Alcoltest. Prova dell’avvenuto avviso di farsi assistere da un difensore di fiducia
Sommario: 1. Principi generali – 2. Orientamenti contrapposti – 2.1. Sentenze nn. 3725/2019 e 7677/2019 – 2.2. Sentenza n. 27110/2020 – 3. Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite n. 34337/2020
1. Principi generali
L’accertamento dell’alcoltest costituisce uno dei momenti più importanti per l’individuo che si trova dinanzi ad un organo accertatore, per tale ragione il nostro ordinamento ha predisposto delle garanzie difensive necessarie.
Per quanto qui di interesse, assume rilievo l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Come ben sappiamo, la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost., difatti, in tale ambito, è garantita dall’art. 114 disp. att. c.p.p., il quale impone alla polizia giudiziaria l’obbligo di avvertire la persona sottoposta a indagini di farsi assistere da un avvocato nella fase di tali accertamenti.
Nel momento in cui il soggetto viene fermato dal personale della polizia stradale, questi lo sottopongono a degli accertamenti preliminari.
A tal proposito, viene alla luce l’art. 186, co. III, CdS, il quale così recita “al fine di acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui al’’articolo 12, commi 1 e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell’interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili”.
Mentre il successivo comma IV prevede la facoltà per gli organi di polizia stradale, in caso di esito positivo degli accertamenti previsti dal comma III, in ogni caso di incidente ovvero quando si abbia motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’assunzione dell’alcool, di effettuare l’accertamento dello stato di ebbrezza con strumenti o procedure determinati dal Regolamento.
In altre parole, il comma III prevede degli accertamenti qualitativi non invasivi, anche mediante l’utilizzo di apparecchiature portatili – come alcoltest di screening o etilometro precursore – diversamente, il comma IV ritiene legittimo il successivo accertamento più tecnico mediante etilometro, allorquando, tra le altre ipotesi, abbia avuto esito positivo l’accertamento di cui al comma precedente.
Premesso ciò, l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia deve essere rivolto al conducente nel momento in cui viene avviata la procedura volta all’accertamento dello stato di ubriachezza, con la conseguenza che l’avvertimento del diritto all’assistenza del difensore costituisce presupposto necessario della relativa procedura.
Per quanto attiene agli atti compiuti dalla polizia, questi sono considerati atti indifferibili e urgenti, tant’è che l’alcoltest costituisce un accertamento sulla persona.
Pertanto, un’altra norma a garanzia del diritto di difesa appena delineato è l’art. 354 c.p.p., rubricato “Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro”. La disposizione in oggetto prevede tre diverse attività: il comma I prevede un’attività di conservazione, mentre, il comma II attiene ai rilievi e agli accertamenti urgenti, il cd. Sopralluogo.
In particolare, i rilievi consistono nell’attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone nonché nella descrizione delle tracce o degli effetti materiali del fatto-reato, pertanto, sono atti urgenti che possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria quando ricorrono determinate condizioni espressamente previste dalla legge. Gli accertamenti urgenti, invece, sono operazioni di tipo tecnico che possono essere compiute alle stesse condizioni previste per i rilievi.
I rilievi e gli accertamenti urgenti, compiuti dalla PG in sede di sopralluogo, sono atti che nascono all’origine come non ripetibili; essi pertanto sono inseriti nel fascicolo delle indagini e, successivamente, confluiranno nel fascicolo per il dibattimento dopo che il GUP avrà deciso il rinvio a giudizio (art. 431 c.p.p.).
Si tratta di atti a sorpresa ai quali può assistere il difensore dell’indagato senza diritto di preavviso, così come previsto dall’art. 356 c.p.p., con la conseguenza che la PG dovrà avvertire l’indagato di detta facoltà [1].
Ancora, assumono rilievo gli articoli 357, co. II, lett. e) e co. III e l’art. 373, co. IV, c.p.p..
L’art. 357 c.p.p. disciplina come la PG debba documentare la sua attività e, in particolare, mediante l’utilizzo di annotazioni e verbali.
Con riferimento all’attività di cui all’art. 354 c.p.p. sopra analizzata, ai sensi dell’art. 357, co. II, lett. e), c.p.p., la polizia giudiziaria deve redigere un verbale. Tale verbale, a mente del co. III dell’articolo in oggetto, deve essere redatto nelle forme e nei modi previsti dall’art. 373 c.p.p..
L’art. 373 c.p.p. riguarda la documentazione degli atti del PM e, nello specifico, il co. IV così recita: “gli atti sono documentati nel corso del loro compimento ovvero immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze, da indicarsi specificatamente, che impediscono la documentazione contestuale”.
Chiarito il quadro normativo occorre analizzare i due orientamenti contrapposti che hanno dato vita alla problematica inerente alla prova dell’avviso fornita successivamente mediante deposizione dell’agente operante, avendo omesso l’avvenuto avviso nel verbale degli accertamenti urgenti.
2. Orientamenti contrapposti
2.1. Sentenze nn. 3725/2019 e 7677/2019
Secondo questo orientamento giurisprudenziale, in tema di guida in stato di ebbrezza, la prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo di avvisare la persona sottoposta all’esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale, può essere data mediante deposizione dell’agente operante [2].
Questa pronuncia richiama un’altra sentenza secondo la quale tale prova può essere resa nei seguenti modi: deposizione testimoniale, comunicazione della notizia di reato o annotazione redatta dai verbalizzanti.
In altre parole, l’avviso in oggetto non deve confluire necessariamente nel verbale di accertamento ex art. 357 c.p.p..
Il suddetto orientamento prende le mosse da quanto stabilito dall’art. 115 disp. att. c.p.p., nel quale non compare l’annotazione di tale adempimento ed, inoltre, dall’art. 357, co. II, c.p.p., in cui l’obbligo di redigere il verbale non è soggetto a nullità o inutilizzabilità.
In conclusione, la formulazione dell’avviso può essere provata mediante indizi gravi, precisi e concordanti derivanti dalla deposizione testimoniale degli operatori di polizia intervenuti, mediante la comunicazione della notizia di reato o l’annotazione redatta dagli stessi.
2.2. Sentenza n. 27110/2020
Secondo altra impostazione, invece, è sufficiente un avvertimento orale prima della sottoposizione dell’indagato all’esame de qua, purché successivamente indicato per iscritto nel verbale di accertamento.
3. Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite n. 34337/2020
A tal riguardo, la Corte di Cassazione avendo riscontrato due orientamenti contrastanti tra loro, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, chiedendo di risolvere il contrasto sulla seguente questione di diritto: “se la prova dell’intervenuto avviso previsto dall’art. 114 disp. att. c.p.p. possa essere acquisita in dibattimento attraverso la deposizione del verbalizzante, in assenza di riscontro scritto” [3].
Ebbene, l’ordinanza di rimessione dopo aver analizzato le opposte tesi, ha preso le distanze dall’orientamento che sostiene la possibilità che la prova venga resa attraverso la testimonianza dell’organo accertatore, sulla scorta di quanto stabilito dalle Sezioni Unite Torcasio [4].
Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, è vietata la deposizione de relato per la PG che abbia acquisito, durante la propria attività investigativa, atti dichiarativi, stante la diversa regolamentazione per la deposizione indiretta di fonte “comune”.
Occorre, difatti, prendere in considerazione l’art. 195, co. IV, c.p.p., il quale così recita: “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettera a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo”.
Dunque, non è legittima la testimonianza resa dalla polizia giudiziaria in caso di mancata verbalizzazione, ancorchè obbligatoria, dell’atto di acquisizione delle informazioni ricevute, poiché, in tal senso, si ovvierebbe al principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti e all’obbligo previsto dalla legge circa le modalità di formazione della documentazione.
Pertanto, secondo l’ordinanza di rimessione, la redazione del verbale non può essere sostituita dalla deposizione dell’operante sul contenuto della dichiarazione acquisita dal conducente a seguito dell’avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia.
Ed ancora, trattandosi di un atto di garanzia connesso al diritto di difesa costituzionalmente tutelato, seppur non richiesta una forma espressamente prevista dalla legge, deve comunque rivestire una veste formale, risultando così per iscritto che il conducente sia stato edotto della possibilità di avvalersi di un difensore.
Aderire ad uno o all’altro orientamento ha delle ricadute sul piano processuale, difatti, sposando il primo orientamento l’omessa indicazione dell’avviso nel verbale sarebbe legittimo, dando così la possibilità di far entrare nel dibattimento dichiarazioni non correttamente formalizzate, diversamente, il secondo orientamento, più in linea con il codice di rito, avrebbe come conseguenza la nullità dell’atto ex art. 178, lett. c), c.p.p. [5], secondo la quale la l’omessa nel verbale non potrebbe essere colmato con la deposizione testimoniale della polizia in dibattimento.
In conclusione, per dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto è necessario attendere la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
[1] Tonini P., Manuale breve diritto processuale penale, Giuffrè Francis Lefebvre, pagg. 396-398, 2020
[2] Cass. Pen., Sez. IV, n. 3725/2019
[3] Ord., Sez. IV, n. 34337/2020
[4] Cass., SS.UU., n. 36747/2003
[5] Cfr. art. 180 c.p.p. – Nullità a regime intermedio
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Silvia Passarini
Nata in provincia di Macerata nel 1992, ha conseguito lalaurea in giurisprudenza presso l'Università di Macerata nell'aprile 2017 con la tesi in diritto del lavoro "il licenziamento discriminatorio".
Abilitata alla professione forense presso la Corte d'Appello di Ancona nell'ottobre 2020.
Ha altresì svolto il Master di II livello in materia di privacy presso l'Università Niccolò Cusano nel novembre 2020.
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