Ammissione al passivo dei crediti tributari: Cass. 3444/19
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il caso (Sezioni Unite Suprema Corte di Cassazione n. 34447 del 27/12/2019) – 2.1. Fatti di causa – 2.2. Le ragioni della decisione – 3. Conclusioni
1. Introduzione
Con la recentissima sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n.34447 depositata in data 27/12/2019, la Corte, con una decisione di orientamento diametralmente opposto rispetto a quello espresso sino ad ora anche da consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto (si vedano da ultimo Cass. Sez. unite n. 14648/2017[1] e Cass. Sez. unite n. 15717/2019[2]), ha in sostanza stabilito che, ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, la giurisdizione appartiene al giudice delegato in sede di verifica dei crediti e al tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non al giudice tributario.
Per le Sezioni Unite della Suprema Corte, che argomenta aderendo all’impostazione fornita dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 114/2018, la giurisdizione del giudice ordinario sussisterebbe in tutte le controversie che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento ove non vi è spazio per la giurisdizione del giudice tributario ex art. 2, D.Lgs. n. 546/1992. Pertanto l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguarda la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, dovrebbe qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva.
Tra le altre situazioni che si collocano a valle della cartella di pagamento e in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva, rientrerebbero le ipotesi dell’intervenuto adempimento del debito tributario o di sopravvenuta causa di estinzione dello stesso.
Per le Sezioni Unite non vi sarebbe alcuna ragione per non ricomprendervi anche l’estinzione del credito tributario per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento.
2. Il caso: (Sezioni Unite Suprema Corte di Cassazione n.34447 del 27/12/2019)
2.1. Fatti di causa
La Riscossione Sicilia s.p.a., già Serit Sicilia s.p.a., ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del 18 febbraio 2014 con cui il Tribunale di Palermo, nel giudizio L. Fall., ex art. 98 instaurato dal concessionario per la riscossione, confermando la statuizione del giudice delegato, aveva ammesso i propri crediti al passivo del Fallimento di G.G. solo parzialmente, essendo taluni prescritti, visto il tempo trascorso dopo la notifica delle cartelle non opposte.
La curatela del Fallimento G.G. ha resistito con controricorso e memoria.
2.2. Le ragioni della decisione
La Riscossione Sicilia denuncia con il primo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il tribunale dichiarato la parziale estinzione dei crediti erariali fatti valere dal concessionario per l’avvenuto decorso del termine prescrizionale, pur essendo privo di giurisdizione in materia.
La ricorrente deduce in tal modo una questione attinente alla giurisdizione, potenzialmente assorbente rispetto all’esame del secondo motivo: il giudice delegato e successivamente il tribunale, investito dell’opposizione L. Fall., ex art. 98, conoscendo dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla curatela fallimentare, avrebbero debordato dai limiti della giurisdizione propria, discostandosi dal principio secondo cui spetta al giudice tributario, che è fornito di giurisdizione sull’obbligazione tributaria, conoscere dell’eccezione di prescrizione, anche se maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento,quale fatto estintivo dell’obbligazione stessa, ipotesi non riconducibile all’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, (che riserva alla giurisdizione del giudice ordinario, e quindi fallimentare, le “controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento”), atteso che la cartella o il sollecito di pagamento non possono essere qualificati come atti dell’esecuzione forzata
Il motivo pone dunque la questione se siano riservate alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti, tra i fatti estintivi dell’obbligazione tributaria, la prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento.
La Prima Sezione con la richiamata ordinanza interlocutoria dubita della persistente validità dell’orientamento, espresso anche dalle Sezioni Unite (n. 14648 del 2017, sez. L. n. 15717 del 2019, sez. 6-1 n. 21483 del 2015), secondo cui qualora, in sede di ammissione al passivo fallimentare, il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella, viene in considerazione un fatto estintivo dell’obbligazione che involge l’an ed il quantum del tributo, sicché la giurisdizione sulla relativa controversia spetta al giudice tributario, con la conseguenza che il giudice delegato deve ammettere il credito in oggetto con riserva, anche in assenza di una richiesta di parte in tal senso.
La Sezione osserva, in sintesi, che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57, comma 1, lett. a), come sostituito dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 16, – nella parte in cui prevede che, nelle controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., non vi sarebbe più quel vuoto di tutela che aveva indotto la giurisprudenza ad indirizzare verso la giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto questioni e fatti successivi alla notifica della cartella (come la prescrizione), quindi a valle della notifica della cartella, che segna il limite della giurisdizione del giudice tributario, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2.
Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione è, quindi, se rientri nella giurisdizione del giudice delegato in sede di verifica dei crediti e del tribunale in sede di opposizione allo stato passivo, ovvero del giudice tributario (nel qual caso il credito dovrebbe essere ammesso al passivo del fallimento con riserva), giudicare sulla fondatezza dell’eccezione di prescrizione dei crediti tributari sollevata dal curatore, verificatasi successivamente alla notifica della cartella di pagamento.
Il Collegio ritiene di non poter dare continuità all’orientamento sopra menzionato per le seguenti considerazioni.
La tesi cui si ispira detto orientamento è che il giudice tributario, la cui giurisdizione si estende a “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere o specie” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2), sia l’unico giudice competente a decidere ogni controversia relativa all’an e al quantum del tributo dovuto, ivi compresa la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla formazione del titolo esecutivo racchiuso nella cartella esattoriale (Cass. SU n. 23832 del 2007, richiamata da SU n. 14648 del 2017 e n. 8770 del 2016).
Al suddetto giudice si assume riservata, quale giudice esclusivo del rapporto tributario, ogni controversia sulla interpretazione e applicazione delle leggi tributarie, tra le quali implicitamente dovrebbero rientrare quelle concernenti la ricognizione dei termini legali di prescrizione dei diversi tributi e la verifica in concreto del loro decorso ai fini dell’estinzione di ogni pretesa fiscale, così come in via consequenziale la verifica della eventuale e successiva soddisfazione del credito tributario (Cass. n. 10668 del 2019), sul presupposto che ad essere in discussione sia, in definitiva, pur sempre la debenza del tributo. In logica coerenza con questa impostazione è il principio secondo cui la giurisdizione del giudice tributario include anche la controversia relativa all’opposizione all’esecuzione attuata con il pignoramento presso terzi, quando oggetto del giudizio sia la perdurante fondatezza del titolo esecutivo, non rilevando la formale qualificazione del pignoramento come atto dell’esecuzione.
Questa tesi potrebbe condividersi se il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, come sostituito dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, comma 2, non prevedesse che “Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 50, (…)”, in disparte la questione della vigenza dell’art. 9 c.p.c..
La notifica della cartella di pagamento non impugnata (o vanamente impugnata) dal contribuente nel giudizio tributario determina il consolidamento della pretesa fiscale e l’apertura di una fase che, per chiara disposizione normativa, sfugge alla giurisdizione del giudice tributario, non essendo più in discussione l’esistenza dell’obbligazione tributaria nè il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario (non tutte le controversie nelle quali abbia incidenza una norma fiscale si trasformano in controversie tributarie di competenza delle relative commissioni, come rilevato da Cass. SU n. 7526 del 2013).
Il processo tributario è annoverabile tra i processi di “impugnazione-merito”, in quanto, pur essendo diretto alla pronuncia di una decisione sul merito della pretesa tributaria, postula pur sempre l’esistenza di un atto da impugnare in un termine perentorio e da eliminare dal mondo giuridico (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19), che sarebbe arduo ricercare quando il debitore intenda far valere fatti estintivi della pretesa erariale maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento, come la prescrizione, al solo fine di paralizzare la pretesa esecutiva dell’ente creditore.
Neppure si potrebbe individuare l’atto da impugnare, come sostenuto dalla ricorrente, nell’estratto di ruolo rilasciato dal concessionario della riscossione su richiesta del contribuente, la cui impugnazione è stata ammessa per consentire a quest’ultimo di impugnare la cartella di pagamento di cui non abbia avuto conoscenza a causa della invalidità o mancanza della relativa notifica (Cass. SU n. 19704 del 2015, sez. V n. 22507 del 2019). Quando, invece, la cartella sia stata notificata e la relativa pretesa tributaria sia divenuta definitiva, dei successivi fatti estintivi della pretesa tributaria competente a giudicare è il giudice ordinario, quale giudice dell’esecuzione, cui spetta l’ordinaria verifica dell’attualità del diritto dell’ente creditore di procedere all’esecuzione forzata.
Argomenti a conferma dell’impostazione cui si aderisce provengono dalla sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, comma 1, lett. a), come sostituito dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, siano ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c..
La Corte premette che “la linea di demarcazione della giurisdizione (è) posta dalla cartella di pagamento e dall’eventuale successivo avviso recante l’intimazione ad adempiere: fino a questo limite la cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione”; quindi osserva che “E’ questo un criterio di riparto della giurisdizione; ma la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di quella innanzi al giudice (ordinario) dell’esecuzione deve realizzare per il contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso deve esserci una risposta di giustizia perché siano rispettati gli artt. 24 e 113 Cost.”.
La Corte, quindi, si interroga se il divieto del rimedio di cui all’art. 615 c.p.c. (ferma l’ammissibilità dell’opposizione riguardante la pignorabilità dei beni) sia compatibile con la Costituzione ed offre al quesito una duplice risposta, una in termini affermativi, un’altra in termini negativi:
– la prima si giustifica quando “la prevista inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, (riguardando) atti che radicano la giurisdizione del giudice tributario, non segna una carenza di tutela del contribuente assoggettato a riscossione esattoriale, perché questa c’è comunque innanzi ad un giudice, quello tributario”, assicurandosi in tal modo “la continuità della tutela giurisdizionale”; ed infatti “In questa parte l’art. 57 va raccordato con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, che demanda alla giurisdizione del giudice tributario le contestazioni del titolo (normalmente, la cartella di pagamento) su cui si fonda la riscossione esattoriale. Se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del giudice tributario e l’atto processuale di impulso è il ricorso il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19 proponibile avverso “il ruolo e la cartella di pagamento, e non già l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (…)”; “Altrimenti detto, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., – che non è soggetta a termine di decadenza – in tanto non è ammissibile, come prescrive l’art. 57 citato, in quanto non ha, e non può avere, una funzione recuperatoria di un ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, non proposto affatto o non proposto nel prescritto termine di decadenza (di sessanta giorni)”;
– la seconda risposta, in termini negativi, si spiega in ragione del fatto che “l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. è inammissibile non solo nell’ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il ricorso il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, ma anche allorché la giurisdizione del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in rilievo perché si è a valle dell’area di quest’ultima (…)”: in tal caso “c’è una carenza di tutela giurisdizionale” giudicata costituzionalmente non tollerabile “perché il censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché, in tesi, carente di giurisdizione”.
Per quanto interessa in questa sede, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste dunque in tutte le controversie che si collocano “a valle della notifica della cartella di pagamento”, dove non v’è spazio per la giurisdizione del giudice tributario il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 2 e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, “deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva” (sentenza n. 114 del 2018). E’ questo il modo per colmare la carenza di tutela giurisdizionale che è all’origine della incostituzionalità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, che si spiega in ragione del fatto che non “era” ammessa siffatta opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione, pur non essendo ammissibile il ricorso al giudice tributario, in quanto privo di giurisdizione.
Tra le “altre evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva” mediante l’opposizione ex art. 615 c.p.c., la Corte costituzionale menziona le “ipotesi dell’intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta “rottamazione” (…)” e non v’è ragione di non ricomprendervi l’estinzione del credito tributario per intervenuta prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella.
L’ammissibilità delle opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c. (tra le quali è compresa anche l’opposizione a precetto) dinanzi al giudice dell’esecuzione per contestare il diritto di procedere alla riscossione coattiva, sulla base di fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo e, quindi, a valle della notifica della cartella di pagamento, è coerente con la natura di quest’ultima che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, assolve in un solo atto le funzioni svolte dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nella espropriazione forzata codicistica (tra le tante, Cass., sez. III, n. 3021 del 2018).
Se è vero che la cartella è configurabile come atto di riscossione e non di esecuzione forzata (Cass. SU n. 5994 del 2012) e che la giurisdizione tributaria si arresta solo di fronte agli atti di esecuzione forzata tra i quali non rientrano né le cartelle esattoriali né gli avvisi di mora (Cass. SU n. 17943 del 2009), è anche vero che per espressa disposizione normativa (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2) la notifica della cartella è un dato rilevante ai fini della giurisdizione, determinando il sorgere della giurisdizione del giudice ordinario, l’unico competente a giudicare dei fatti, successivamente intervenuti, estintivi e modificativi del credito tributario cristallizzato nella cartella.
Pertanto, accogliendo l’eccezione di prescrizione del credito azionato da Riscossione Sicilia, il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, non hanno debordato dalla giurisdizione propria, non dubitandosi della natura di procedura esecutiva di carattere universale della procedura concorsuale. Come rilevato nell’ordinanza di rimessione, “E’ dunque in sede fallimentare, nel procedimento di verifica del passivo, che vengono definite le questioni inerenti i fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (nel caso di specie cartella esattoriale) posto a fondamento del credito insinuato, le quali nell’esecuzione individuale vengono fatte valere con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c.”.
Il primo motivo di ricorso è dunque rigettato, alla luce del seguente principio: ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, viene in considerazione un fatto estintivo dell’obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. il 26 aprile 1986, n. 131, art. 78 e art. 2946 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il tribunale omesso di considerare che il termine prescrizionale applicabile alla fattispecie de quo non era quello quinquennale, bensì quello decennale, essendo le cartelle state regolarmente notificate e non opposte e, quindi, essendo la pretesa tributaria divenuta definitiva.
Il motivo è infondato. Esso ripropone una tesi difforme dall’orientamento seguito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del suddetto termine non consente di ritenere applicabile il termine prescrizionale decennale di cui all’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un accertamento divenuto definitivo per il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. SU n. 23397 del 2016, sez. V n. 8105 del 2019).
3. Conclusioni
La sentenza n. 34447/2019, depositata il 24 dicembre 2019, dando seguito ad un precedente orientamento della Sezione Tributaria della Corte, ha definitivamente sancito il principio di diritto per cui la giurisdizione in ordine all’eccezione di prescrizione dell’obbligazione tributaria, maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, spetta al Giudice ordinario. Le Sezioni Unite si sono pronunciate in una vertenza in cui l’eccezione di prescrizione del credito erariale si era formata, pacificamente, in una fase successiva alla notificazione delle cartelle di pagamento, per cui non vi era nessun “atto” tributario impugnabile rientrante tra quelli indicati dall’art. 19 d.lgs. N.546/1992 (non potendo, secondo quanto precisato dalle stesse SS.UU., farsi riferimento al mero estratto di ruolo, che è atto di per sé non impugnabile se non entro i limiti precisati dalla Sezione tributaria della Corte e che non ricorrono affatto nel caso qui in esame). In particolare, nel caso esaminato dalla Corte, era stata – per l’appunto – eccepita in sede di definizione dello stato passivo fallimentare, l’intervenuta prescrizione del credito tributario, maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento. E dunque, chiamata a pronunciarsi in ordine alla definizione dei confini tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno sancito che “la giurisdizione del giudice ordinario sussiste dunque in tutte le controversie che si collocano «a valle della notifica della cartella di pagamento», dove non v’è spazio per la giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, «deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva”.
[1]“Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale…Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”.
[2]“Va osservato che, recentemente, il supremo Collegio di questa Corte ha statuito che, ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario successivamente alla notifica della cartella di pagamento, viene in considerazione un fatto estintivo dell’obbligazione e, poiché trattasi di questione riguardante l’”an” ed il “quantum” del tributo, la giurisdizione sulla relativa controversia spetta al giudice tributario. Ne consegue che il giudice ordinario deve ammettere il credito in oggetto con riserva, anche in assenza di una richiesta di parte in tal senso”.
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Giovanni Pasquariello
Giovanni Pasquariello
Dottore di Ricerca (PhD) in: Fiscalità, Contratti e Imprese tra Diritto Tributario e Diritto Civile - Cultore della materia in: Economia Aziendale e Metodologia Quantitative D'Azienda - Dottore Commercialista - Revisore Legale
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