Alienazioni a scopo di garanzia: i confini del divieto di patto commissorio
L’art. 2740 cc disciplina la responsabilità patrimoniale, chiarendo che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni da lui assunte con tutti i propri beni, presenti e futuri: tale norma enuncia pertanto la garanzia patrimoniale generica, la quale è improntata al principio di universalità, ricomprendendo tutti i beni del debitore, nonché al principio di unitarietà, non essendo possibile sottrarre beni ricompresi nel patrimonio suddetto, fatta eccezione per specifiche deroghe, tipiche e tassative, relative ai casi di separazione patrimoniale.
L’art. 2741 cc precisa inoltre che tutti i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore: tale principio, noto come par condicio creditorum, subisce tuttavia delle deroghe ogniqualvolta taluno dei creditori vanti, a tutela del proprio credito, una causa legittima di prelazione, ossia una garanzia specifica, tale per cui egli ha diritto di essere preferito rispetto agli altri creditori nel vedere soddisfatte le proprie ragioni.
Le cause legittime di prelazione, ponendosi in deroga ad un principio di carattere generale, sono ancora una volta connotate da tipicità e tassatività, ossia sono esclusivamente quelle previste dalla legge: si tratta, per l’esattezza, di privilegi, pegni e ipoteche.
Premesso tale breve inquadramento di carattere generale, preme ora focalizzare l’attenzione sul disposto dell’art. 2744 cc, il quale enuncia il divieto di patto commissorio, vietando cioè la conclusione di accordi tra debitore e creditore con i quali si stabilisca che, in caso di mancato adempimento da parte del debitore nel termine previsto, si verificherà il trasferimento al creditore della proprietà della cosa ipotecata o data in pegno: se posto in essere, tale patto è affetto da nullità.
Si è a lungo discusso della ratio sottesa al divieto in questione: in un primo momento l’attenzione si è incentrata sull’alterazione che tale accordo causerebbe sia al principio della par condicio creditorum, sia all’ordine di preferenza tra le stesse cause legittime di prelazione, stabilito dalla legge. A riguardo, tuttavia, si è giunti a ritenere che solo la seconda delle osservazioni riportate possa essere condivisa, mentre meno convincente appare il riferimento alla violazione della par condicio creditorum, dal momento che il divieto, per come enunciato nell’art. 2744 cc, è formulato in riferimento al trasferimento di proprietà di una cosa ipotecata o data in pegno, ossia oggetto di garanzie specifiche, e quindi richiama una situazione nella quale la parità di trattamento dei creditori risulta già alterata.
Si è poi osservato che la nullità del patto commissorio si giustificherebbe alla luce della irragionevolezza della sua causa, data l’incompatibilità strutturale che si ravvisa nel nostro ordinamento tra la causa di garanzia e l’effetto traslativo: il negozio di garanzia, infatti, viene costituito con l’obiettivo di assicurare il soddisfacimento di un diritto di credito e non al fine di realizzare il trasferimento di un diritto di proprietà in capo al creditore.
Sembra, tuttavia, che la vera ratio del divieto in analisi vada rinvenuta nel voler scongiurare il rischio che il creditore si approfitti dello stato di bisogno in cui versa il debitore: si osserva infatti che ogniqualvolta il bene, di cui si prevede il trasferimento di proprietà in caso di inadempimento, abbia un valore superiore rispetto all’entità del debito garantito, ci si troverebbe di fronte ad un arricchimento ingiustificato del creditore, conseguito sfruttando lo stato di debolezza del soggetto passivo del rapporto. Ecco allora che, ravvisando in ciò la vera ratio del divieto, la logica conseguenza è quella di concludere che ad essere vietato non sia il patto commissorio in sé e per sé, quanto piuttosto il fatto che lo stesso realizzi una sproporzione, con la conseguenza che sarebbe necessario indagare in concreto, caso per caso, l’equilibrio negoziale originato dal singolo accordo.
Ciò consente peraltro di comprendere il motivo per cui nel nostro ordinamento è ritenuto ammissibile il c.d. patto marciano, nonostante anch’esso preveda, analogamente al patto commissorio, una alienazione a scopo di garanzia: la diversità consiste nella previsione di alcuni ‘correttivi’, quali la previsione in forza della quale, una volta avvenuto l’inadempimento, l’effettivo valore del bene trasferito in proprietà al creditore deve essere stimato da un terzo imparziale, nonché l’obbligo per il creditore di restituire al debitore l’eventuale eccedenza intercorrente tra il valore del bene in questione e l’ammontare del debito garantito, proprio al fine di evitare l’ingiustificato arricchimento del creditore.
Deve inoltre precisarsi che il divieto di cui all’art. 2744 cc si estende ad ogni tipo di patto commissorio, dunque non solo a quelli correlati ad una garanzia reale, a cui la norma fa espresso riferimento nella sua formulazione, ma anche ai patti commissori autonomi.
Nulla osta, invece, a che venga realizzata la cessione di un credito in funzione di garanzia rispetto ad un debito che il cedente ha nei confronti del cessionario: in tale ipotesi, infatti, non risultano integrati gli estremi della fattispecie vietata, dal momento che ad essere ceduto è un diritto di credito e non la proprietà di un bene. Si osserva altresì che tale cessione non ha funzione solutoria: in caso di inadempimento da parte del debitore-cedente, infatti, l’estinzione del debito garantito si avrà mediante compensazione tra la somma dovuta dal cessionario nei confronti del cedente e la somma incassata dal cessionario per effetto della suddetta cessione. Tutto ciò fermo restando comunque l’obbligo per il cessionario di restituire al cedente quanto dovesse eccedere la compensazione, onde evitare un ingiustificato arricchimento del primo e conseguente ricaduta nell’ambito di operatività del divieto ex art. 2744 cc.
Si osserva inoltre che in tempi recenti, con il d.l. 59/2016, è stata introdotta nel nostro ordinamento una ipotesi ulteriore di alienazione a scopo di garanzia, prevista da una norma di settore (T.U.B.) e quindi applicabile solo nel relativo ambito di operatività: il riferimento è, in particolare, ai contratti di finanziamento, stipulati tra imprenditori e soggetti autorizzati all’erogazione del credito (istituti bancari), in relazione ai quali è possibile prevedere che, in caso di inadempimento dell’obbligazione assunta dall’imprenditore, la proprietà di un immobile o di un diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo sarà acquisita dall’istituto bancario. L’ammissibilità di tale pattuizione è giustificata dalla previsione di una c.d. ‘cautela marciana’, consistente sia nella necessità che, al verificarsi dell’inadempimento, il valore del bene venga stimato da un soggetto terzo imparziale, nominato dal Presidente del Tribunale, sia nell’obbligo per la banca di restituire all’imprenditore-debitore l’eventuale eccedenza di valore tra il bene di cui essa vada ad acquisire la proprietà e l’ammontare del credito garantito.
Dubbi quanto alla compatibilità con il divieto di patto commissorio sono poi stati sollevati in relazione a quella particolare operazione negoziale denominata ‘sale and lease back’, in forza della quale un imprenditore trasferisce ad una società di leasing, dietro versamento di un corrispettivo, la proprietà di beni strumentali all’esercizio della propria attività imprenditoriale; tali beni, tuttavia, vengono poi concessi in leasing dalla società all’originario proprietario, con pagamento di un canone periodico, e con la possibilità per quest’ultimo di riacquistare la proprietà degli stessi in un secondo momento, dietro pagamento di un prezzo predeterminato. Il timore, per l’esattezza, era che tale schema negoziale potesse celare un patto commissorio vietato e che la corresponsione da parte dell’imprenditore del prezzo predeterminato, con conseguente riacquisto della proprietà dei beni, corrispondesse in realtà al pagamento dell’originario debito contratto da questi nei confronti della società di leasing, garantito attraverso l’alienazione, solo temporanea, dei beni in favore di quest’ultima.
A riguardo, tuttavia, è stata ormai pacificamente riconosciuta l’ammissibilità di questa fattispecie negoziale, la quale risponde all’esigenza, molto frequente per gli imprenditori, di immediata liquidità, che essi riescono a conseguire proprio grazie all’alienazione di beni strumentali e conseguente pagamento del corrispettivo da parte della società di leasing, e potendo però allo stesso tempo continuare ad impiegare gli stessi nello svolgimento dell’attività suddetta: ci troviamo quindi di fronte ad una vendita a scopo di leasing e non ad una vendita a scopo di garanzia. La validità in astratto dello schema negoziale non toglie, comunque, che sarà necessario, di volta in volta, verificare in concreto che tale complessa operazione non celi dell’altro, controllando quindi che non vi sia un pregresso rapporto di debito-credito tra imprenditore e società di leasing, che l’imprenditore non versi in una situazione di difficoltà economica e che non ci sia una sproporzione tra il valore dei beni alienati e il corrispettivo pagato per essi dalla società di leasing.
Si osserva, infine, come la logica sottesa all’ammissibilità del patto marciano sia riscontrabile anche in quella ipotesi atipica di pegno che è il pegno irregolare, nel quale il debitore o un terzo trasferiscono temporaneamente in capo al creditore la proprietà di denaro o di altri beni fungibili, a garanzia dell’adempimento: ove quest’ultimo dovesse avere luogo, sarà necessario restituire quanto temporaneamente alienato al creditore, mentre, in caso di inadempimento, il denaro o i beni saranno definitivamente acquisiti dal creditore. Viene tuttavia fatto salvo, ancora una volta, l’obbligo del creditore di restituire l’eventuale eccedenza intercorrente tra il valore dei beni da quest’ultimo acquistati e l’entità del debito garantito: proprio questo, a ben guardare, consente di ascrivere il pegno irregolare, nonché la peculiare proprietà temporanea a cui esso dà vita, nell’alveo del consentito patto marciano, piuttosto che nell’ambito di operatività del divieto di patto commissorio.
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Serena Fiorentini
Laureata presso La Sapienza, Università di Roma, voto 110/110 e lode, con tesi in Procedura penale, dal titolo "La prova decisiva" (Relatore Prof. Alfredo Gaito).
Successivamente ha svolto con esito positivo il tirocinio presso gli uffici giudiziari (marzo 2016- settembre 2017) presso il Tribunale di Civitavecchia, sezione penale.
Ha frequentato i corsi di alta formazione giuridica "Lexfor" (2016-2017) e "Jusforyou" (2017-2018).
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