Afragola osco-calcidica e osco-sannita
Sommario: 1. Le origini remote: uno sguardo d’assieme – 2. Civiltà osco-calcidica – 2.1 Il Cantariello e la tomba a doppia cassa – 2.2 Il Salice e la fratria degli Artemisii – 2.3 Compresenze archeologiche e predominio della civiltà osco-calcidica – 3. Afragola osco-sannita – 4. Il tramonto della civiltà osco-sannita – 5. Una promessa o, se vi pare, una minaccia – 6. Un’ultima battuta
1. Le origini remote: uno sguardo d’assieme
Gli abitanti della penisola italica erano assai misti ed ancora oggi una grande oscurità storica ci vieta di conoscere nomi di località, stazionamenti, vicende e migrazioni di intere popolazioni, la cui storia, se ci fosse dato di conoscerla, verrebbe a svelare il tassello scoperto di molteplici “origini”.
Fino a qualche ventennio addietro dell’Italia preromana conoscevamo, a ben riflettere, soltanto la grande civiltà etrusca, mentre delle “gentes” venute dall’esterno ci erano noti soprattutto i Greci.
Allo stato attuale della ricerca storica, benchè Siculi, Sardi, Calabri, Lucani Osci, Latini, Umbri, Veneti, Liguri, Fenici e Celti ci rivelino spesso aspetti del tutto ignoti del passato, le nostre conoscenze sono ancora barcollanti ed approssimative, frutto, il più delle volte, di ipotesi e deduzioni non facilmente soggetti al vaglio della verifica sistematica.
Sembra, tuttavia, che si possa affermare con una certa sicurezza che nell’Italia centrale il popolo più esteso fu quello degli Umbri, che estendevano ad occidente il loro dominio fino al Tevere, mentre occupavano ad oriente il versante che dall’Appennino scendeva fino al Gargano.
Tale è l’accreditata ed autorevole opinione del Lubker.
In seguito, la potenza degli Umbri fu soppiantata da quella degli Etruschi, popolazione autoctona. Costoro, infatti, dopo aver tolto agli Umbri cento borghi, secondo la testimonianza di Erodoto, estesero il loro dominio da nord a sud, senza, tuttavia, riuscire ad eliminare il ramo meridionale dei loro nemici, chiamati “Ausones” dai Greci ed “Osci” dai Romani.
Gli Osci ebbero una loro lingua ed una loro avanzata cultura e, in Campania, conobbero una buona prosperità, almeno fino a quando gli Enotri e i Coni, di origine peslagica, già dominatori della Calabria, non li scacciarono dalle loro antiche sedi.
Fu allora che i Coni si insediarono sui monti, mentre gli Enotri si portarono in pianura, fondando importanti città come Hiria e Mera.
I Peslagi non avevano rivali nell’entroterra campano; al contrario, temevano fortemente la fascia costiera, consapevoli che chiunque l’avesse occupata avrebbe potuto, in seguito, insidiare agevolmente i loro possedimenti.
A prevenire questa eventualità, i Peslagi invitarono i Calcidesi, loro connazionali, a portarsi in Campania e ad occupare il territorio dei Cimmeri, una tribù osco-campana che si era stanziata presso il lago Averno, impenetrabile anche ai raggi del sole.
I Calcidesi non si fecero pregare e in breve tempo occuparono buona parte della fascia costiera, fondando città destinate ad avere un ruolo di primo piano, come quella famosa Cuma che si ergeva sopra una rupe vicina al Gaurus e che divenne la più famosa colonia greca della penisola italica. La storia, però, soltanto raramente muta le proprie dinamiche e sotto il sole non c’è nulla di nuovo: avvenne così che gli amici di un tempo divennero acerrimi nemici ed intorno al nono secolo a.C. Peslagi e Calcidesi vennero ad un’aspra contesa per il possesso della Campania.
Gli Osci campani seppero approfittare della ghiotta occasione e, dopo aver stretto un rapporto di alleanza con i Calcidesi, cacciarono definitivamente i Peslagi da loro possedimenti.
Ebbe così inizio quella civiltà osco-calcidica i cui vincoli si delinearono efficacemente quando Nola e Cuma, che erano le rispettive roccaforti, seppero tenere testa alla potenza etrusca, che vantava mire mai sopite sull’Italia meridionale e che furono cacciati dalla Campania nel 474 a. C.
La cacciata degli Etruschi non fu indolore: tra le tante città fu distrutta anche l’antica Partenope, situata sul pendio occidentale del Vesuvio presso il fiume Sebeto.
Al posto di Partenope fu fondata Neapolis, che ben presto divenne una delle più importanti città campane, potendo sfruttare la sua posizione naturale, che le consentiva agevoli scambi commerciali con la Sicilia e la Grecia.
Lo schiacciante predominio di Neapolis fece allontanare le popolazioni osche da quelle di origine greca.
Gli osci campani cercarono, allora, di contrastare il predominio di Neapolis confederandosi tra loro in uno Stato politico la cui principale sede fu Nola.
Da quel momento Nolani e Sanniti, popolo che si era riversato a valle scendendo dai monti dell’entroterra, divennero i portatori della civiltà osco-sannita, civiltà che seppe dare origine ad una fiorita letteratura e che seppe creare la stadera, evidenziando una buona conoscenza della meccanica.
Le civiltà osco-calcidica e osco-sannita, a partire dal quarto secolo a.C., hanno lasciato ampia testimonianza della loro presenza sull’attuale territorio di Afragola e da queste testimonianze bisogna necessariamente partire se si vuole conoscere la storia di questa mia terra, che alla miseria del presente può contrapporre con fierezza la storia più che dignitosa di un passato antico che non potrà mai essere dimenticato.
2. Civiltà osco-calcidica
2.1 Il Cantariello e la tomba a doppia cassa
Uno dei più antichi siti dell’attuale Afragola fu senza dubbio alcuno il Cantariello, abitato già dalla seconda metà del quarto secolo a. C. da una comunità osco-calcidica, come appare evidente dalla lettura critica di un importante reperto archeologico rinvenuto nel 1961.
Poco distante dal sito del Salice, dove, secondo la testimonianza del Ruggiero, furono rinvenute<<quattro tombe greche antichissime composte di grandi pezzi di tufo connessi senza cemento>>, il Cantariello si presenta come una importante miniera di informazioni, non solo perché attesta una continuità storica almeno fino al secondo secolo a.C., ma soprattutto perché la tomba a doppia cassa, della quale ci accingiamo a scrivere, ci consente di affermare in totale tranquillità che il primo insediamento stabile in Afragola fu quello della civiltà osco-calcidica, in direzione sud est.
Devo, però, chiarire prima che il Capasso, come era suo costume, riportò la notizia del Ruggiero attingendo ad una “inventio” che gli era veramente congeniale.
Lo storico carditese, infatti, affermò che le <<quattro tombe>> erano state rinvenute in località Padula, dove, stando al documentato rapporto dell’Intendente Cianciulli del 28 giugno 1850, fu ritrovata una <<cassa mortuaria di pietre di tufo con otto pezzi di antichità di argilla>>, mentre sul tagliamento della nuova strada detta del Salice furono ritrovate le <<quattro tombe>>, la cui appartenenza territoriale sembra che spetti a Casoria piuttosto che ad Afragola.
Rinvenuta, invece, certamente nel territorio di Afragola è la cosiddetta tomba a doppia cassa, portata alla luce in zona Masseria nel luglio del 1961 e definita anche “Tomba di Paestum” a causa delle evidenti affinità stilistiche con la “tomba del tuffatore”.
La tomba della quale stiamo discorrendo presenta sia nel soggetto (rito funebre), sia nello stile, un chiaro influsso greco rivissuto nello spirito campano, lontano dal rigore ellenico, ma colmo di vivacità espressiva, a testimonianza certa di quello scambio culturale dalla quale derivò la scuola italo-greca.
A questa pittura parietale funeraria italiota, che presenta una sua colorita disorganicità e che ben evidenzia la fusione tra la cultura osca e quella più avanzata dei Greci, ci rimandano anche i colori dati a fresco su un sottile strato d’intonaco bianco, i volti grassocci, le defunte tutte ingioiellate e gli stessi colori usati (rosso, giallo e nero), oltre che la scena figurata, inquadrata in alto da rosse linee parallele.
Gli elementi figurativi analizzati non lasciano adito a dubbi: la tomba a doppia cassa è un prodotto esemplare della civiltà osco-calcidica, di quella civiltà italo-greca alla quale ci riporta anche la leggerezza dell’argilla verniciata di lucido colore nero delle altre sette tome che formavano la piccola necropoli, il nome stesso del sito nel quale furono rinvenuti i reperti e la testimonianza del Ruggiero, che il Capasso, bontà sua, definì <<superficiale>>, per la serie infinita del mondo al contrario.
Attualmente la tomba a doppia cassa si trova presso il Museo archeologico di Napoli, stanza 66, numero di inventario 152850.
Malgrado, e ciò desta veramente stupore, la presenza del melograno, che Virgilio nelle “Georgiche” definì <<pomus abellanus>> e malgrado la presenza della situla, vaso che veniva usato per attingere acqua e che aveva una forte valenza simbolica e sacrale, fino ad oggi riscontrabile soltanto nella parietale greca, gli “esperti del museo”, horribile dictu, hanno diverse volte attribuito il reperto a diverse civiltà, mai a quella giusta: così va il mondo.
2.2 Il Salice e la fratria degli Artemisii
Durante il convegno nazionale dei gruppi archeologici che si tenne in Afragola nel lontano 1988, il compianto Alfonso de Franciscis affermò che il sito del Cantariello deve il suo nome alla forma di una coppa, sottolineando la chiara derivazione greca anche a livello etimologico.
Secondo il Castaldi, il Cantariello era nel 1700 un fondo rustico di centoquindici moggi ad est di Afragola, distante circa un miglio dal sito del Salice, che si estendeva, invece, ad oriente.
Sono proprio questi due siti i luoghi deputati della civiltà osco-calcidica in Afragola ed immediati dintorni.
A nord di Afragola, invece, si sviluppò sul lato opposto la civiltà osco-sannita, propaggine della città di Atella.
Gli insediamenti osco-calcidici, ad ogni modo, trovano un ulteriore, importante riscontro in un altro raro reperto, l’iscrizione bilingue (greco e latino) attestante la fratria degli Artemisii.
Ritrovata nella contrada Carbonelle, territorio di Casoria, la lunga iscrizione onoraria fu sicuramente parte integrante di un tempietto, del quale, però non è mai stata rinvenuta alcuna traccia.
Secondo il Mallardo, lo studioso che per primo ebbe la possibilità di tradurre e commentare l’ampia ed articolata iscrizione, la lapide (usiamo il termine impropriamente, per non essere ripetitivi) sarebbe stata trasportata da Napoli nel luogo in cui fu rinvenuta.
L’ipotesi avanzata dal dotto studioso ci appare poco convincente, perché l’uso del materiale di reimpiego è da collegare, secondo le fonti storiche più autorevoli, quasi esclusivamente ad elementi architettonici e decorativi; nella contrada Carbonelle, fatta salva l’iscrizione onoraria, non è mai stato ritrovato un qualche reperto di alcun genere ed è quindi da escludere del tutto anche un molto improbabile uso da reimpiego.
Notizie di tempietti nell’attuale Afragola, invece, ci vengono fornite da epigrafi e colonne, ma le une e le altre non coincidono con la cronologia dell’iscrizione onoraria bilingue.
Bisogna convenire che ancora oggi, per la provenienza, si vaga nel campo incerto ed infido della fantasia.
Noi ci limitiamo, in mancanza di elementi certi, ad una constatazione: nel mondo antico esisteva una concezione dell’abitato assai diversa dalla nostra: mura, fortificazioni, baluardi, abitati e pertinenze potevano includere vaste estensioni e terreni a coltura agricola o a pascolo.
Una recente ricerca archeologica, ad esempio, ha evidenziato un dato sconcertante: Arpi, un paesino pugliese, aveva nell’antichità una cinta muraria estesa per trenta chilometri
Napoli, Casoria, Afragola, qualche altro paese più o meno attiguo: comunque sia, l’iscrizione onoraria bilingue rimane una testimonianza esemplare di quella civiltà osco-calcidica, testimoniata in Afragola con chiarissima evidenza dalla tomba a doppia cassa.
In realtà, quando fu innalzato il tempietto la civiltà osco-calcidica non viveva uno dei suoi momenti più felici: gli Osci avevano perso gran parte della loro potenza, mentre i Calcidesi acquisivano sempre maggiore forza e prestigio, ma ambedue le civiltà continuavano a mantenere inalterati i tratti culturali che ancora le accumunavano.
Gli Artemisii, come pure gli Euboi e gli Eumistidi, ci rimandano ad una derivazione etnica chiaramente calcidica, come pure i termini “demarchi” e “fratrie” del testo bilingue richiamano il primo assetto costituzionale della calcidica Neapolis, di quella città che, in un certo qual senso, fu il pomo della discordia tra le due civiltà che comunque ancora erano legate da vincoli di forzata amicizia.
L’iscrizione onoraria ritrovata in contrada Carbonelle, distante dal Cantariello di pochissimo, tanto da indurre a credere che ambedue le località dovevano far parte di un unico fondo nel quale gli Artemisii praticavano culti legati alle proprie tradizioni, risale, ad ogni modo, al 194 d.C. ed attesta che Lucio Munanzio Ilariano elevò a proprie spese un tempio ad Artemide.
Il contenuto della sola iscrizione onoraria ci obbliga a fermare la nostra analisi unicamente sulla civiltà calcidica, accertata dalle notizie di Strabone, greco per nascita e romano per adozione.
Il luogo del rinvenimento, però, pur nella totale mancanza di ogni altro elemento strutturale, architettonico o decorativo, ci obbliga a soffermarci sulla civiltà osco-calcidica, essendo, per i motivi già altrove addotti, da escludere ogni ipotesi di reimpiego ed essendo, altresì, da escludere la permanenza della sola civiltà calcidica nell’entroterra a nord d Napoli, dal momento che tutte le città, tutti gli avamposti e le pertinenze calcidiche in Campania si estendevano lungo la fascia costiera o in zone interne altamente strategiche protette e fortificate dalla natura del luoghi.
2.3 Compresenze archeologiche e predominio della civiltà osco-calcidica
Nelle campagne di Atella, lungo la strada che univa l’entroterra alla zona costiera, si sviluppò probabilmente un vasto agglomerato agricolo, l’Arcopinto, la cui necropoli, distante circa un chilometro dal caseggiato, fu scoperta nel 1908.
Nelle tredici tombe, che componevano la necropoli, fu rinvenuto vasellame greco proveniente dalle officine di Cuma e, quindi, i reperti sono da ascrivere alla civiltà calcidica; il figurato del vasellame, tuttavia, di gusto marcatamente italiota campano, ci porta ancora una volta alla civiltà osco-calcidica.
L’Arcopinto, che deve il suo nome ad un arco indicativo di un’edicola votiva e non alle arcate dell’acquedotto augusteo, appare nel terzo secolo a.C., un punto di incontro tra la preesistente civiltà osco-sannita e quella osco-calcidica, che tentava con successo di espandersi a nord del territorio dell’attuale Afragola.
La trasformazione grafica dell’ornato del vasellame sempre più tendente ad un effetto cromatico di macchie e colori, sono la dimostrazione emblematica di questa duplice conquista territoriale e culturale della civiltà osco-calcidica su quella osco-sannita.
Tale graduale conquista fu pacifica ed indolore: gli osco-calcidici, in virtù della loro superiorità cultuale ed economica, tentarono di egemonizzare commercialmente non soltanto l’attuale Afragola, ma l’intero ager atellanus, che, secondo Livio, era assai esteso e ricco.
Nell’arco di due secoli questa fusione pacifica divenne quasi totale e tratti osci, calcidici e sanniti si riscontrano nello stesso numeroso vasellame rinvenuto sul nostro territorio: via Felice Cavallotti, Contrada Regina, Cimitero vecchio, Via delle Marche, Via Pavia zona Saggese, località Cinquevie, zona Cantaro, zona Sanguineto: sono questi i luoghi che testimoniano questa particolarissima fusione, che, a quanto mi risulta, nessun studioso ha mai evidenziato.
Questo sincretismo archeologico merita una grande attenzione e a me non resta che dire con il padre Dante:<<picciola favilla gran fiamma secunda>>.
La singolarità di questo sincretismo è ben evidenziato dai caratteri sempre più vivamente espressivi dell’ornato e delle figure, anche di quelle che in planta pedis del vasellame orgogliosamente mantengono il marchio di fabbrica della ceramica osco-sannnita: l’effigie della Gorgone.
I personaggi rappresentati, inoltre, lontano dal rigore ellenico e anche lontano dal plasticismo campano, tendono a stagliarsi sempre più sottili.
3. Afragola osco-sannita
Le tribù dei Sabini e dei Sabelli abitarono originariamente nell’alta vallata della catena che si adagia lungo il corso del fiume Aniene.
Da qui, ad ondate successive, avanzarono fino alla confluenza dell’Aniene con il Tevere.
Una particolare usanza di queste tribù era la celebrazione del “Ver sacrum”, che si svolgeva in primavera. Essa consisteva in questo: in caso di calamità, si davano in voto agli dei i prodotti della campagna e i figli nati in quell’anno, raggiunta l’età di venti anni, dovevano espatriare e cercare nuove terre nelle quali vivere e prosperare. Ebbero origine in tal modo i Picentes, gli Haernici, i Vestini, i Marrucini, i Paeligni e i Marsi.
Questi ultimi quattro erano legati fra loro in confederazione.
Essi, a partire dal 4500 a.C., si estesero ancora di più e con il nome di Samnites occuparono l’Italia meridionale osca.
Dopo aver dato luogo alla fusione osco-sannita occuparono gran parte della Campania.
Chiamati da Cicerone <<fortissimi viri, florum Italiae ac robur rei publicae>>, i Sanniti, in seguito alla fusione con gli Osci campani, conquistarono in breve tempo, l’una dopo l’altra, tutte le città della Campania, ad eccezione di Partenope, di origine greca, e di Cales e Teanum, roccaforti dei Sidicini, situate a settentrione del Volturno.
La vittoria dei Cumani sugli Etruschi del 474 a.C. non permise ai Greci il predominio sulla Campania, proprio perché dai monti dell’entroterra gruppi sempre più numerosi di Sanniti si riversarono nelle fertili pianure della regione Campania, fondendosi con gli Osci, loro cugini (ci sia consentita l’espressione).
Tale fusione, sul territorio dell’attuale Afragola, diede vita a numerosi pagi forniti di un nucleo essenziale e di diverse case coloniche sparse per la campagna, come ben si evince anche dalle numerose necropoli distanti almeno un miglio dall’abitato, come prescrivevano le civilissime usanze degli antichi, che ben rispondevano alle moderne regole di igiene urbana.
Un bel saggio del Libertini ha ben delimitato i confini dell’antica Atella, chiusa a nord dal Clanio, a sud dai Comuni di Gricignano, di S. Antimo e di Melito e a settentrione dalle pertinenze di Afragola, di Casoria e di Arzano.
La presenza osco-sannita nel territorio di Afragola vide, però, una ulteriore e più importante estensione a causa delle frequenti esondazioni del Clanio, che costringeva gli Acerrani a trovare riparo nella più vicina Afragola, dando così vita a nuovi centri abitativi che rafforzavano e davano nuova linfa ai preesistenti nuclei urbani.
La presenza osco-sannita in Afragola è testimoniata non solo dalle numerose necropoli che ancora, di tanto in tanto, vengono alla luce in maniera rigorosamente clandestina, ma anche da una antichissima tradizione legata a Pan, deità italiota e nume tutelare di greggi e pastori.
Anche alcune parole dialettali, proprie del parlato afragolese, evidenziano bene il peso della presenza osco-sannita sul territorio di Afragola.
4. Il tramonto della civiltà osco-sannita
Lentamente, ma senza alcuna speranza di ritorno ad un passato glorioso, si assiste, agli inizi del secondo secolo d.C., al graduale disfacimento della civiltà osco-sannita, per il susseguirsi soprattutto di due eventi destinati a sconvolgere per sempre l’assetto politico e sociale della penisola italica: la battaglia di Canne, che sembrò portare Roma sull’orlo del precipizio, e la fermezza del Senato romano, che da una così memorabile sconfitta seppe trarre nuova linfa per un pronto riscatto civile, morale, politico e militare.
Fu proprio questa forza morale del Senato romano a determinare l’entrata definitiva di vecchi e nuovi territori sotto le ali dell’Urbe.
La confederazione sannita, presa tra due fuochi, Roma e Cartagine, non seppe e non volle fare una scelta unitaria e si crearono al suo interno fazioni e squilibri.
Suessola ed Acerra rimasero ferme e determinate nell’appoggiare le insegne romane; altre città osco-sannite, invece, scosse dal terrore della battaglia di Canne, abbandonarono il “foedus” di amicizia stipulato con il popolo romano e non esitarono ad aprire le porte ad Annibale: fu questo il caso di Atella, di Calazia, Colbuteria, Trebula e Saticula.
Tra le consorelle osco-sannite della Campania, eroismo, determinazione e fedeltà furono ampiamente dimostrate soltanto da Acerra e Nola: quest’ultima, in verità, rimase fedele a Roma, malgrado il parere contrario della plebe, che, fiera delle proprie tradizioni, si mostrò apertamente ostile a mantenere ferma l’alleanza con Roma.
Le città osco-sannite, però, non si divisero a causa soltanto della fedeltà o meno a Roma ma anche a causa delle nuove pertinenze territoriali sorte a seguito della penetrazione romana in Campania.
Un tale dissapore non si risolse mai, in verità, in uno scontro armato, ma fu ingenerativo di vedute e comportamenti alquanto differenziati, come appare evidente, ad esempio, dalla lettura del “cippus abellanus”, databile agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra punica ed inerente ad una contesa sorta tra NUVLA INIM ABELLA per il possesso del terreno che era UP SAKARAKLUD HEREKLIIS (presso il santuario di Ercole).
Le consorelle osco-sannite, a seguito delle guerre puniche, conobbero una profonda, radicale trasformazione e si avviarono lentamente verso il declino, ma il sipario della loro storia calò definitivamente soltanto nell’anno 83 a.C., quando Silla, spirito elevato, ma avido di piaceri e di gloria, conquistò Nola e la mutò in colonia per i suoi veterani di guerra. Con la caduta di Nola sparì dalla scena l’ultimo baluardo della civiltà osco-sannita, quella civiltà che in Afragola appare meno appariscente di quella osco-calcidica, certamente più prestigiosa, ma meno varia.
All’inizio del primo secolo d.C. pochi anni dopo la conquista di Nola da parte di Silla, un gruppo di giovani nolani, dopo aver fatto visita ad un lupanare di Pompei, scriveva sul muro: <<Nolanis feliciter>>.
La lingua osca, ed erano trascorsi appena cinquanta anni dalla conquista sillana, era già stata dimenticata dai suoi figli.
Sic transit gloria mundi.
5. Una promessa o, se vi pare, una minaccia
Stanco di leggere falsità, invenzioni, stupide fantasticherie sulla storia del mio paese, ho tratteggiato la storia di Afragola prima della penetrazione romana, avendo in un precedente articolo ampiamente evidenziato il profondo influsso della civiltà romana su un paese che ha conservato pochi, ma significativi reperti della più grande ed omogenea civitas del mondo antico.
Per la serie infinita delle “sciocchezze non hanno limite”, l’ultima, la più eclatante, se risulta vero quello che hanno scritto a caratteri cubitali molte testate locali e perfino “Il Mattino” di Napoli, è una dichiarazione attribuita alla archeologa Maria Luisa Nava, secondo la quale sarebbero stati rinvenuti in Afragola numerosi reperti attribuibili alla civiltà micenea e databili a tremiladuecento anni fa.
L’insigne studiosa, se fosse vera la dichiarazione che le viene attribuita, ignora, forse, che trentadue secoli fa si era nel 1200 a.C., che rappresenta anche il declino della civiltà micenea, in seguito alle feroci lotte che essi ingaggiarono contro gli Elleni, nuove popolazioni indoeuropee che si erano stanziate in Grecia.
Inoltre, ignorerebbe l’archeologa che i Micenei avevano una cultura legata intimamente al palazzo, protetto da mura ciclopiche, meno possenti, pare, dell’ignoranza imperante, che proprio non si riesce a debellare.
La non breve parentesi argomentativa si è resa necessaria, per dimostrare quale grande fiume d’inchiostro muove da diversi decenni le stanche penne di altrettanti stanchi cervelli.
Ma torniamo al titolo. In ambedue gli articoli citati all’inizio di questo paragrafetto, non ho mai parlato dell’origine del nome Afragola, origine sulla quale, nel passato come nel presente, sono state scritte più parole del favoloso tesoro di Creso.
Mi riprometto, pertanto, se sarò ancora in vita e se ancora avrò voglia di scrivere su questo mio martoriato paese, di trattare l’argomento appena ne avrò l’occasione, seguendo il metodo baconiano, che, come tutti sanno, prevede una “pars destruens” indirizzata ad eliminare gli “idola” e una “pars costruens” finalizzata alla ricerca della verità.
Ai miei compaesani dico:<<coraggio e non vogliatemi male se non possiedo il dono di contare frottole>>.
6. Un’ultima battuta
Dedico questo lavoro a Giovanni Canfora, collaboratore scolastico della scuola secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo” di Afragola, morto il 25 dicembre del 2018.
Giovanni era un uomo che amava profondamente il sapere e molte sono state le chiacchierate fatte con lui durante i momenti di pausa.
La misericordia di Dio e le lacrime degli amici ti conducano, Giovanni, in Paradiso.
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Andrea Romano
Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.
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