Affrancazione nell’edilizia popolare residenziale

Affrancazione nell’edilizia popolare residenziale

Sommario: 1. Prefazione introduttiva: una «problematica» di «densità giuridica» e di resilienza «etico-sociale» – 2. L’«oggettività giuridica» in materia di «edilizia residenziale popolare» in tema di comparazione con l’«edilizia convenzionata» – 3. Il «diritto proprietario» e l’«edilizia pubblica agevolata» – 4. L’«affrancazione» nell’«edilizia pubblica residenziale» – 5. La «responsabilità» soggettiva e oggettiva, quale rilevatore giuridico di «eguaglianza» e «parità» di «diritti» e di «obblighi», in materia di «affrancazione» nell’«edilizia popolare residenziale».

 

1. Prefazione introduttiva: una «problematica» di «densità giuridica» e di resilienza «etico e sociale» 

In materia «legislativa» e altresì «giurisprudenziale», in termini giuridicamente formali, e internamente a caratteristiche dal valore profondamente «antropologico» e «sociale», si palesa una spinosa e annosa problematica riguardante l’illegittimità interpretativa in termini documentali, palesatasi in materia di edilizia residenziale «popolare» o «pubblica».

È consuetudine storicamente consolidata, sin dalle epoche più remote e primordiali, e tale consuetudine nel tempo ha autonomamente generato una «prassi» giuridicamente valevole quanto adeguatamente legiferante, conformemente a esigenze di ordine etico-sociale, che si determinano nel momento in cui una comunità «sociale» e di «diritto» va formandosi e organizzandosi, nella ricerca di una pienezza e un perfezionamento del «bisogno» primario e «collettivo» legato allo «status legale abitativo», emergente all’interno dei confini di una giurisdizione territoriale di ordine statale, regionale o comunale.

La «radice» di un «bisogno», si correla sostanzialmente, e de plano, a un «diritto» ricco di «concretezza» e di «tangibilità» giuridicamente affiorante, che fortemente  rivendica l’ottemperanza «giusta» ed «equa» di un congiunto e nascente «obbligo».

La problematica d’inerenza, si dipana quale materia «basculante» in ordine a demarcazioni giuridiche di «teoria» e di «prassi», in termini di garanzia «formale» e «sostanziale» segnatamente a criteri di eguaglianza non discriminante da tutelare, quanto di riconoscimento della «dignità» dell’essere umano, sia quale «individuo» sia nelle formazioni collettive ove quest’ultimo esprime la propria personalità solidale.

2. L’«oggettività giuridica» in materia di «edilizia residenziale popolare» in tema di comparazione con l’«edilizia convenzionata».

L’«edilizia residenziale popolare» si concreta nella ramificazione giuridica dell’edilizia pubblica in materia di dispositivi amministrativi da attivarsi in applicazione o ottemperanza di un «diritto immobiliare», che sia in favore dei ceti meno abbienti, o comunque di coloro che manifestamente de iure e de facto rientrano in quelle fasce reddituali più fragili, impossibilitati ad abilitarsi all’esercizio di un «diritto» che usualmente predispone il fruitore stesso a una contrattazione d’acquisto valorizzata da un prezzo di mercato a cui fare rigoroso riferimento.

Una tipologia di «edilizia c.d. agevolata», laddove lo Stato, le Regioni, gli Enti pubblici territoriali, o le aziende strutturate in ordine ad un modus operandi imprenditoriale che trovi il pieno sviluppo del suo «target finanziario» intorno all’edilizia residenziale pubblica, prende su di sé l’intero onere economico-monetario, in maniera «esclusiva» o «compartecipata».

Una tipologia giuridica siffatta si pone in chiaro distinguo con un parallelo e plausibile confronto a riguardo di un concetto di «edilizia c.d. convenzionata».

In questo caso, lo Stato dispone di se stesso a riguardo di una possibile finalità di   «cooperazione» o di «accordo formale» d’intesa con coloro i quali provvederanno alla costruzione degli alloggi, e che secondariamente si nutre di una plausibile e ragionevole trasmutazione sostanziale laddove la precipua finalità possa ipotizzare una «c.d. edilizia sovvenzionata» dove, come noto, intervengono «soggettivamente» e «oggettivamente», de iure e de facto «Enti pubblici» o «aziende territoriali» a ciò preposte, nel prendere su di loro l’onere dell’ «edilizia popolare».

3. Il «diritto proprietario» e l’«edilizia pubblica agevolata»

Secondo quanto disposto dal corpus iuris dell’articolo 2 del codice civile:

«La formazione delle leggi e l’emanazione degli atti del Governo aventi forza di legge sono disciplinate da leggi di carattere costituzionale».

La valenza della radice costituzionale internamente a uno Stato di diritto a vocazione repubblicano-parlamentare quale quella italiana, ha una sua ricaduta caratteristica nell’anima endemica di una legge, di un provvedimento ministeriale, di una pronuncia giurisdizionale.

La «forza» e il «rilievo costituzionale» costituiscono e rappresentano, al medesimo tempo, la misura dell’equità e lo spessore della dimensione sociale della politica dello Stato, quanto dei suoi dipartimenti regionali e comunali.

La difesa dell’integrità di quei «principi», che abilitano la democraticità di uno Stato, congiuntamente a quei «diritti» e a quelle «fondamentali libertà» da una Carta Costituzionale contemplati affinché siano «viventi», e non costretti in un mero e circoscritto «formalismo» di principio, rende quest’ultima partecipe del senso legislativo e amministrativo realizzato attraverso politiche d’intervento appositamente concepite, in settori quali quello dell’edilizia pubblica, popolare o economica.

Il Titolo primo del Libro III «Della Proprietà» del codice civile, al Capo I («Dei beni in generale»), nell’articolo 810, rende evidente che:

«Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti».

L’articolo 812, di tale Libro III riguardante la «Proprietà», nella sezione II del Capo I («Dei beni in generale»), afferma che:

«Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.

Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.

Sono mobili tutti gli altri beni.».

Segnatamente a quanto riportato dai su citati artt. 810 e 812, l’abitazione rientra pienamente in questa precipua classificazione relativamente a ciò che è giuridicamente percepibile quale unità c.d. immobiliare, conseguendone nondimeno, la complementare «destinazione oggettiva» della medesima ad un corrispondente «diritto», quale quello di «proprietà», sancito dall’articolo 832 del codice civile, nei seguenti termini, ovvero:

«Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.».

Secondo l’articolo 3 della Costituzione:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.».

In ordine a una intenzione di «destinazione» e di «scopo» quale quella così concepita dal corpus iuris dell’articolo 3 della Costituzione italiana, va dispiegandosi la dimensione dell’orizzonte cognitivo di senso «oggettivo» sussistente tra il «diritto proprietario» e l’«edilizia pubblica agevolata».

L’«oggettività» intrinseca concernente l’«edilizia pubblica agevolata», va rapportandosi essenzialmente alla funzionalità o funzionalismo di «scopo» della stessa.

Come noto, viene in tal guisa a tutelarsi lo status giuridico del «bene» casa, abitazione o alloggio, in quanto in tal guisa legalmente «costituitosi» o «precostituitosi».

Elemento prezioso in un conteso similare, è quello della costruzione di una unità valoriale del «bene casa», che vada ad esprimersi in termini economico-monetari, quale il «prezzo».

Quest’ultimo non seguirà una mera indicizzazione di «mercato», sarà bensì ripartito internamente a una «quotazione» fissata per legge, in qualità di valente calmierazione di un oggettività finanziaria che è cardine essenziale del «mercato immobiliare».

L’edilizia residenziale diviene così «pubblica» e «calmierata», rendendosi conseguenzialmente vicina a un’esigenza prioritaria da tutelare e preservare, quale quella sancita nell’articolo 2 della Costituzione, ovvero:

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.».

La funzione «diacronica» dell’edilizia pubblica addiviene dunque in tal modo ad un riassetto sociale del diritto immobiliare attraverso un disciplinare pubblico di legge che ripartisca l’urbanistica residenziale attraverso due «alvei» principali e fondamentali quale quello prettamente «pubblico» e quello «privato».

Una «diacronia» propositiva di un proprio sviluppo sostanziale relativamente a quanto è notorio riscontrare nell’inflessione letterale e giuridica dell’articolo 31 della Costituzione, ovvero:

«La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riferimento alle famiglie numerose… ».

4. L’«affrancazione» nell’«edilizia pubblica residenziale»

Il termine «affrancazione», dal latino medievale affrancatio–onis, implica implicitamente un conquistato status giuridico di «franchigia» o di riconosciuta «autonomia».

Tale termine è implicitamente associabile altresì ad un’azione di qualificazione economico-monetaria predisponente un rapporto giuridico di relazione intercorrente fra un «soggetto attivo» e un «soggetto passivo», da svilupparsi intorno a un elemento meramente oggettivo, quale l’«unità immobiliare» o «abitazione».

Il tenore giuridico di una tale «azione» o «status giuridico», è segnatamente congiunto o contiguo a una categoria di diritti che nel nostro ordinamento giuridico assumono la dizione di «diritti reali».

I «diritti reali» sono «diritti» rivendicabili verso ciò che per legge viene codificato come beni oggetto di diritti, così come sancito nel citato articolo 810 del codice civile.

Si rendono fruibile sostanza di edilizia pubblica residenziale in materia di «affrancazione», le seguenti tre leve giuridicamente rilevabili, e propriamente riconducibili, alla materia dei diritti reali, quali il «diritto di superficie», l’«enfiteusi», il «diritto di proprietà»:

  • Il «diritto di superficie», ai sensi dell’articolo 952 del c.c., è definibile come:

«…un diritto reale in re aliena, denominato anche diritto reale parziario o frazionario.

… è un tipico diritto reale di godimento … in quanto attribuisce al titolare il diritto di conseguire direttamente dal bene determinati vantaggi.

Con tale diritto viene a comprimersi il potere di godimento che spetta al proprietario pieno. Infatti, con la concessione ad aedificandum il proprietario del suolo costituisce un diritto reale a vantaggio del concessionario, che acquista il potere di edificare sull’altrui terreno una costruzione, dando vita alla proprietà separata dell’edificio».[1]

  •             L’«enfiteusi», ai sensi degli 957 e seguenti del codice civile, è riconducibile a un:

«diritto reale di godimento su un fondo (rustico o urbano) per mezzo del quale il soggetto beneficiario (enfiteuta) acquisisce il diritto di esercitare poteri analoghi a quelli spettanti al proprietario, con il solo vincolo di migliorare il fondo e di pagare al proprietario concedente un canone periodico (art. 960 c.c.).

Il titolare dell’enfiteusi dispone, inoltre, del diritto potestativo di divenire pienamente proprietario dell’immobile, con il pagamento di una somma pari al canone annuo moltiplicato per quindici; tale diritto si definisce affrancazione».[2]

  • Il «diritto di proprietà», è l’espressione de iure e de facto di una titolarità personale o consociata referenziabile a beni di natura «materiale» o «immateriale».

In ordine a quelli di natura materiale sono riscontrabili i «beni mobili» e «immobili»; tra quelli di «natura non corporale[3]», un esempio esemplificativo sono i «diritti di proprietà intellettuale».

L’articolo 832 c.c., si esprime in relazione a tale «diritto» nel modo seguente:

«Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico».

La non estraneità giuridica in argomento di edilizia residenziale pubblica a riguardo delle tre leve appena citate, ne favorisce per quest’ultima la piena osservanza, il pieno accoglimento e il disciplinato adattamento, internamente a un rigorismo dispositivo della stessa, in tema di sistematizzazione della materia.

Con inerenza alla problematica dell’«affrancazione», suo cuore saliente, il riferimento si fa essenziale nel confrontarsi con l’istituto previgente dell’«enfiteusi» quanto con il «diritto di superficie».

Come noto, in argomento di edilizia pubblica o agevolata, il «diritto di superficie», interviene dando luogo alla nascita di una contrattazione tra «pubblico» e «privato», a riguardo di un’apposita espropriazione patrimoniale di natura prettamente «immobiliare»; un’affrancazione patrimoniale siffatta, si rende attrice di un’evidente  trasmutazione di un diritto di proprietà stricto sensu, in diritto di proprietà superficiaria lato sensu, la quale può essere ricompresa internamente a un arco temporale da dispiegarsi fra i 60 e i 99 anni.

Ed ecco che la concessione ad aedificandum viene a costituire un diritto reale che comporti la facoltà di edificare sull’altrui terreno una costruzione, che dia vita a una proprietà separata dell’edificio, così come anticipato in precedenza.

L’«affrancazione» in sé, rinviene altresì all’istituto dell’«enfiteusi»; ovvero, alla c.d. «estinzione» di quest’ultima, a seguito del verificarsi delle seguenti tipologie causali condizionanti: a) per scadenza del termine; b) per distruzione del fondo; c) per prescrizione estintiva; d) per consolidazione; e) per devoluzione; f) per «affrancazione».

Il meccanismo dell’«affrancazione» si consolida in tale caso, in «autonomia giuridica», laddove l’«enfiteuta» diviene mero proprietario del «fondo enfiteutico», dietro versamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone periodico versato nel tempo, a favore del concedente, sulla base di un «interesse legale» (art. 971 c.c.).

L’urbanistica residenziale edilizia, deve normalmente essere rispondente a  esigenze di adeguamento e a prefissati quanto predeterminati coefficienti di compattezza, di densità, di occupazione del suolo, dando luogo a condizioni di salubre vivibilità urbana e ambientale, evitando sovraffollamento e congestione[4].

Come ulteriore elemento condizionante, deve inoltre necessariamente tararsi altresì intorno alla definizione di un c.d. «SLP», ovvero sulla determinazione della superficie lorda di pavimento residenziale, che deve interessare ciascun edificio da edificare nell’area urbana prescelta, ovvero un criterio che rifletta proporzionatamente la densità abitativa, favorendo così la sostenibilità ambientale cittadina, il disegno spaziale delle infrastrutture unitamente ai sistemi di trasporto.[5]

Conformemente a ciò, lo ius aedificandi del proprietario, viene debitamente a  circoscriversi e limitarsi di per sé attraverso l’adozione di tali suddetti coefficienti legislativi caratterizzanti l’«edilizia urbana».

La problematica dell’«affrancazione» verte su tutti questi elencati elementi o coefficienti di riflessione o di predeterminazione, che non possono discostarsi peraltro, da quanto disposto più volte in argomento dalla Corte Costituzionale, a garanzia della salvaguardia del c.d. contenuto minimo del diritto di proprietà[6] a riguardo dei parametri sociologici e giuridici ordinamentali concepiti dall’articolo 42 della Costituzione, ovvero:

«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.»

A motivo di ciò, diviene essenziale, la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione Civile, a Sezioni Unite, con riferimento alla sua sentenza n. 18135 del 2015, a fronte di speculazioni inverse rappresentate in regime di «affrancazione» a seguito dell’errata interpretazione e poi applicazione della normativa in auge.

A tal proposito l’articolo 12 c.c. interviene sostenendo che:

«Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.

Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato».

La Suprema Corte, nella sua specifica pronuncia, sostiene e sottolinea che:

«…in mancanza di convenzione integrativa di affrancazione, il vincolo relativo al prezzo massimo di cessione per gli alloggi realizzati nei piani di zona segue il bene nei successivi passaggi di proprietà a titolo di onere reale senza limiti di tempo, indipendentemente dall’epoca di stipula della convenzione, sia nel caso di concessione del diritto di superficie che di cessione di proprietà.».

Di fatto, la Suprema Corte di Cassazione, vuole essenzialmente porre un accento d’importanza, nel valutare equamente e secondo diritto, l’assetto valoriale della compravendita immobiliare, in «regime agevolato o pubblico».

Sostanzialmente, essa puntualizza che il valore agevolato dell’immobile non può circoscriversi in maniera univocamente esclusiva nei confronti del primo acquirente o proprietario, e che la rivendita esclusiva di tali immobili residenziali popolari, può essere effettuata dai successivi proprietari versando una cifra appositamente calcolata all’amministrazione comunale.

Un’errata interpretazione della legge, e quindi la sua consequenziale non corretta applicazione, come sottolineato più volte dai giuristi del settore, ha comportato una mancata apprezzabile differenziabilità da fare sussistere fra l’esercizio del diritto di proprietà stricto sensu, e quello esplicato in termini di proprietà superficiaria, lato sensu; e nel favorire inoltre l’acquisizione  della proprietà immobiliare, sulla base di appositi nulla osta abitativi comunali, rilasciati affinché potesse essere favorita una successiva compravendita in regime di «mercato libero».

Il nocciolo duro in tema di «affrancazione» è dato essenzialmente dalla problematica legata al prezzo massimo di cessione e agli eventuali diritti riconoscibili rispettivamente ai venditori e agli acquirenti.

Tale prezzo viene definito in giurisprudenza e in dottrina quale leva finanziaria  attraverso la quale definire il valore della proprietà superficiaria da vendere o da acquistare.

Un prezzo che si vincola fortemente a quanto consistentemente disposto dalla legge n. 865/1971 e precisamente attraverso il suo articolo 35.

In dottrina si precisa che, seguendo i canoni sanciti dai giudici della Cassazione civile nella su citata sentenza n. 18135/2015, l’affrancazione fa venire meno tale prezzo massimo, e la vendita della proprietà superficiaria può essere disposta anche per un prezzo superiore a quest’ultimo, da concordarsi con l’acquirente.

Nel 2018, interviene sulla questione il decreto legge n. 119, in seguito convertitosi  in legge n. 136/2018, stabilendo i seguenti parametri: 1) oggetto dell’affrancazione è il prezzo massimo di cessione dell’immobile; 2) possono sottoscrivere istanza di affrancazione le persone fisiche; 3) la compravendita dell’immobile non produrrà effetti giuridici per quanto riguarda la differenza di valore prodottasi tra il prezzo convenzionato e quello libero di mercato; 4) la predetta differenza sancisce un c.d. valore di rimborso, il quale non sarà più rappresentabile allorquando i vincoli relativi al prezzo di cessione verranno meno; 5) le suddette disposizioni si avvalgono di un proprio valore retroattivo da applicarsi alle compravendite precedenti l’emanazione della normativa in oggetto di discussione; 6) laddove si perviene esclusivamente a un diritto di superficie, si perviene alle disposizioni normative contemplate nel comma 8, lettera e, con riferimento all’art. 35 della legge n. 865/1971; 7) laddove si perviene esclusivamente a un diritto di piena proprietà, si fa riferimento alla legge n. 865/1971, comma 13 dell’art. 35, così come modificato dalla legge n. 662/1996, e così come integrato dalla legge n. 136/1999, nel suo art. 7.6.; 8) in regime di convenzione, si fa riferimento alla legge Bucalossi del 27 gennaio 1977, n. 10, non rientrante nei piani di zona; 9) il comma 49bis di tale legge, viene a disciplinare i vincoli di cui all’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.

Il primo marzo 2019, il Tribunale di Roma, X° Sezione Civile, si pronuncia in merito alla legge n. 136/2018, nella quale si discute del prezzo massimo di cessione e della durata residuale del vincolo ad esso relazionato.

Secondo dottrina, tale pronuncia stabilisce, disapplicando l’articolo 25-undecies relativo alla legge n. 136/2018, e seguendo conformemente quanto statuito nel comma 49 quarter, n. 3,  legge n. 136/2018, che anche il venditore non proprietario può sostanzialmente affrancare, liberando l’immobile venduto ad un prezzo di mercato da tale vincolo.

Recentemente, alla luce delle problematiche sociali scaturite dalla contaminazione virale denominata «COVID-19», il governo è opportunamente intervenuto a qualificare in maniera ancor più specifica, una settorialità complessa e problematica quale quella dell’edilizia pubblica.

Concretamente, attraverso la legge di bilancio per il 2020, l’edilizia pubblica urbana subisce una modificazione sostanziale a riguardo di una più rapida accessibilità allo sviluppo del suolo pubblico residenziale.

Trattasi del c.d. «Programma Smart City a consumo di suolo zero», le cui finalità sono le seguenti: a) la coesione sociale; b) la salvaguardia della qualità della vita dei cittadini; c) la sostenibilità e la densificazione delle aree urbane; d)l’inclusione dei «parametri europei» in una progettualità presente e aperta sul futuro, conformemente a nuovi modelli urbani «inclusivi» e «sostenibili».

Tali parametri europei così disposti, consentiranno altresì la c.d. riqualificazione e densificazione funzionale, modelli innovativi di gestione, inclusione sociale e welfare urbano.

Una finalizzazione propositivamente volta alla rigenerazione urbana che tendenzialmente favorisca la riduzione dei fenomeni di marginalizzazione di degrado sociale e ambientale.

5. La «responsabilità» soggettiva e oggettiva, quale rilevatore giuridico di «eguaglianza» e «parità» di «diritti» e di «obblighi», in materia di «affrancazione» nell’«edilizia popolare residenziale».

A conclusione delle riflessioni e dello studio su riportato, è certamente acquisibile un onere di responsabilità che vada oggettivamente e soggettivamente debitamente evidenziato alla luce di tale affrancazione nel settore dell’edilizia agevolata o pubblica.

Sostanzialmente, l’elemento ricco di requisiti di presunta soggettività, è potenzialmente riferibile alla stessa legislazione in materia, e ai suoi parametri di soggettiva interpretazione, i quali hanno dato istintivamente luogo ad accertate c.d. speculazioni inverse, relativamente ai vincoli non rispettati in merito ai prezzi massimi di cessione degli immobili.

L’oggettività, può ritenersi plausibile invece, in stricto sensu, nella determinazione del prezzo vincolato e in quello convenuto tra le parti, quanto nella differenza di valore che viene a sancirsi dell’uno confrontato all’altro.

Punto d’arrivo, ma al contempo stesso preziosissimo punto di partenza, il diritto di eguaglianza, di presunta e presupposta parità sociale nei diritti e negli obblighi discendenti da una questione similare e sì spinosa e tuttora insoluta.

 

 

 

 

 


[1] A. CAPALBO, Trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, Matelica (MC), 2004
[2] G. CLAVARI, V. POLLASTRINI, IVA nell’edilizia e nella proprietà immobiliare, Assago, 2003
[3] C. CASTRONOVO, S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Vol. 2,  Milano, 2007
[4] P. BOLCHI, R. CASSI, E. PUERARI, Quartieri di edilizia pubblica: rinnovo o conservazione? : il caso Lorenteggio, Rimini, 2015
[5] P. BOLCHI, R. CASSI, E. PUERARI, Quartieri di edilizia pubblica: rinnovo o conservazione? : il caso Lorenteggio, Rimini, 2015. Le autrici riportano dati e qualificazioni certificanti uno studio condotto nel 2008, dallo Human Space Laboratory.
[6] F. BOCCHINI, E. QUADRI, Diritto Privato, 5° edizione, Torino, 2014, pag. 468

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