Adozione per coppie omosessuali: arriva il sì dalla Cassazione
Dopo anni di dibattiti, anche di natura morale, sull’opportunità e la legittimità della trascrizione di una sentenza straniera che certifica l’adozione di un bambino da una coppia di uomini, assistiamo per la prima volta ad una svolta da parte della Suprema Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 9006 pubblicata il 31 marzo 2021.
Secondo gli ermellini, infatti, la sentenza deve essere trascritta allo stato civile perché è necessario tutelare il minore e salvaguardare i suoi diritti fondamentali.
La Cassazione si è così pronunciata sul ricorso proposto da un sindaco per impugnare il provvedimento con cui la Corte di appello aveva riconosciuto lo status che il minore aveva ottenuto negli Stati Uniti. Il bambino era stato adottato da una coppia di uomini, di cittadinanza americana, uno dei quali era italiano naturalizzato americano.
In Italia, prima dell’intervento degli ermellini, non era mai stata consentita l’adozione alle coppie omosessuali. Neppure la legge Cirinnà, n. 76 del 2016, che equipara le unioni civili al matrimonio si era spinta tanto oltre. Tuttavia è opportuno ricordare che, nel caso di specie, ad essere riconosciuta non è in modo assoluto l’adozione per le coppie omoaffettive, bensì la sentenza straniera che riconosce il bambino come figlio adottivo di due uomini.
La Suprema Corte ha sottolineato come il contenuto e gli effetti del provvedimento estero di cui si è chiesto il riconoscimento nel caso di specie siano estranei alla fattispecie oggetto della sentenza a Sezioni Unite n. 12193 del 2019 (in cui era stata negata la trascrizione del provvedimento estero). Nel caso odierno, infatti, lo status genitoriale costituito all’estero non avviene per mezzo della procreazione medicalmente assistita, ma avviene per mezzo di una semplice adozione.
Ciò posto, non sembrano esserci motivi per ritenere che il riconoscimento di questa sentenza straniera violi l’ordine pubblico internazionale. La nozione di ordine pubblico internazionale richiamata dal Collegio è infatti quella elaborata nella pronuncia a Sezioni Unite n. 16601 del 2017 e ribadita nella più recente n. 12193 del 2019: il principio di ordine pubblico internazionale assolve non soltanto la funzione di limite all’applicazione della legge straniera e al riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri, ma anche quella di promozione e garanzia di tutela dei diritti fondamentali della persona. Il compito che sono stati chiamati a svolgere gli ermellini non è stato quello di valutare se il provvedimento di cui si è chiesto il riconoscimento si fosse formato in modo coerente con la normativa e gli istituti del diritto italiano (che, come sappiamo, non riconoscono il diritto all’adozione alle coppie omosessuali), quanto piuttosto la verifica della compatibilità degli effetti che l’atto produce – nella specie l’attribuzione di uno status genitoriale adottivo – con i principi alla base dell’autodeterminazione e delle scelte relazionali dei minori e degli aspiranti genitori, di cui agli articoli 2 Cost e 8 CEDU.
Sul punto, la Suprema Corte ha richiamato la pronuncia n. 14007 del 2018, con la quale si era già espressa in merito alla trascrizione di una sentenza straniera con cui era stata pronunciata l’adozione dei figli minori e biologici di due donne francesi coniugate in Francia e residenti in Italia. Al riguardo, aveva ritenuto possibile il riconoscimento della sentenza francese per non contrarietà all’ordine pubblico, stante il preminente interesse del minore al mantenimento della stabilità della vita familiare consolidatasi con entrambe le figure genitoriali, “non incidendo l’orientamento sessuale sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale”. È stata richiamata questa sentenza in particolare proprio perché in quel caso di specie la sentenza è stata riconosciuta nonostante le due donne avessero fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita eterologa[1].
In conclusione, l’unico reale limite, dovuto alla contrarietà ai principi di ordine pubblico internazionale, è e rimane il riconoscimento di status genitoriali, contenuto in provvedimenti esteri, a favore di coppie omosessuali che abbiano fatto ricorso alla gestazione per altri; limite peraltro comune anche alle coppie eterosessuali.
Dunque, al fine di valutare l’opportunità di riconoscere un provvedimento estero di tal fatta, i giudici devono assumere come “principi cardini il diritto del minore alla conservazione dell’identità e della stabilità familiare ed il favor verso la continuità degli status filiali da bilanciare con il limite incomprimibile della dignità dei soggetti coinvolti”. In secondo luogo, si dovrà parimenti tenere conto del principio della parità di trattamento tra tutti i figli, nati all’interno e fuori dal matrimonio o adottivi, sancito dagli articoli 3 e 31 Cost., in quanto l’obiettivo cui si deve tendere è quello di non creare discriminazioni nel regime giuridico di tutela dei minori.
Alla luce di quanto sopra esposto, la Cassazione ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio adottivo sia omogenitoriale, ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione”.
[1] Sul rapporto tra il preminente interesse del minore e la legittima finalità di disincentivare il ricorso ad una pratica che l’ordinamento italiano considera illegittima ed anzi meritevole di sanzione penale è intervenuta la recentissima sentenza della Corte Cost. n. 33 del 2021 con la quale è stato riaffermato il margine di apprezzamento degli Stati nel non consentire la trascrizione di atti o provvedimenti stranieri che fondino lo status genitoriale sulla surrogazione di maternità, pur sottolineando l’esigenza di un sistema di tutela del minore più efficace di quello garantito dall’istituto dell’adozione in casi particolari.
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Elena Avenia
Nata ad Agrigento nel 1994. Laureata con pieni voti e lode nel luglio del 2018, presso l'Università degli studi di Enna Kore, con una tesi in diritto processuale penale dal titolo "L'ascolto del minore nel processo penale". Diplomata nel luglio 2020 presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Catania. Abilitata alla professione forense il 21 settembre 2020.
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