba essere attenuato o – addirittura – non sia più necessario, tale mutamento deve essere rivolto anche nei confronti di coloro che abbiano posto in essere il fatto in un momento anteriore all’emanzione della legge.

Inoltre, una volta che il reo/contribuente abbia provveduto a corrispondere quanto dovuto, la pena risulterebbe inapplicabile per incapacità della stessa di spiegare la funzione rieducativa assegnata dall’art. 27, co. 3, Cost., dal momento che una volta pagato ed eliminato lo stato di sofferenza causato al bene giuridico, il soggetto non deve più essere rieducato.

La natura attribuita all’adempimento del debito tributario, fa sì che nei procedimenti in corso sebbene sia stato oltrepassato il limite temporale previsto dalla norma, al reo debba essere comunque riconosciuta la causa estintiva. Ciò perchè, in virtù del principio di uguaglianza sostanziale (che vieta trattamenti diversi per situazioni uguali), il pagamento del debito tributario ha la stessa efficacia estintiva sia che venga effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento sia – nei procedimenti in corso nel 2015 – dopo tale limite, purchè prima del giudicato.

Tale regola risponde sia al principio del favor rei, sia all’interesse fiscale e al diritto dello Stato-comunità alla percezione dei tributi, dal momento che l’interesse ad adempiere sarà avvertito come più “intenso” dall’imputato, se ricollegato alla non punibilità del reato anziché ad un’efficacia soltanto attenuante.


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