Amazon vs Louboutin: contraffazione di marchi e responsabilità delle piattaforme e-commerce

Amazon vs Louboutin: contraffazione di marchi e responsabilità delle piattaforme e-commerce

Il gestore di una piattaforma e-commerce può essere ritenuto responsabile per attività di contraffazione di marchi compiuta da venditori che operano all’interno della medesima?

La questione si è posta, di recente, nel contesto di due controversie instaurate dal sig. Christian Louboutin nei confronti di Amazon Europe Core Sàrl, Amazon EU Sàrl e Amazon Services Europe Sàrl (C-148/21) e di Amazon.com Inc. e Amazon Service LLC (C- 184/21), per l’utilizzo, da parte di Amazon, di segni identici al marchio Europeo di cui Mr. Louboutin è proprietario, senza il consenso di quest’ultimo, e per prodotti identici a quelli del marchio registrato.

Da un lato Louboutin, celebre designer francese di scarpe e beni di lusso, noto principalmente per il marchio raffigurante un tacco alto con suola di colore rosso.

Dall’altro Amazon, nota piattaforma di e-commerce che offre in vendita una varietà di prodotti, sia direttamente, in nome e per conto proprio, sia indirettamente, rendendo disponibile il proprio marketplace a venditori terzi e offrendo loro servizi complementari di stoccaggio e spedizione dei prodotti pubblicati sulla sua piattaforma; caratteristiche per le quali è definito un provider ibrido.

In particolare, Loubutin contestava la regolare presenza, sulla piattaforma di e-commerce, di annunci pubblicitari di scarpe con la suola rossa, messe in vendita senza il suo consenso.

A propria difesa, Amazon sosteneva di non poter essere ritenuta responsabile, in quanto il marchio veniva utilizzato da venditori terzi e non direttamente dalla piattaforma.

Entrambi i tribunali nazionali aditi hanno ritenuto opportuno sospendere i procedimenti e rimettere la questione alla Corte di Giustizia.

La normativa applicabile al caso in esame. Nell’Unione Europea la tutela del marcio è garantita dall’art. 9, paragrafo 2 lettera a) del Regolamento UE 2017/1001 che stabilisce che il titolare di un marchio UE ha il diritto di vietare a terzi di utilizzare, nel commercio all’interno dell’UE, segni identici o simili, in relazione a prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui è registrato il proprio marchio.

Il tema della responsabilità del provider invece è affrontato dalla direttiva 2000/31/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, che, all’articolo 14, stabilisce che il provider non è responsabile per le informazioni memorizzate su richiesta di un destinatario del servizio alla duplice condizione che: 1. Non sia a conoscenza del carattere illegale dell’attività o delle informazioni; 2. Una volta acquisita tale conoscenza, agisca prontamente per rimuovere o rendere impossibile l’accesso a tali informazioni.

I precedenti della Corte. In casi analoghi di cui si è occupata in passato, la Corte ha negato che la presenza, su una piattaforma e-commerce, di prodotti recanti marchi contraffatti, potesse costituire “uso del marchio” in violazione dei diritti di proprietà intellettuale altrui, ritenendo che il semplice atto di fornire gli strumenti tecnici necessari per l’uso di un marchio non implicasse che il prestatore del servizio ne stesse facendo uso ai fini dell’applicazione dell’articolo 9 del Regolamento UE 2017/1001.

Per il riconoscimento di responsabilità ha quindi elaborato ulteriori criteri.

Nello specifico, nel caso L’Oreal c. Ebay, la Corte ha introdotto il concetto di provider neutro, argomentando che il servizio offerto da un provider può essere definito neutro soltanto quando quest’ultimo si limiti a svolgere il ruolo di intermediario tra clienti e venditori terzi.

Diversamente, un provider che svolge un ruolo attivo, quale ad esempio un’attività di assistenza alla vendita, non può essere considerato neutro.

Rilevante altresì la pronuncia nel caso Coty – Amazon, nel quale la Corte ha escluso la responsabilità di Amazon, specificando che una piattaforma che conservi, per conto di terzi, prodotti che violano i diritti di un marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, si deve ritenere che non stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi dell’art. 9 del Regolamento UE 2017/1001, qualora non persegua essa stessa tali finalità.

La soluzione della Corte nel caso in esame. Nel caso Louboutin la Corte, con la sentenza del 22 dicembre 2022, analizzando le caratteristiche peculiari della piattaforma Amazon e i servizi da quest’ultima offerti, ha ritenuto la piattaforma potenzialmente responsabile per la contraffazione del celebre marchio.

La Corte è giunta a tale conclusione per due motivi principali.

Il primo è relativo al fatto che Amazon presenta, sulla propria piattaforma, annunci riguardanti propri prodotti e annunci relativi a prodotti venduti da terzi, in modo intercambiabile, senza che sia possibile per l’utente medio comprendere se i prodotti sono commercializzati da Amazon in prima persona, oppure da un venditore terzo.

Il secondo riguarda la tipologia dei servizi supplementari offerti ai venditori, quali lo stoccaggio e la consegna al cliente finale, che inducono i consumatori a ritenere che i prodotti provengano dalla piattaforma.

Indubbiamente, si tratta di una pronuncia che rafforza il rispetto dei diritti dei titolari di marchi. Spetterà, tuttavia, ai tribunali nazionali la decisione finale nel merito delle due cause all’origine del procedimento dinanzi alla Corte.


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Federica Sansalone

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