Analisi della tutela dei diritti fondamentali della persona in epoca COVID

Analisi della tutela dei diritti fondamentali della persona in epoca COVID

L’analisi dell’attuale situazione di emergenza sanitaria da COVID-19, la cui potenzialità diffusiva, ha oramai interessato il pianeta, racconto da consentire all’Organizzazione Mondiale della sanità di dichiarare lo stato di pandemia, conduce a rilevanti riflessioni relativamente alla tenuta dei principi fondanti il ​​nostro sistema giuridico-democratico e alla comparazione degli stessi circa il legittimo esercizio dei poteri statuali.

Sin dall’epoca precostituzionale si era riconosciuta l’esigenza di garantire la separazione dei poteri dello Stato e di predisporre gli strumenti di controllo e di reazione da parte dei cittadini contro gli eventuali abusi della pubblica amministrazione identificabile con il potere esecutivo, meglio noto, in passato, come cd “Governo Corona”.

Il principio di legalità, frutto del pensiero illuministico, fu riconosciuto come un soddisfare entrambe le esigenze, ponendosi un presidio del passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto, il quale, in un’ottica garantita, pone l’individuo al centro del soddisfacimento delle prerogativa relativa.

Con l’avvento della Costituzione Repubblicana, tale principio ha assunto una portata e una funzione così pervasiva in ambito ordinario da investire sia strutturato-organizzativo sia quello del ripristino delle attribuzioni e dei compiti funzioni che, infine, quello operativo-attuativo caratterizzanti il complessivo assetto della compagine amministrativa.

Attualmente, dunque, la “legalità” configura il sistema giuridico, fungendo da direttiva vincolante rivolta ai pubblici poteri in qualunque ambito del diritto amministrativo e costituzionale (più in generale), quali qualifiche all’interno della relativa potenzialità dichiarano pur sempre ancorarsi al rispetto dei limiti interni ed esterni predisposti dalla norma attribiva degli stessi.

Costituisce precipitato logico-giuridico del principio di legalità la riserva di legge; entrambi i canoni ermeneutici esprimono quello che in dottrina e in giurisprudenza è stato coniato come “ principio di preferenza della legge”, tale da imperniare il nostro sistema delle fonti giuridiche , che, rigido e fondato su criteri di gerarchia, porta alla tipicità e al numero chiuso delle fonti primarie, mentre per quelle secondarie, all’interno delle quali il regolamento assume importanza dirimente, si evidenzia, da tempo, una certa tendenza all’apertura.

Sul piano tipologico si distinguono diverse forme della riserva di legge : assoluta, allorquando, la materia deve essere integralmente regolata dalla legge (è tale quella contenuta nell’art. 13 Cost., in tema di restrizioni della libertà personale); relativa , nel caso in cui la legge si limita a predisporre unicamente i principi generali di una data materia, lasciando alla discrezionalità dell’esecutivo la possibilità di formulare una disciplina di dettaglio della stessa, tramite l’emanazione dei regolamenti ( ipotesi rinvenibile nell’art. 97 Cost. in tema di organizzazione e funzionamento della P.a., nonché nell’art.23 in tema di materia tributaria); rinforzata, infine, quando la Costituzione pone dei limiti alla discrezionalità legislativa predeterminando il contenuto che la legge deve possedere nel regolamentare una data disciplina ( art. 16 Cost.).

Tali tipologie si differenziano da quelle altre riserve di legge tipiche, anch’esse di uno Stato di diritto; ci si riferisce, in particolare alla riserva di legge costituzionale, alla riserva in favore dei regolamenti e, infine, alla riserva di giurisdizione.

È’ assunto consolidato che, nell’attuale sistema ordinamentale, i cui confini applicativi travalicano l’ambito nazionale, risentendo delle influenze derivanti dal contesto europeo, il concetto di legalità non è più inteso solo in senso formale, quale prodotto della sovranità popolare, che si plasma  attraverso il rispetto delle procedure legislativamente predefinite per la sua formazione e, che trovano puntuale riferimento normativo nella parte II della Carta Fondamentale, Sezione II, agli artt. 70 e ss. , ma, altresì, in senso sostanziale, in termini di criterio volto a guidare le scelte concrete del Legislatore nella definizione dei rapporti intersoggettivi di una data comunità popolare.

Equiparati alla legge sono i decreti legislativi (art. 76 Cost.) e i decreti legge (art.77 Cost) , atti normativi aventi efficacia giuridica pari a quella che il sistema di diritto conferisce alla legge.

Le fonti richiamate, pur collocandosi nell’ambito delle fonti di produzione giuridica, differiscono quanto a presupposti per la loro legittima emanazione e ambito applicativo.

Ed invero, mentre la legittimità dei decreti legislativi si fonda sul rispetto dei principi e criteri direttivi che il Parlamento , nel conferire la potestà legislativa al Governo, seppur temporalmente e per oggetti definiti, cristallizza nella legge delega, per i decreti legge , imprescindibile appare la sussistenza di uno stato di necessità e di urgenza, tale da consentire allo stesso Esecutivo, senza previa autorizzazione delle Camere , l’adozione di tali provvedimenti provvisori, con l’ulteriore precisazione che, ove non convertiti in legge nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione, il Costituente ne ha previsto la caducazione retroattiva (ex tunc) degli effetti prodotti.

Parte della dottrina, argomentando sulla base di argomentazioni prettamente teoriche, ritiene che le caratteristiche di tali atti non siano del tutto compatibili con la portata garantista del principio della riserva di legge, contrariamente a quanto sostenuto dall’indirizzo dottrinario dominante, il quale non confuta la collocazione dei medesimi all’interno delle fonti giuridiche di rango primario.

La premessa sin qui elaborata, si riconnette all’analisi di una delle quaestio iuris più dibattute negli ultimi anni in dottrina e giurisprudenza in ordine all’interferenza che tali atti presentano nello studio della tematica concernenti i diritti della personalità.

L’art. 2 della Costituzione italiana afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità .

La disposizione de qua racchiude uno dei principi più importanti del nostro sistema giuridico, intangibile anche da parte del diritto europeo ed internazionale, rappresentando un “controlimite” che il nostro ordinamento frappone ai precetti sovranazionali.

Gli studi dottrinali e giurisprudenziali hanno mostrato come l’articolo in esame tutela un catalogo aperto di diritti, tra i quali non rientrano solo quelli di cui agli artt. 13 e ss. della Carta Fondamentale e quelli previsti dalla legge ordinaria (art.6 cod. civ., rubricato “diritto al nome ) ma anche tutti quei diritti della personalità che la coscienza sociale, in un determinato momento storico, ritiene essenziale per la persona umana.

Attraverso tale precetto costituzionale si consente l’immediato adeguamento dell’ordinamento giuridico al sentire sociale, tale da averne giustificato la denominazione tipica di “trasformatore permanente” di diritto naturale in diritto positivo.

E’ d’uopo precisare che non tutti i diritti fondamentali sono diritti inviolabili.

Quest’ultimi sono stati qualificati come species del genus dei primi.

A ben vedere la Costituzione qualifica espressamente come tali alcune libertà dell’individuo: quella personale ex art. 13 Cost., quella di domicilio ex art. 14 Cost, quella relativa alla libertà e alla segretezza della corrispondenza ex art. 15 Cost.

I diritti inviolabili, dunque, godono di una tutela per cosi dire rinforzata e, più che configurarsi quali semplici situazioni giuridiche attive, rappresentano dei veri e propri valori riconosciuti e garantiti a livello ordinamentale.

Attesa l’ampia portata applicativa, l’art. 2 Cost. pone un problema di identificazione dei diritti da esso tutelati. Emblematico è stato, a tal fine, il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da perdita dell’animale di affezione, ritenuto , inizialmente, da parte della giurisprudenza nazionale , quale diritto bagatellare, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha espressamente conferito a tale diritto valenza costituzionale, sull’assunto che il rapporto persona-animale rientra a pieno regime nel contesto esplicativo dell’individuo.

A tale arresto interpretativo si è conformato il Legislatore nazionale, che , rovesciando la concezione iniziale, ha predisposto  la sanzione della nullità per tutte  le clausole prefissate nei regolamenti condominiali che vietano di detenere animali da compagnia all’interno delle proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Controverso è stato il riconoscimento anche del diritto alla serenità e tranquillità familiare, oggi pienamente riconducibile al catalogo dei diritti fondamentali grazie all’interpretazione estensiva dell’art. 8 CEDU ( Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo).

Nel richiamare tali casi giurisprudenziali, si vuole evidenziare, a mero titolo esemplificativo, come l’ambito dei diritti della personalità sia un contesto ampio che travalica gli stessi confini nazionali.

I diritti fondamentali, dunque, sono tutti i diritti che riguardano l’uomo inteso come persona e come tali possono essere fatti valere erga omnes, trattandosi di diritti assoluti. Uno dei principali problemi che anima l’interesse degli operatori del diritto, ha riguardato le tecniche di tutela, considerato che ove lese, tale situazioni giuridiche non appaiono più ripristinabili .

La soluzione a tale problematica è stata rinvenuta nella tutela inibitoria, per mezzo della quale il soggetto leso ottiene dal giudice la cessazione della condotta lesiva, nonché, nella tutela cautelare d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. .

Ma gli stessi diritti ricevono tutela attraverso i ricorsi diretti alla Corte EDU e quelli pregiudiziali alla Corte di Giustizia.

Ciò detto, volgendo lo sguardo all’attuale realtà socio-politica sorgono alcuni interrogativi: 1) quali sono i limiti concernenti i nostri diritti fondamentali;2) attraverso quali strumenti si garantisce il rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza tra le restrizioni ai diritti costituzionalmente tutelati e le finalità che si rendono necessarie perseguire in situazioni imprevedibili ed eccezionali.

Interrogativi questi, la cui soluzione non appare prima facie di pronta e celere fornitura, non potendosi aprioristicamente riflettere in termini astratti e ipotetici , quanto piuttosto prediligere una lettura critica delle varie situazioni in termini concreti, volta a valorizzare le  peculiarità del singolo caso sottoposto al vaglio degli operatori giuridici, senza tralasciare il rispetto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi giuridicamente rilevanti, assurge la dignità umana.

L’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea conferisce alla dignità della persona il valore di bussola interpretativa nella risoluzione delle antinomie giuridiche, la cui inviolabilità pare frapporsi da ostacolo a qualunque illegittimo esercizio dei poteri statali.

Il concetto di inviolabilità dei diritti è strettamente correlato a quelle che,  all’interno della  manualista costituzionale, vengono designate con la dizione di “ libertà negative”.

In premessa, la nozione di libertà presuppone una situazione relazionale, atteso che si è liberi nei confronti di ( o rispetto a ) un’entità distinta.

Le libertà dell’individuo rimangono confinate sul piano del fatto, della morale, dell’etica , per poi addivenire al mondo del diritto attraverso il processo di riconoscimento che uno Stato-comunità gli conferisce e, come tale, idoneo a fargli assurgere il rango di valore fondamentale della persona umana.

Pertanto, esse non appaiono più delle semplici enunciazioni di diritto, facilmente comprimibili a discrezione del Legislatore e delle varie forze politico-sociali dominanti, divenendo l’oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo assistito da precise garanzie, tutelato erga omnes anche a  fronte di eventuali abusi promananti dai pubblici poteri.

In altri termini, occorrerà, pur sempre,  la sussistenza di un provvedimento legislativo generale e astratto e/o un provvedimento motivato dall’autorità giudiziaria ( ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere dello Stato) per giustificare eventuali restrizioni alle libertà costituzionalmente riconosciute in capo all’individuo, sulla base di motivi che lo stesso Costituente predispone legislativamente e, che vengono comunemente  identificati in ragioni di sanità, di sicurezza, di incolumità pubblica.

Nel nostro ordinamento , quindi, le limitazioni a tali prerogative fondamentali dell’individuo intanto sono ammesse in quanto siano dirette ad assicurare il reciproco rispetto delle varie sfere di autonomia privata e la pacifica coesistenza dei consociati.

Nel novero delle libertà negative, la libertà personale, il cui fondamento normativo è da rinvenire nell’art. 13 della nostra Costituzione, acquista un rilievo dirompente.

Volendo darne, in via di prima approssimazione, una definizione, essa appare quale libertà di ogni persona di esplicare il proprio essere, attraverso il compimento di azioni e comportamenti. Tra le sue forme limitative, si ricorda, rientrano la detenzione, l’ispezione, la perquisizione, la custodia cautelare, l’arresto e il fermo di polizia.

È lo stesso Costituente, però,  che all’interno della disposizione costituzionale racchiusa nell’art. 13, al secondo comma, punisce ogni forma di violenza fisica e morale perpetrata a danno dell’individuo, fissando anche  i limiti della durata massima della carcerazione preventiva stabilita in relazione alla gravità del fatto illecito commesso e, garantendo la finalità rieducativa della sanzione penale.

Si evince la pienezza della libertà personale, la quale riceve piena ed effettiva tutela giurisdizionale in ossequio al combinato disposto degli artt. 3,24,111,103 della Costituzione, dal momento che contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso ricorso per Cassazione  per violazione di legge, derogando a tale regola iuris solo in presenza di  sentenze  emesse dai tribunali militari in caso di guerra.

Da un punto di vista sostanziale e, in sintesi, la libertà personale è la pretesa del singolo individuo all’autodeterminazione e alla integrità della propria coscienza.

Ed è proprio su tale fondamento di “autoscelta” che si erge un ulteriore aspetto della libertà dell’individuo: il diritto alla salute, costituzionalmente previsto e riconosciuto all’interno dell’art. 32 Cost.; esso assurge a valore giuridico di cui l’ordinamento ne garantisce il rispetto da parte di tutti i consociati e, in alcune ipotesi, anche da parte dello stesso soggetto titolare.

In tale contesto, si è soliti distinguere tra gli strumenti di tutela preventiva ( ed è a tale aspetto che si lega l’attuale disciplina del “ consenso informato” da parte del paziente in tema di trattamenti medico-sanitari) e successivi( risarcimento del danno a seguito della verificazione della lesione arrecata al bene salute). Ciò posto, il Legislatore fissa dei limiti invalicabili allo stesso soggetto titolare, sancendo, ad esempio, all’art. 5 del codice civile il divieto di compiere atti di disposizione del proprio corpo, comportanti una diminuzione permanente dell’integrità fisica ovvero perché risultino contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume.

Non può tacersi in merito al dibattito giurisprudenziale che negli ultimi anni ha investito i giudici di legittimità della Cassazione nella risoluzione di controversie , per la cui soluzione si è imposto un bilanciamento tra beni costituzionali di pari rango e facenti capo alla persona umana ( a mero titolo esemplificativo si menzionano i casi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby, per la cui risoluzione si è andati alla ricerca del contenuto sostanziale del diritto alla vita, giungendo persino a risolvere l ‘annosa questione sul se tale diritto possa assumere una connotazione negativa, quale diritto del singolo alla “non-vita”).

Ma senza entrare nel dibattito in questione e focalizzando l’attenzione sul tema principale della presente trattazione, pare potersi rispondere all’interrogativo sopraesposto sul se le limitazioni, imposte a seguito dei numerosi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, emanati al fine di prevenire e limitare drasticamente la diffusione della pandemia, siano o meno da reputarsi illegittime o meno.

Nell’ordine, la nostra Costituzione all’art. 95  riserva al Presidente del Consiglio dei Ministri una posizione di preminenza nell’esercizio della funzione di direzione politica.

Più precisamente, lo stesso dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, mantenendo l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei singoli ministri.

È bene evidenziare che la direzione della politica generale governativa non implica anche il potere di determinazione della stessa che è, invece, attribuito al Consiglio dei ministri ( organo collegiale del potere esecutivo), ma concerne una serie di poteri, ora specificati nell’art. 5 della legge n.400 del 1988, che fanno del Presidente del Consiglio l’organo che presiede allo svolgimento dell’indirizzo politico, nel senso che egli è organo al quale spetta di  assicurare che  il programma enunciato dal Governo alle Camere venga effettivamente realizzato.

Pertanto, se il potere esecutivo è attribuito al Governo, quale organo di rilievo costituzionale, il potere legislativo è affidato alle Camere che , a norma dell’art. 70 Cost., lo esercitano contestualmente e non può essere conferito al primo se non previa deliberazione delle seconde, nonché, previa determinazione di principi e criteri direttivi, per un periodo di tempo prefissato e  per oggetti definiti (art. 76 Cost.).

Alla luce di tali considerazioni, allora , pare potersi affermare che l’operato del Presidente del Consiglio dei Ministri nell’imporre restrittivamente delle misure di contenimento influenti sulle libertà costituzionalmente riconosciute dei cittadini, potrebbe considerarsi illegittimo sotto un profili strettamente formale, risultando il decreto legge un atto normativo diverso dal decreto legislativo quanto a presupposti applicativi e ambito di intervento.

Ma lo studioso del diritto non può soffermarsi alle mere apparenze dovendo ricercare il senso delle antinomie alla luce del complessivo assetto di interessi che animano la realtà socio-politica del momento storico di riferimento.

Ed invero la base legale dei numerosi decreti del Presidente Conte, quale atti amministrativi e non normativi, è da ricercare nel Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020, emanato dal Governo.

Dalla lettura delle norme contenute negli artt.1 e 3 del suddetto atto emerge che il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute, può disporre misure restrittive di spostamento individuali e attività produttive finalizzate ad evitare la diffusione incontrollata del virus Covid-19.

In sostanza, il decreto non ha disposto direttamente le misure restrittive ma, bensì, ha attribuito al Capo di Governo il potere ad adottare tutte le misure necessarie a salvaguardare il bene supremo della collettività, identificata nella salute  pubblica.

Non sembrano, dunque, profilarsi vizi di  incostituzionalità in merito ai decreti in parola; risulta rispettato l’assetto costituzionale che preserva l’esercizio della funzione legislativa alle Camere e al Governo, solo su espressa delega delle prime, dal momento che il decreto del  Presidente del Consiglio dei Ministri ( D.P.C.M.) si configura come uno strumento che, seppure sostanzialmente di natura amministrativa, si pone formalmente quale mezzo normativo idoneo ad attuare gli obiettivi che, nel decreto legislativo sopra richiamato, il Parlamento ha conferito al Governo nel contrastare la situazione di pandemia diffusasi rapidamente nel nostro Paese.

In conclusione, la tenuta dei principi fondanti di un sistema giuridico-europeo non si arresta a fronte del profilo di una situazione emergenziale che, nel coinvolgere un bilanciamento tra interessi confliggenti ma giuridicamente apprezzabili, non può che imporre la soluzione più idonea alla luce del complessivo assetto giuridico , all’interno del quale la libertà dell’individuo assurgono un postulato assoluto, suscettibile di una compressione solo se ciò è necessario dallo stesso legislatore e nei modi dallo stesso prefissato.


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