Afragola, una importante epigrafe cristiana del I secolo d.C.
Sommario: 1. Breve introduzione – 2. Una iscrizione… quasi inedita – 3. Trascrizione dell’epigrafe riportata dal Reinisio – 4. Ulteriori chiarimenti sul committente del monumento funebre – 5. Breve considerazione – 6. Conclusione
1. Breve introduzione
Il cristianesimo in Campania ha origini profonde e ben radicate nella storia già a partire dalla prima metà del primo secolo d.C.
Dalla “Delus minor”, come veniva chiamata Pozzuoli, in breve tempo e con sorprendente rapidità, la nuova religione si diffuse in tutta l’aria flegrea e, successivamente, a Napoli e nel suo eterogeneo entroterra.
Il porto commerciale di Cuma, decantato da Livio per l’ampiezza e la profondità dei fondali, fu, in un certo qual modo, anche la principale via di comunicazione del cristianesimo in Campania.
Cuma, Baia, Miseno, Quarto, Nola, Cimitile e decine di altre località sono il teatro veritiero di questa diffusione, attestata dalla ricerca archeologica, da millenarie tradizioni orali e, non di rado, da autorevoli fonti scritte.
2. Una iscrizione… quasi inedita
Anche ad Afragola sono state rinvenute tracce evidenti della presenza cristiana nel primo secolo d.C.
Esemplare, per il nostro assunto, appare un’epigrafe riportata per la prima volta dal Reinisio e successivamente dal Della Corte e dal Castaldi.
Il testo epigrafico, esplicito nel formulario specifico e nella presenza di “iconemi” che alludono all’avvenuta adesione alla nuova fede, mentre dà forza e vigore ad una preesistente ed antichissima tradizione orale che vuole la presenza di Pietro e di Marco ad Afragola, pone, nel contempo, una serie di interrogativi di non immediata soluzione, ma affascinanti per le deduzioni che da essi necessariamente derivano.
Ritrovata in contrada Lellaro, <<poco distante da S. Maria La Nova, già pertinenza della Universitas di Afragola>>, secondo quanto afferma il Castaldi, l’epigrafe era parte integrante di un monumento funerario eretto da uno schiavo affrancato.
3. Trascrizione dell’epigrafe riportata dal Reinisio
VITELLIUS QAL CHRESTUS TROIAE
ANTEMIO MATRI SUAE ET VITELLIAE PRIMAE LIBERT
SUAE IN FR P XII IN AGRO P XII
3.1. Analisi del testo epigrafico
Un primo elemento di lettura ci porta alla condizione dello schiavo affrancato, relativamente alla pertinenza dei “tria nomina”.
Nella fase repubblicana, lo schiavo affrancato aveva in primo luogo il proprio nome da schiavo; ad esso facevano seguito il prenome e il gentilizio del cittadino che lo aveva affrancato.
In seguito, secondo un uso generalizzato a partire dall’età augustea, il suo nome da schiavo divenne cognomen e per praenomen e nomen egli assunse quelli dell’antico padrone.
Al posto del patronimico, poi, nei testi epigrafici si trova spesso, in caso genitivo, il prenome dell’antico padrone seguito dalla indicazione L(ibertus).
Sempre a partire dall’età augustea, infine, poteva seguire o meno l’indicazione della tribù.
Tutto ciò premesso, possiamo a questo punto dire che il committente del monumento funebre è un liberto, che dedica una “memoria religiosa” a sua madre Antemio e alla sua liberta Prima Vitellia.
Il monumento misura 12 piedi di lunghezza e 12 di larghezza.
3.1.2. Un secondo e più interessante elemento di lettura ci riporta al primo e deriva dall’analisi del nome CHRESTUS.
Conditio sine qua non per il proseguio della nostra analisi è una osservazione preliminare: le epigrafi sepolcrali pagane non potevano prescindere dalla formula dedicatoria agli dei Mani ed adottavano in genere la formula D(is) M(anibus) S(acrum).
Esse, inoltre, prima di riportare le misure del monumento, minacciavano con una formula di ammonimento a non violare il possesso della tomba e a riservare la proprietà esclusivamente al defunto proprietario.
In base a questi elementi, dunque, è facile arrivare alla seguente conclusione: il committente del monumento funebre non è certamente un pagano.
Ciò detto, è da osservare che il nome CHRESTUS è di chiara origine greca e può facilmente prestarsi ad una facile confusione con CHRISTUS.
Già il Ciprotti, nel commentare la celeberrima METHE COMINALES della regione VIII, insula 8 di Pompei, ritenne opportuno e certo interpretare la parola CHRESTUM del graffito con CHRISTUM.
L’analisi filologica del termine, ad ogni modo, trovò autorevoli riscontri nel senso indicato dal Ciprotti, sia nel Della Corte che in età romana in Svetonio.
Possiamo, a questo punto, dire: l’epigrafe è senza dubbio cristiana, il committente si chiama Cristo ed è un liberto di origine greca, che ha voluto evidenziare l’adesione alla nuova fede con il nome Cristo e con gli “iconemi” insiti nel monumento sepolcrale da lui fatto innalzare.
3.1.3. La nostra lettura critica del testo epigrafico riportato dal Reinisio, dal Della Corte e dal Castaldi, potrebbe, per il fine che ci siamo proposti, dirsi vicina alla conclusione.
Non possiamo, però, non soffermarci prima su alcune “irregolarità” dell’epigrafe, inerente la prima al genitivo retto da L(ibertus) e le altre alle parole TROLIAE e LIBERT.
Raro, piuttosto che irregolare, appare l’indicazione del nomen al genitivo, ma si deve osservare anche che è impossibile fissare una datazione cronologica nella complessa evoluzione dei “tria nomina”, come attestato anche da Ulpiano.
Decisamente irregolare (errato, in verità) appare il termine LIBERT tradotto dal Reinisio con la parola “liberta”, traduzione alla quale brevitate calami ci siamo attenuti fino a questo momento.
In verità, tra le sigle e le abbreviazioni epigrafiche la parola LIBERT non ha mai il significato di “liberta”, ma quello di “libertina”.
Dato per certo, quindi l’errore di traduzione, l’epigrafe assume un nuovo significato: il monumento funebre non è stato innalzato alla moglie Antemio e alla liberta Prima Vitellia, ma alla moglie Antemio e alla figlia Prima Vitellia, dal momento che libertine e libertini erano le figlie e i figli dei liberti.
3.1.4. Premesso che la tribù di appartenenza viene quasi sempre espressa in caso ablativo e mai comunque per intera, dobbiamo ricordare anche che esse, per il crescente propagarsi del diritto di cittadinanza, raggiunsero il numero massimo di 35 nel 241 a.C. e che successivamente esse persero il loro valore di distinzione geografica, essendo i cittadini inseriti d’ufficio ad una di quelle già esistenti.
Ciò premesso, la parola TROLIAE manda all’aria ogni regola e ogni certezza, sia perché – caso unico – la tribù verrebbe riportata per estesa, sia perché non esiste alcuna tribù con il termine evidenziato, sia, infine, per l’improbabile e molto raro uso del genitivo.
È legittimo, di conseguenza, pensare ad un errore di interpretazione del testo da parte del Reinisio o ad un errore di trascrizione del Castaldi o ad una imperdonabile leggerezza del tipografo.
Tutto ciò evidenziato, riteniamo che TROLIAE è errata trascrizione e che il testo originario debba essere TRO (tribù tromentina) e PIAE, termine quest’ultimo che avrebbe dovuto essere posto nello spazio sottostante, immediatamente prima di ANTEMIO.
L’esatta e definitiva trascrizione dell’epigrafe è dunque:
VITELLIUS QAL CHRESTUS TRO
PIAE ANTEMIO MATRI SUAE
ET VITELLIAE PRIMAE LIBERT SUAE
IN FR P XII IN AGRO XII
(Aulo Vitellio Cristo Liberto di Quinto Aulo della tribù tromentina/alla sua pia madre Antemio/ e a sua figlia Prima Vitellia. Questo monumento misura 12 piedi di lunghezza e 12 di larghezza.)
4. Ulteriori chiarimenti sul committente del monumento funebre
Aulo Vitellio Cristo, greco, era liberto di Quinto Vitellio, figlio di Publio Vitellio il Vecchio. Di Quinto sappiamo soltanto che era stato allontanato dal senato per ordine di Tiberio, per aver dissipato il suo patrimonio a causa del vizio.
Essendo i Vitellio una gens di origine campana, che proveniva da Nuceria Alfaterna, appare probabile che Quinto, scacciato da Roma, sia tornato nel paese di origine dei propri avi, anche perché, sparsi per la Campania, dovevano i Vitellio possedere diversi terreni agricoli e diverse ville suburbane.
La presenza di Cristo e della sua famiglia in Afragola dà indirettamente forza ai famosi versi del Pontano, sulla veridicità dei quali anche per il passato sorsero diversi dubbi: <<Pomon avus Fragolae atavus cerealis Acerrae vitiferaeque abavus non certa prole Casullae>>.
Non crediamo, in verità, che Afragola sia più antica di Acerra, ma certamente nel primo secolo dopo Cristo non era un agglomerato di piccoli villaggi sparsi: essa aveva un suo tessuto economico, usufruiva dell’acquedotto augusteo (cosa che spero di dimostrare in qualche successivo articolo) e la presenza romana sul suo territorio non era “passeggera”.
Aulo Vitellio Cristo aveva innalzato un monumento funebre, segno di una certa agiatezza economica: che senso avrebbe avuto innalzarlo in una zona semideserta e dimenticata?
5. Breve considerazione
L’epigrafe da noi corretta e tradotta (e lo diciamo con un certo orgoglio) merita una grande attenzione, non tanto perché smentisce con competenza tutte le false informazioni che sono state scritte anche recentemente su di essa, ma perché l’epigrafe è un segno concreto sia della “romanitas” che della “christianitas” di Afragola nel primo secolo dopo cristo.
Non si limita, inoltre, a dare testimonianza di uno o più personaggi, ma è significativa di un contesto più ampio, di un tessuto urbano “allargato” e di inaspettate sorprese che coinvolgono la nascita e la stratificazione delle diverse compagini sociali dell’impero romano in un paese, Afragola, ritenuto dai soliti “ripetitori” un agglomerato sparso, quale sono oggi molti suoi figli.
6. Conclusione
Dal quarto secolo a.C. fino al terzo d.C. Afragola è stata abitata da osco-calcidici, osco-sanniti e dai romani.
Con il lento ed inesorabile declino della confederazione osca in Campania, si ebbe contemporaneamente l’avanzata di Roma in tutta la Penisola italica.
A partire dal 183 a.C. la presenza romana in Afragola appare continua, stabile e in inconfutabile espansione: il “castra stativa” di Labeone, una iscrizione onoraria dedicata ad Augusto, l’acquedotto di Agrippa, l’epigrafe cristiana appena analizzata in questo articolo, una epigrafe inedita del terzo secolo d.C. sono le pietre miliari della presenza romana in Afragola.
Tutte queste testimonianze hanno una notevole importanza per la corretta ricomposizione delle diverse compagini sociali e delle tappe che segnarono l’evoluzione storica di Afragola e di altri importanti paesi dell’entroterra campano a nord di Napoli, ma l’epigrafe cristiana pone Afragola in una posizione di privilegio, perché non sono moltissimi i paesi che possono vantare un tale primato, una così veloce fusione di “romanitas” e di “christianitas”.
Molto rari sono i monumenti funebri con gli “iconemi” della fede cristiana: uno di essi, presente nell’antica Pompei, sembra quasi la fotografia di quello che Quinto Vitellio Cristo eresse alla moglie Antemio e alla figlia Prima Vitellia.
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Andrea Romano
Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.
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