Ammissibilità delle sentenze in malam partem da parte della Corte Costituzionale
Ci si è chiesti se la Corte Costituzionale abbia uno spazio di intervento in ambito penale e la questione viene in rilievo in riferimento all’ammissibilità delle sentenze c.d. in malam partem.
Cosa sono le sentenze in malam partem? Sono le sentenze che producono effetti sfavorevoli perchè:
Ampliano la portata applicativa della norma incriminatrice, includendo casi dalla stessa non contemplati;
Aggravano il trattamento sanzionatorio della norma incriminatrice.
Le sentenze in malam partem sono compatibili con il principio di riserva di legge e con le esigenze ad esso sottese?
La Corte Costituzionale ha sostenuto ripetutamente che occorre distinguere tra diverse tipologie di sentenze in malam partem:
la prima tipologia: SENTENZE MANIPOLATIVE O ADDITIVE
Si tratta di sentenze che non dichiarano l’incostituzionalità della norma incriminatrice ma che la manipolano estendendone la portata applicativa o aggravando il trattamento sanzionatorio in essa contemplato.
Es. la norma incriminatrice è illegittima nella parte in cui non prevede la punizione di altro caso o una pena più grave.
Ebbene, le questioni di incostituzionalità dedotte dai giudici a quibus, che chiedono sentenze di questo tipo, vanno dichiarate inammissibili.
La ratio si giustifica in quanto, pronunciando queste sentenze, la Corte Costituzionale comprometterebbe e violerebbe il principio di riserva di legge e l’esigenza ad esso sotteso. Invero, la scelta di ciò che è reato è riservata solo ed esclusivamente alla legge.
la seconda tipologia: SENTENZE LIMITATIVE
Si tratta di sentenze che producono sempre effetti sfavorevoli ma che tuttavia non entrano in rotta di collisione con il principio di riserva di legge perché pur producendo l’effetto in malam partem non sono in alcun modo il risultato di una scelta di politica criminale compiuta dalla Corte.
Il riferimento è in relazione ai casi in cui una norma incostituzionale cd. di favore (che introduce per taluni casi o per taluni soggetti un trattamento penale di favore rispetto alla norma comune) si riespande il regime o la portata applicativa della norma comune o della norma generale più sfavorevole.
In queste ipotesi l’effetto di sfavore non è il risultato di una scelta di politica criminale compiuta dalla Corte ma di una verifica di incostituzionalità della norma di favore, condotta nell’ambito e nei limiti dei suoi poteri, cui segue il funzionamento del classico meccanismo di riespansione della norma comune o generale, prima limitata nella sua operatività dalla vigenza della norma di favore dichiarata incostituzionale, cui l’ordinamento affida il compito di colmare le lacune che si determinano per effetto della declaratoria di incostituzionalità.
Es. il legislatore a fronte di una norma generale che punisce il falso in atti pubblici, prevede come punita con pena meno grave il falso compiuto in taluni atti pubblici. Dichiarata l’incostituzionalità della norma di favore si riespande la norma generale colmando la lacuna che si viene a creare in seguito alla declaratoria di incostituzionalità.
Tuttavia, ritenute compatibili queste sentente con il principio di riserva di legge, ci si chiede quali siano i rapporti tra queste sentenze ed i principi che governano l’efficacia nel tempo delle norme penali (irretroattività e reotrattività favorevole).
Nel vagliare questi rapporti, occorre distinguere due ipotesi:
quando il fatto sia stato commesso e sia anche vigente la norma penale di favore dichiarata poi incostituzionale con conseguente riespansione della norma comune più sfavorevole.
Il rischio che si corre è che la sentenza della Corte Costituzionale, pur essendo coerente con il principio di riserva di legge, possa determinare l’applicazione all’autore del fatto, commesso vigente la norma di favore, una norma di sfavore non vigente al momento del fatto.
Quindi il rischio è che la sentenza della Corte possa ribaltare il calcolo delle conseguenze penali che il soggetto ha fatto, con riferimento alla propria condotta, al momento in cui ha tenuto la condotta medesima.
Tale esigenza è sottesa al principio di irretroattività sfavorevole.
La Corte Costituzionale nel 2006 e successivamente nel 2014 ha sostenuto che in questa ipotesi la sentenza in malam partem è ammissibile (perché rientra nei normali poteri della corte) ma essa non può produrre effetti nel caso di specie, cioè non può determinare la riespansione del caso al vaglio del giudice a quo della norma comune più sfavorevole perché altrimenti finirebbe per essere sacrificata l’esigenza sottesa al principio di irretroattività e di personalità della responsabilità.
quando il fatto sia stato commesso vigente la norma comune cui sia poi sopravvenuta la norma penale di favore dichiarata incostituzionale.
Il problema è che se non ci fosse la sentenza della Corte Costituzionale, il soggetto che ha commesso il fatto, vigente la norma comune più sfavorevole, avrebbe a certe condizioni diritto alla retroazione favorevole della sopravvenuta norma più favorevole.
Sicché il tema che si pone è quello relativo all’ammissibilità di una sentenza in malam partem quando questa preclude l’operatività del principio di retroattività sfavorevole.
Può la Corte dichiarare incostituzionale una norma quando con la declaratoria precluderebbe il funzionamento del principio di retroattività favorevole?
La disamina di questa questione presuppone l’esame del rango e della cogenza del principio di retroattività favorevole. Occorre cioè chiedersi se detto principio:
esista nel nostro ordinamento costituzionale;
ammesso che esista, se esso sia un principio assoluto o relativo.
La Corte Costituzionale, dal 2006, ha sempre sostenuto che si tratta di un principio costituzionale e derogabile, quando la deroga risponda all’esigenza di tutelare interessi di analogo rilievo, e quindi superi un test di ragionevolezza.
Quindi il principio di retroattività non può ostacolare la verifica di costituzionalità, conseguentemente una pronuncia in malam partem ben può avere ad oggetto la norma favorevole sopravvenuta al fatto, ancorchè con quella pronuncia finisca per essere sacrificato il diritto dell’imputato alla retroazione favorevole.
In definitiva il diritto dell’imputato alla retroazione favorevole è un diritto di rango costituzionale ma non può essere azionato quando la norma favorevole sopravvenuta, di cui si chiede la retroazione, è essa stessa incostituzionale. In altri termini, l’incostituzionalità è un limite al principio della retroattività favorevole.
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Giuseppe Mainas
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