Anatocismo bancario e capitalizzazione: evoluzione storica-normativa e questioni giuridiche

Anatocismo bancario e capitalizzazione: evoluzione storica-normativa e questioni giuridiche

Sommario: 1. Cenni generali sull’anatocismo – 2. L’anatocismo nel settore bancario e il problema della capitalizzazione – 3. La questione dei rapporti “pregressi” di conto corrente – 4. Le questioni legate all’ammortamento

 

1. Cenni generali sull’anatocismo

Con il concetto di anatocismo si fa riferimento al fenomeno di produzione di interessi sugli interessi già maturati sul capitale iniziale.

Di fatti, il termine deriva dal greco ana tokismos, che significa “nuovo interesse”.

In virtù di questo fenomeno il debitore è tenuto a pagare il capitale iniziale, gli interessi da questo prodotti e gli ulteriori interessi calcolati su questi ultimi.

La storia dell’anatocismo è piuttosto complessa e controversa, tanto che ha dato adito ad un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Tuttavia, prima di descrivere i termini di queste questione, occorre fare delle premesse sull’origine storica dell’istituto, per descriverne, successivamente l’evoluzione normativa anche all’interno del nostro ordinamento.

Nell’antico diritto romano, l’anatocismo era vietato prima che fosse maturata una annualità e ciò al fine di controllare i tassi di interesse applicati e contrastare l’usura.

Successivamente nelle costituzioni imperiali, questo fenomeno era stato severamente proibito e fu prevista la sanzione della infamia.

L’imperatore Giustiniano, in seguito, estese il divieto di anatocismo a tutte le operazioni che avessero come risultato diretto o indiretto quello di computare interessi su interessi maturati e questo per evitare qualsiasi tentativo di elusione del divieto.

Successivamente anche il diritto canonico vietò l’anatocismo.

Diversamente, invece, il codice civile del 1865 aveva previsto che gli interessi scaduti potessero produrre altri interessi, o nella misura legale in virtù di una domanda giudiziale e del giorno della stessa, o nella misura eventualmente pattuita tra le parti, in seguito ad una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi. In questo caso, punto di riferimento normativo era l’articolo 1232.

Nell’ attuale codice civile, invece, la disposizione di riferimento è l’ articolo 1283, il quale prevede che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione posteriore alla scadenza sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno 6 mesi”.

Pertanto, non troverebbe applicazione il principio valido per le obbligazioni pecuniarie della fecondità del denaro, di cui agli art. 1224 e 1282.

Alla luce di questa disposizione, quindi, l’anatocismo è consentito solo in tre ipotesi: quando vi è un accordo tra le parti che sia successivo alla scadenza degli interessi e tale pattuizione deve fare riferimento ad interessi dovuti da almeno sei mesi (Anatocismo convenzionale); quando vi è una domanda giudiziale successiva alla scadenza degli interessi e deve essere riferita a interessi dovuti per almeno 6 mesi (Anatocismo giudiziale); quando vi è un uso normativo contrario, in grado di derogare alla disciplina suddetta (anatocismo usuale).

Nel caso di anatocismo convenzionale, la norma mira a tutelare il debitore evitando che il creditore approfitti dello stato di bisogno con una pattuizione anteriore la concessione del credito e allungando i tempi della maturazione degli interessi anatocistici ad almeno sei mesi.

La scelta legislativa di sei mesi, difatti, si spiega considerando che più breve è il periodo di tempo calcolato, a diretta influenza sulla entità della capitalizzazione degli interessi, per la maturazione degli stessi, tanto più intensa è la capitalizzazione di questi ultimi.

Il legislatore, in buona sostanza, ha voluto evitare che la brevità del periodo per la maturazione di questi interessi agisse da diretto o indiretto moltiplicatore degli stessi interessi, con il risultato di stimolarne la produzione, anche in costanza di un saggio di interessi normale, in misura pari o superiore ad un saggio di interessi usurati.

Quanto l’espressa convenzione delle parti che deve essere, appunto, posteriore alla scadenza degli interessi, lo scopo è quello di impedire che il creditore imponga la stipulazione di interessi come conditio sine qua non per la concessione del mutuo.

Tuttavia, è stato osservato che la legge non esclude che  alla stessa convenzione possa attribuirsi forza retroattiva, ossia che possa convenzionalmente far risalire ad epoca anteriore la decorrenza degli interessi[1].

2. L’anatocismo nel settore bancario e il problema della capitalizzazione

L’istituto dell’anatocismo è particolarmente frequente in materia bancaria.

Occorre partire dalla constatazione che, spesso, in passato, si richiamava  il cosiddetto anatocismo usuale, derivante da un uso normativo in grado di derogare alla disciplina dettata dall’articolo 1283 del codice civile.

Si era posta, pertanto, la questione se configurasse un uso contrario ai sensi dell’ articolo 1283 c.c. l’uso bancario rintracciabile nelle norme bancarie uniformi del 1951, che si concretizzavano nella capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dei clienti, nei contratti di conto corrente bancario, a fronte di una capitalizzazione che – invece – era annuale per i saldi  attivi.

Prima di analizzare tale questione, appare necessario, puntualizzare alcuni concetti di base. Questa operazione preliminare appare importante, sia per chi si approccia per la prima volta alla questione, sia per poter ricostruire il sistema in modo chiaro.

Con il concetto di capitalizzazione si fa riferimento a quelle operazioni in grado di trasformare i risparmi in capitale. In particolare, si parla di capitalizzazione di interessi, quando gli interessi si applicano al capitale originario, sommandosi e dividendosi in alcuni casi,  in grado di produrre altri interessi.

La capitalizzazione può venire in diversi modi.

Si parla, innanzitutto, di capitalizzazione semplice, che si realizza quando gli interessi si sommano al capitale iniziale in modo proporzionale alla durata di di applicazione del tasso, senza produrre ulteriori interessi.

Ad esempio: si ha un capitale di 100, concesso per 3 anni ad un tasso del 5%. Per il 1* anno, l’interesse è pari al 5% e rimane fermo negli anni successivi.

L’interesse cresce in modo proporzionale al capitale e al tempo; scaduto il tempo dell’obbligazione, il capitale base rimane invariato e rimane fermo anche il tasso di interesse dovuto per ogni frazione di tempo[2].

Si ha capitalizzazione composta, invece, quando l’interesse si somma al capitale e produce a sua volta interesse.

Infine, si parla di capitalizzazione mista quando la capitalizzazione semplice si applica per frazioni di anno e quella composta per anni interi.

Fatte queste premesse, occorre prendere atto della intricata storia dell’anatocismo, per poi approfondire la questione sulla capitalizzazione, che si era posta perché si veniva a creare una disparità di conteggio, tutto a vantaggio degli istituti di credito.

E ciò, per l’ovvia considerazione, che l’anatocismo rappresenta l’ interesse composto per eccellenza.

2.a. La questione sulla natura negoziale o normativa degli usi bancari

Inizialmente, la deroga alla disposizione codicistica era stata ritenuta legittima dalla giurisprudenza in quanto si affermava l’esistenza di un uso normativo sulla capitalizzazione trimestrale di detti interessi[3]. Nonostante questa iniziale ricostruzione, nella dottrina maggioritaria si era fermato un orientamento che escludeva la sussistenza, e dunque, la stessa possibilità di formare un uso normativo in grado di derogare al divieto di anatocismo posto nel codice civile. Tale esclusione trovava la propria ragione in tre considerazioni.

In primis, non vi era alcuna prova di un uso normativo anteriore all’entrata in vigore del codice civile e, quindi, conforme a quello trasfuso nelle norme bancarie uniformi del 1951.

In secundis, mancava l’ opinio iuris, cioè la consapevolezza di tenere un comportamento dovuto e conforme alla norma.

In tertiis, veniva spesso imposta ai clienti, da parte delle banche, una clausola di capitalizzazione trimestrale, senza alcuna possibilità di negoziazione[4].

Tuttavia, a partire dal 1999, la cassazione ha mutato radicalmente il proprio precedente indirizzo considerando le clausole di capitalizzazione trimestrale come usi negoziali, applicati nella prassi contrattuale dalle banche, ma carente dei requisiti propri degli usi normativi.   Questa tipologia di uso, dunque, non sarebbe in grado di derogare alla disciplina prevista dall’articolo 1283 c.c., per cui, tali clausole sono state ritenute nulle per violazione di una norma imperativa, ex articolo 1418 c.c[5].

2.b. –  L’evoluzione della disciplina dell’anatocismo

In materia di anatocismo, dopo l’intervento della giurisprudenza,  è intervenuto anche il legislatore, nel tentativo di dettare regole uniformi, chiare e trasparenti. La delega è stata conferita prima del revirement, essendo stata approvata con la legge 24 aprile 1998, n. 128. La ratio di questa modifica ha origine nel diritto comunitario e nel progetto di uniformazione minimo della disciplina bancaria da parte dell’ Unione Europea.

Nel concreto, è stato delegato al C.I.C.R. (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) il potere di stabilire le regole per la produzione degli interessi sugli interessi nell’esercizio dell’attività bancaria  ed è stata sancita una generale sanatoria delle clausole inserite anteriormente, a patto che venissero adeguate alle disposizioni della delibera C.I.C.R.

Parte della dottrina ha evidenziato che questa  nuova disciplina ha avuto, di certo, il merito di aver regolamentato l’anatocismo bancario, dopo anni di deroghe conseguenti alle prassi contrattuali bancarie.

Soprattutto, vi è stato un primo riconoscimento del forte squilibrio che connotava il rapporto tra banca e cliente, ad esempio nel conteggio dei periodi di maturazione degli interessi. La maggior parte dei contratti bancari, infatti, prevedeva un conteggio trimestrale per gli interessi passivi e semestrale, se non annuale, per quelli attivi.

Il legislatore, perciò, ha vincolato la delibera del C.I.C.R alla presenza di un conteggio di periodicità uguale per cliente e banca (art. 120 co. 2° T.U.B.)[6].

Altro elemento innovativo è costituito dal fatto che l’anatocismo bancario ha trovato una legittimazione all’interno dell’ordinamento in modo analogo a quanto è accaduto negli altri sistemi europei. In particolare si è ritornati ad una duplicazione delle discipline come nei codici del XIX secolo: una generale dettata all’interno del codice civile e una speciale di stampo commerciale (in questo caso bancaria e finanziaria) all’interno del Testo Unico Bancario[7].

La delibera C.IC.R. (del 9 febbraio 2000) ha regolato la disciplina applicabile nel settore bancario:  ha stabilito l’ambito di riferimento, costituito dalle operazioni delle banche e degli intermediari finanziari (art.1).

In particolare, l’art. 1 statuiva che “Gli indici finanziari eventualmente utilizzati nella formula devono essere rilevabili da fonti di agevole consultazione”.

Appare ictu oculi la ratio di questa previsione: essa, infatti, era necessaria proprio per garantire la massima trasparenza nei rapporti tra la Banca e il cliente e la correttezza nello svolgimento del rapporto contrattuale. Nella materia bancaria, sia per la sua settorialità sia per la sua specialità, l’uso di indici finanziari oscuri o comunque difficilmente rilevabili sarebbe d’ostacolo ai clienti; né si potrebbe esigere nei loro confronti uno sforzo ricostruttivo di tali indici, poiché andrebbe ben oltre la diligenza richiesta al debitore ai sensi degli art. 1175 e 1176 c.c.

La delibera si era occupata  anche del conteggio degli interessi e delle modalità di produzione, indicando all’art. 2 i tassi e la periodicità di addebiti e accrediti utilizzabili nel contratto, a patto che si rispetti la piena reciprocità delle condizioni (unico limite previsto dall’art 120 T.U.B.).

Si affermava che: “i contratti riportano, anche in allegato, uno o più esempi di applicazione della formula, considerando un capitale anticipatamente rimborsato pari a un milione di lire […] e almeno due diverse ipotesi di tempo residuo di ammortamento del debito, qualora il compenso vari in relazione al tempo medesimo. Nel caso in cui la formula venga fatto riferimento a indici variabili, negli esempi andrà preso in considerazione il valore meno favorevole per il cliente…

Tale disposizione era di grandissima rilevanza, poiché integrava gli obblighi gravanti sugli istituti bancari nelle operazioni di credito.

Si tratterebbe, infatti, di una importante fonte di produzione del diritto nella specifica materia bancaria, dotata di legittimazione da parte di legge ordinaria e di carattere innovativo dell’ordinamento. Inoltre, la rilevanza di questa disposizione veniva in rilievo alla luce anche degli art. 38 – 42 T.U.B. (testo vigente ratione temporis) che qualificava le operazioni di credito non meri atti negoziali lasciati all’autonomia delle parti, ma operazioni particolari, che soddisfano anche interessi di carattere generali.

Per tale ragione, le regole sopra richiamate si dovrebbero ritenere inderogabili dalle parti e di natura eccezionale, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi.

Invece, l’art. 3 della delibera si occupava dei finanziamenti con piani di rimborso rateale.

Detta disposizione prevede che: “1. Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino a1 momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l’importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. Quando il pagamento avviene mediante regolamento in conto corrente si applicano le disposizioni dell’art. 2. 4. Nei contratti che prevedono un periodo di pre-finanziamento, gli interessi maturati alla scadenza di tale periodo, se contrattualmente stabilito, sono cumulabili all’importo da rimborsare secondo il piano di ammortamento”.

Particolarmente importante è stato anche l’articolo 7 della succitata delibera secondo cui :” le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera, devono essere adeguati alle disposizioni in questa contenute entro il 30/ 6 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo primo luglio. 2 -Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 3/6 /2000, possono provvedere all’adeguamento, in via Generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Di tali nuovi condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e comunque, entro il 30 /12 /2000. 3 -Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comporti in un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dal cliente.”

A fronte di tale disposizione, parte della dottrina, dunque, ha osservato che si sarebbero create due diverse ipotesi.

Da una parte, infatti, il caso in cui il contratto avesse previsto condizioni uguali o migliorative rispetto al periodo precedente, con la conseguenza che la banca sarebbe stata tenuta a pubblicare in Gazzetta Ufficiale le modifiche unilaterali alla disciplina e a fornirne notizia ai clienti (art. 7 co.2°). Dall’altra, ove siano presenti condizioni peggiorative, l’adeguamento doveva avvenire attraverso un’approvazione scritta del cliente ai sensi dell’art. 1341 c.c. (art. 7 co.3° combinato con l’art. 6 della stessa delibera)[8].

Nella prassi bancaria si era formata la tesi che considerava la modifica del contrato sempre migliorativa. Tuttavia, essa è stata messa in dubbio da alcune sentenze della giurisprudenza.

Si è formato, in realtà, un orientamento[9] che considerava sempre peggiorative le modifiche di adeguamento del contratto.

Alla luce di questa conclusione si era diffusa l’idea secondo cui il contratto non abbia mai clausole anatocistiche, in quanto queste sono state dichiarate nulle in virtù del revirement della Cassazione. Di conseguenza, qualunque modifica che introduca nel contratto clausole anatocistiche è sempre peggiorativa per il cliente e necessitano della sua esplicita approvazione[10].

La delega legislativa del 1998 si era concretizzata  nel  D.Lgs n. 392/ 1999, e in particolare nell’art. 25 comma 3.

Attraverso questa disposizione, il legislatore aveva cercato di disciplinare la futura corresponsione di interessi anatocistici, in coerenza con la disciplina dell’articolo 1283 c.c., e aveva cercato di risolvere la problematica degli interessi pregressi corrisposti delle banche, sulla base delle clausole di capitalizzazione trimestrale.

Pertanto, il legislatore si era posto in contrasto con il cambio di giurisprudenza del 1999 – che aveva riconosciuto la natura di usi negoziali e non normativi in ambito bancario e aveva fondato la restituzione degli interessi illegittimamente percepiti.

Di fatti, mediante l’art. 25, si legittimava la pratica dell’anatocismo per il passato, con l’effetto di precludere la possibilità per i clienti di ottenere rimborsi. Per i contratti ancora da stipulare, ossia per il futuro, si stabiliva che doveva essere osservata la stessa “periodicità nel conteggio degli interessi, sia creditori sia debitori”.

Tuttavia l’art. 25 comma 3 del Dlgs. 392/1999 è stato dichiarato incostituzionale per eccesso di delega[11].

Di fatti,  la Corte Costituzionale aveva sottolineato l’illegittimità di una disciplina retroattiva e genericamente validante le precedenti clausole, senza alcun riferimento al tipo di vizio o al collegamento con il Testo Unico Bancario e alla sua uniformazione.

Inoltre, aveva escluso che la norma contenuta nel  decreto legislativo fosse una norma interpretativa, in quanto mancava un riferimento normativo a cui potesse saldarsi.

Era stato affermato, infatti, che: “in altri termini, il legislatore delegato, da un lato sancisce (pro praeterito), per qualsiasi tipo di vizio, una generale sanatoria delle clausole anatocistiche illegittime contenute nei contratti bancari anteriori al 19 ottobre 1999, con effetti temporalmente limitati sino al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera del C.I.C.R.); dall’altro attribuisce (pro futuro), sia pure nell’identico limite temporale, la stessa indiscriminata «validità ed efficacia» alle clausole poste in essere nel periodo tra il 19 ottobre 1999 ed il 21 aprile 2000. Ma, così disponendosi, è venuta meno ogni continuità logica con la delega, rompendosi la necessaria consonanza che deve intercorrere tra quest’ultima e la norma delegata. L’indeterminatezza della fattispecie di cui al comma 3° dell’art. 25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 non consente di ricondurre la denunciata norma nell’ambito dei princìpi e criteri della legge di delegazione”.

Attraverso la declaratoria di incostituzionalità, si riaffermava l’illegittimità dell’anatocismo, con la conseguenza che i clienti avrebbero potuto chiedere la restituzione di quanto trattenuto indebitamente dalle Banche.

Particolarmente importante è stata anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 21095/2004, le quali hanno precisato che “in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 25 comma 3 D.Lgs n. 342 del 99,  – il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza fino all’entrata in vigore della delibera C.I.C.R. di  cui al comma 2 del medesimo articolo 25,-  siffatte clausole, secondo i principi generali che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’articolo 1283 codice civile[12].

Pertanto, si era ritenuto che con riguardo ai contratti in essere alla data di entrata in vigore della delibera del 2000, la modifica introdotta dalla banca senza approvazione scritta del cliente debba essere considerata inefficace[13].

A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, è stato messo in dubbio anche il criterio di adeguamento indicato nella delibera del C.I.C.R.[14]

Difatti, l’emanazione della disciplina transitoria contenuta nell’art. 7 della Delibera era fonte regolamentare, legittimata dal legislatore delegato con l’art. 25 co. 3 del D.lgs 342 del 1999.

Tuttavia, in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, il terzo comma è stato dichiarato incostituzionale in toto e, quindi, anche in relazione alla parte sull’adeguamento. Per tale tesi, l’atto di normazione secondaria non sarebbe più legittimo, in quanto mancherebbe la norma primaria che gli sub-delegava la previsione delle modalità di adeguamento.

Pertanto, non sarebbe necessario qualificare la modifica come peggiorativa o migliorativa, ma è sempre necessaria un’approvazione espressa da parte dei clienti ex art. 1341 c.c.

Nell’ultimo periodo, il legislatore ha modificato nuovamente la disciplina sull’anatocismo: nello spazio di pochi mesi si sono succedute due riforme: l’art. 1 co. 629 del 27 dicembre 2013 n. 147 e l’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91.

In realtà, la seconda riforma non ha avuto seguito in quanto l’art. 31 è stato soppresso dalla legge di conversione del decreto legge (l. n. 116 dell’11 agosto 2014).

Pertanto oggi l’unica riforma in vigore è quella dettata dall’ art 1. comma 629 Dlgs. 147/2013, che ha modificato l’art. 120 T.U.B. Alla luce di questa modifica, permangono la delega al C.I.C.R. per la concreta individuazione delle modalità operative della disciplina e, in tal modo, il legislatore conferma la scelta di regolare l’anatocismo con una norma di secondo grado. Inoltre, sussiste ancora la pari periodicità per gli interessi passivi ed attivi che era stata già indicata dal d. lgs. 342 del 2000.

Diverso, invece, è l’oggetto, poiché non si parlava più di interessi sugli interessi, ma di sole modalità di produzione degli interessi (sebbene non sia chiaro se si tratti di semplici o composti).

Attraverso questa modifica, è stato stabilito che: “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Pertanto, la scelta del legislatore sarebbe volta ad escludere il fenomeno dell’anatocismo in ambito bancario.

La tesi della dottrina maggioritaria è ferma nel sostenere l’abrogazione della disciplina previgente e la riespansione con efficacia ex nunc della disciplina generale (art. 1283 c.c.). Ciò, in ossequio all’interpretazione secondo cui la riforma dell’art. 120 T.U.B. avrebbe fatto venir meno la norma delegante che forniva il potere di regolare l’anatocismo bancario al C.I.C.R. La norma subdelegante (delibera C.i.c.r. del 9 febbraio 2000), pertanto, non potrebbe più operare in quanto mancante della sua base legislativa primaria. Il giudice, quindi, dovrebbe considerare la precedente delibera tamquam non esset e procedere alla disapplicazione della stessa[15].

Vi è, tuttavia, chi ritiene che questa conclusione non sia del tutto condivisibile e che i contratti conclusi nel vigore della precedente disciplina debbano continuare ad essere regolati dalla discplina applicabile ratione temporis[16].

A prescindere dall’adesione all’una o all’altra tesi, è evidente come uno dei punti su cui dovrà fornire una soluzione l’intervento regolamentare del C.I.C.R. riguarda la normativa applicabile ai contratti pregressi. Invero sarebbe stato auspicabile che lo stesso legislatore avesse indicato l’applicabilità della disciplina ai soli contratti stipulati successivamente o anche a quelli anteriori[17].

Più di recente, l’art. 120 T.U.B . è stato ulteriormente  modificato dal DL n. 18 /2016.

Lo scopo di tale novella è quello di vietare che gli interessi possono produrre ulteriori interessi, tranne quelli moratori.

Attraverso la nuova disposizione, inoltre, il legislatore sancisce definitivamente un principio che si era comunque diffuso in materia di conto corrente e secondo cui deve essere assicurata alla clientela la parità di conteggio nella produzione di interessi.

Tuttavia, a differenza della precedente formulazione della norma, la nuova disposizione fa riferimento non più alla “produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria“, ma parla di “produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.

Non si fa, dunque, riferimento alla periodicità degli interessi capitalizzati ma si fa, invece, riferimento alla periodicità della liquidazione di suddetti interessi.

Attraverso il nuovo testo si vuole, così, garantire soltanto la coincidenza temporale del liquidazione degli interessi di tutte le operazioni di dare avere, ma senza alcuna capitalizzazione.

Pertanto, la norma è tesa a evitare l’anatocismo degli interessi liquidati o meglio contabilizzati. Difatti, quando vengono contabilizzati interessi (giornalmente, mensilmente, trimestralmente, semestralmente, annualmente), questi non confluiscono -come avveniva prima-  nel capitale ma vengono capitalizzati a parte, non dando più luogo ad alcuna ulteriore capitalizzazione.

Tuttavia, sebbene venga escluso l’anatocismo, il divieto non sarebbe assoluto.

Difatti, la legge n. 49/2016, ha reintrodotto l’istituto dell’anatocismo, seppure in maniera limitata e in riferimento ad alcune tipologie di contratti. Ad esempio, nel caso di aperture di credito in conto corrente ed in caso di sconfinamento extra fido o in assenza di fido, il cliente può autorizzare – anche preventivamente –  l’addebito degli interessi sul conto, nel momento in cui sono maturati. Gli interessi addebitati sul conto sono considerati dalla legge come sorte capitare e, quindi, possono produrre interessi anatocistici[18].

In attuazione della nuova normativa, il C.I.C.R. ha emanato la delibera n. 343/2016, nella quale ha stabilito che gli interessi devono essere contabilizzati in maniera distinta rispetto al capitale. Per il Comitato, difatti, gli interessi debitori per le aperture di credito regolati in conto corrente sono esigibili solo a partire dal primo marzo dell’anno successivo a quello della maturazione, dopo aver concesso al cliente un periodo di almeno 30 giorni per poter regolarizzare la propria posizione, decorrente dal momento in cui ha avuto conoscenza dell’ammontare degli interessi.

In particolare, alla luce dell’art. 4 comma 3 della delibera, gli interessi debitori maturati sono contabilizzati in maniera separata rispetto al capitale, il quale produce interessi di pieno diritto.

Il comma 5, invece, prevede la possibilità per il cliente di autorizzare l’addebito sul conto degli interessi, al momento della scadenza.

Parte della dottrina ha affermato che sulla base del combinato disposto di queste due disposizioni risulterebbe che se la sorte capitale producesse interessi e gli interessi addebitati si considerino capitale, allora gli interessi addebitati possono produrre altri interessi.

In questo modo la novella del 2016, confermerebbe il rapporto tra capitalizzazione e anatocismo: con l’autorizzazione del cliente sarebbe possibile la produzione degli interessi su interessi attraverso l’addebito degli stessi in conto capitale.

Tuttavia, è stato anche ritenuto che attraverso il DL 18 del 2016 e la delibera del  C.I.C.R., il nostro ordinamento avrebbe compiuto un passo indietro, sia per la portata minimale del divieto, sia perché l’autorizzazione del cliente rischia di sbiadire nell’ anonimato tipica della contrattazione di massa[19] .

3. La questione dei rapporti “pregressi” di conto corrente

Con il concetto di rapporti pregressi si è soliti fare riferimento ai rapporti iniziati nel vigore di una certa disciplina ma che si svolgono, seppur in minima parte, nel vigore di una normativa differente, sopraggiunta a quella originaria in virtù del fenomeno dell’abrogazione o della successione di leggi nel tempo.

In particolare, l’analisi di tale questione si sofferma principalmente sui rapporti di conto corrente, avviati prima delle modifiche del 1998 e delle seguenti modifiche normative.

Tale scelta deriva dalla constatazione che i rapporti di conto corrente sono rapporti di lunga durata, esposti maggiormente  allo ius superveniens, e dunque particolarmente controversi.

Orbene, ferme le considerazioni svolte nel paragrafo precedente sull’evoluzione normativa della disciplina dell’anatocismo, occorre adesso – seppur brevemente – esaminare le disposizioni codicistiche.

In primis, occorre rilevare che l’art. 1831 c.c., che prevede la chiusura semestrale del contratto di conto corrente ordinario, non è applicabile al conto corrente bancario, sia in ragione del tenore letterale dell’art. 1857 c.c., che non richiama l’art. 1831 c.c. per il conto corrente bancario, sia in considerazione della profonda diversità di struttura tra il conto corrente bancario – che prevede l’esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c. – e il conto corrente ordinario, che prevede l’inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c.

Il conto corrente bancario, rappresenta appunto, un contratto di durata, in cui il rapporto non si rinnova ad ogni chiusura di conto; la chiusura, cioè, non è prodromica al saldo ed alla conclusione del contratto, ma è una mera operazione contabile che non è richiesta dal tipo negoziale (tanto da non essere prevista nelle norme che regolano i conti correnti bancari).

In secundis, l’art. 1284 c.c., disciplina il saggio degli interessi, cioè l’entità del tasso e la decorrenza degli interessi legali, non derogando in alcun modo all’art. 1283 c.c., che è l’unica norma che stabilisce le condizioni per la produzione degli interessi sugli interessi (anatocistici) e della quale indubbia è la natura imperativa (contrariamente all’art. 1284 c.c., la cui natura dispositiva giustifica la derogabilità con la pattuizione di interessi convenzionali).

Tale impostazione ha, peraltro, trovato riscontro nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24418/2010, per la quale, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna.

In altri termini, secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24418/2010, a seguito della declaratoria di nullità della clausola anatocistica contenuta nei contratti di conto corrente stipulati in data anteriore al 22.4.2000 (data di entrata in vigore della delibera del C.I.C.R.), non sussisterebbe alcuna possibilità di integrazione del contratto bancario, ovvero di sostituzione legale, o di inserzione automatica di clausole che prevedano la capitalizzazione con diversa periodicità, dovendosi escludere anche quella annuale.

Il divieto di applicare un tale meccanismo di eterointegrazione del contratto è stato affermato di recente anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E., qualora il cliente rivesta anche la posizione di consumatore.

Si deve, necessariamente, menzionare la pronuncia della Grande Camera C.G.U.E. n. 125/2020 che – in caso di clausola contraria a norma di legge e quindi affetta da nullità (nullità di protezione come quella vigente nell’ambito dei rapporti bancari) – non è possibile applicare tassi o clausole legali, in sostituzione delle clausole nulle.

Unica eccezione a questo principio generale si ha nel caso in cui dalla nullità della clausola ne derivi nullità dell’intero contratto, con grave pregiudizio delle ragioni del privato/consumatore.

Conseguenza di questi principi sarebbe la nullità parziale (perché riguarda solo le pattuizioni contrarie a legge) e assoluta (perché non è ammissibile la sostituzione con clausole lecite).

Da ciò deriva che alcuna capitalizzazione sarebbe possibile per gli interessi maturati sino all’aprile del 2000.

Per quanto attiene, invece, gli interessi successivi per i nuovi contratti, l’art. 6 della delibera C.I.C.R. prevede espressamente che le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono espressamente approvate per iscritto.  Per i contratti in corso, invece,  la norma transitoria di cui all’art. 7 della citata deliberazione C.I.C.R., prevede che, qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche possono provvedere all’adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

 Nel caso in cui, invece, le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela.

Quindi, può accadere che ad un’assenza di capitalizzazione conseguente alla nullità della clausola anatocistica, si è sostituita una capitalizzazione trimestrale, con un peggioramento delle condizioni.

In tali circostanze, in presenza di una modifica peggiorativa,  si ritiene che  perdurino gli effetti della nullità sino al riscontro di una specifica approvazione scritta da parte del cliente, non potendo costituire adeguamento alla predetta delibera la comprovata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle condizioni di capitalizzazione approvate dall’Istituto.

In altri termini, le nuove condizioni di anatocismo (a partire dall’anno 2000), adeguate al disposto della delibera sostituiscono, infatti, all’anatocismo applicato in modo illegittimo (e quindi nullo ex art. 1283 c.c.) in virtù del contratto di conto corrente in atti, un anatocismo valido e di pari periodicità ex art. 120 T.U.B. Questo però comporta un peggioramento  delle condizioni rispetto a quelle precedentemente applicate (passaggio da un anatocismo non dovuto perché nullo ad un anatocismo valido ancorché di pari periodicità) e, pertanto, di condizioni esigenti l’approvazione del cliente[20].

 A ciò va aggiunto che la nullità delle clausole potrebbe derivare anche dal fatto che non vengano rispettate tutte le prescrizioni di cui alla cennata delibera C.I.C.R., essendo omessa la specifica indicazione, oltre che del T.A.N. (tasso annuale nominale) degli interessi, anche del T.A.E. (tasso annuo effettivo), vale a dire l’effettivo tasso di interessi creditori e debitori che è conseguenza dell’incidenza sul tasso annuale nominale della capitalizzazione degli interessi alle periodicità previste in contratto.

Sul punto, occorre osservare che le condizioni previste dalla menzionata delibera C.I.C.R. sono previste  a garanzia del correntista e attengono alla forma-contenuto dei contratti bancari ( da qui la tendenza a parlare di neo-formalismo).

Tali elementi debbono essere necessariamente considerati elementi essenziali dei contratti bancari (non limitandosi a quello di conto corrente) perché permettono al cliente di conoscere i costi dell’intera operazione. Inoltre, rispondono all’esigenza di informare il cliente e di renderlo edotto di tutte le voci dell’operazione e completano la disciplina a tutela del cliente debole, già rafforzata con la nullità di protezione.

Il mancato rispetto di tali condizioni comporta l’inadempienza anche agli obblighi comunicativi, incombenti sulla stessa ex art 6 delibera C.I.C.R.

Occorre, pertanto, che nel contratto sia specificato il T.A.E.G. che è il vero costo che il cliente sopporta per l’erogazione del credito, in quanto in esso vi rientrano non solo gli interessi corrispettivi collegati all’erogazione del credito, ma tutte le spese comunque collegate all’erogazione dello stesso, ad eccezione di imposte e tasse. Quindi vi rientrano, ad esempio, le spese di istruttoria, le spese collegate alle polizze assicurative (che assai spesso le banche fanno sottoscrivere in relazione a contratti di mutuo o di prestiti personali), le spese per l’invio della documentazione periodica inerente al rapporto di credito, le spese per l’incasso delle singole rate: in sostanza, tutto ciò che è comunque collegato alla concessione di credito da parte della Banca o della Finanziaria.

Questi costi devono essere chiaramente indicati alla clientela, come testualmente previsto dall’art 117, 4° comma del Testo Unico Bancario (T.U.B.) che prescrive testualmente “i contratti indicano il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticati” e per “tasso di interesse” il Testo Unico Bancario intende non un tasso qualsiasi, ma il tasso di interesse applicato proprio a quel determinato rapporto creditizio che viene in esame.

Orbene, la mera indicazione del solo. T.A.N., ossia il Tasso Annuo Nominale, equivale all’indicazione del Tasso annuo relativo all’interesse corrispettivo, senza tenere conto della capitalizzazione infrannuale (solitamente trimestrale) dell’interesse e di tutte le ulteriori spese collegate al credito, che sono state sopra accennate, con la conseguenza che detta mancata chiara indicazione del vero costo che il Cliente sopporta per l’erogazione del credito (e, quindi, per un contratto di mutuo, o prestito personale, o affidamento in conto corrente ecc.) importa il ricalcolo degli interessi secondo sostitutivo di cui all’art. 117 T.U. n. 385/1993.

Non può essere sostenuta le tesi  della legittimità di detti tassi in virtù delle variazioni contrattuali susseguitesi nel tempo ed a cui la banca era legittimata in considerazione dello ius variandi alla stessa attribuito.

Invero, una variazione legittima di un tasso di interesse presuppone la validità dell’originario tasso di interesse “previsto nei contratti di durata” oggetto della variazione, posto che, intanto, un tasso di interesse originario può essere legittimamente ed unilateralmente variato in quanto quel tasso originario fosse valido e come tale produttivo di effetti tra le parti, e ciò in virtù del principio generale, recepito dal nostro ordinamento, secondo cui “quod nullum est, nullum producit effectum[21].

È noto, altresì, il generale principio normativo per cui “il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente” (art. 1423 c.c.), per cui, mai una variazione unilaterale di una originaria clausola nulla avrebbe potuto sanare quella invalidità originaria, così come è parimenti noto che l’esecuzione spontanea del contratto da parte dei contraenti non ne sana la nullità[22].

Inoltre, è opportuno ricordare come in tutti i suesposti casi di nullità del tasso di interesse, la conoscenza successiva del saggio applicato (nella specie, attraverso l’invio degli estratti conto) non varrebbe a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l’art. 1346 c.c. esige “a priori”, al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l’abbia portato a conoscenza dell’altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l’informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso[23].

Da ciò, discende la nullità ex art. 1346 c.c./1284 c.c. della clausola di determinazione degli interessi[24].

4. Le questioni legate all’ammortamento

L’ultimo aspetto su cui è necessario concentrare l’attenzione è quello relativo all’ammortamento.

Con questa espressione si è solito riferirsi a un  procedimento amministrativo-contabile con cui il costo di un bene viene ripartito nel corso di più esercizi.

Oggetto del procedimento di ammortamento sono i cosiddetti beni a fecondità ripetuta, ovvero, che mantengono la loro utilità nel corso del tempo[25]. Pertanto, attraverso la procedura di ammortamento il costo di tali beni viene spalmato su più anni, in ragione della loro durata economica.

La procedura dell’ammortamento è stabilita dal Codice Civile (art. 2426 c.c.) ai fini della redazione del bilancio d’esercizio. Esiste anche il cosiddetto ammortamento fiscale, dettato dal legislatore fiscale, ai fini di determinare la base imponibile.

Nel settore bancario, l’ammortamento riguarda principalmente le operazioni di finanziamento, con  rate periodiche e la previsione di un rimborso da parte del cliente (esempio tipico il contratto di mutuo).

Pertanto, in questo caso, con il concetto di ammortamento si fa riferimento – più semplicemente – al “piano di rimborso”, ossia un piano di restituzione rateale del debito contratto, che viene definito dalla scadenza di ogni pagamento e dall’importo della rata.
Ogni rata è definita dalle scadenze di pagamento del debito ed è costituita dalla somma del capitale e degli interessi.

Esse possono essere mensili, trimestrali, semestrali o annuali. Inoltre, esse si distinguono per il metodo di calcolo utilizzato:

la rata può essere costante nel tempo e in questo caso si parla di ammortamento alla francese“. E’ il metodo  più semplice e maggiormente utilizzato. Il pagamento del mutuo è suddiviso in rate tutte uguali fino all’estinzione del debito, ad eccezione di variazioni sul tasso d’interesse. In questo caso la rata viene ricalcolata in base al nuovo tasso in percentuale alla somma residua.

la rata può essere decrescente, (ammortamento detto “all’italiana“). In questo caso si ha un piano di rimborso a rate decrescenti nel tempo e la rata è calcolata su una quota di capitale costante, poiché definito contrattualmente dalla divisione del capitale richiesto per il numero delle rate previsto e da una quota di interessi decrescente, determinata di volta in volta sul debito residuo.

la rata può essere crescente: si prevede un piano di rimborso a rate crescenti nel tempo. Questa tipologia di rata presume un aumento di importo ad ogni rata o a seconda di scadenze fissate a contratto.

– oltre a queste forme rateali ne esistono altre, come: la rata può essere variabile, ed offre la possibilità di richiedere, una sola volta, l’allungamento o la riduzione del periodo di estinzione del debito;  libera, qualora la rata è formata dalla quota di interessi, di volta in volta calcolate sul debito residuo, mentre il capitale viene restituito in base alle capacità finanziarie nel tempo. Chiaramente, nei finanziamenti a tasso variabile il valore delle rate può variare non solo in base al tipo di ammortamento scelto ma anche dalla misurazione del tasso di riferimento del mercato (Euribor). I finanziamenti a tasso fisso concedono la possibilità di scegliere ammortamenti a rata crescente o decrescente, in base alle esigenze.

Fatte queste premesse di carattere generale, le questioni più controverse hanno riguardato il sistema di ammortamento alla francese (a rate costanti).

Il piano di ammortamento alla francese prevede un maggior ammontare dell’obbligazione di interessi, rispetto a piani di ammortamento all’italiana.

Ciò in ragione dalla diversa costruzione delle rate: nell’ammortamento all’italiana, la quota capitale delle rate resta costante per tutta la durata dell’ammortamento, sicché le rate iniziali contengono una quota capitale maggiore rispetto alle rate iniziali dell’ammortamento alla francese. (In breve: Capitale costante + interessi decrescenti)

L’ammortamento alla francese, invece, si traduce in una maggiore onerosità per interessi del finanziamento, perché prevede il pagamento di rate periodiche composte da una quota di capitale e una quota di interessi (calcolata sul capitale residuo). Con il progredire dell’ammortamento, la quota capitale cresce progressivamente, mentre quella per interessi è di entità sempre inferiore[26]. (In breve: Capitale costante + interessi variabili).

Pertanto, mentre nelle prime rate è nettamente maggiore la quota per interessi, nelle ultime è più grande la quota capitale.

Alla luce di questa ricostruzione, sono sorte diverse e molteplici questioni giuridiche relative all’ammortamento alla francese.

La prima e fondamentale questione attiene alla legittimità del sistema di ammortamento alla francese, in quanto da esso potrebbero scaturire interessi anatocistici.

Sul punto vi sono state varie interpretazioni, che hanno dato adito ad un acceso dibattito.

Le ragioni alla base di tali dubbi risiedono nel fatto che attraverso l’ammortamento alla francese non ci sarebbe piena corrispondenza tra il T.A.N. (Tasso annuo nominale) e il T.A.E (Tasso annuo effettivo).

Di fatti, il tasso effettivo sarebbe più elevato.

La differenza tra T.A.N. e T.A.E. sarebbe tanto più significativa quanto è maggiore il numero delle rate e  più alto il tasso di interesse; pagare prima è un costo per il cliente e un vantaggio per la banca: il TAE aumenta[27].

Tuttavia, è stato di recente osservato che queste due grandezze (T.A.E. e T.A.N.), non sarebbero alternative tra loro, ma coesisterebbero, essendo indicatori diversi.

Pertanto, nei contratti di finanziamento, occorrerebbe prima individuare il tasso nominale e, solo in seguito, il tasso effettivo.

Tra l’altro, la distinzione di tali indici, risiederebbe nella diversità tra il concetto “giuridico” di tasso d’interesse ed il concetto “economico” di costo materiale dell’operazione di prestito, che dipende da una pluralità di fattori, ivi compresa la periodicità delle rate.

Ebbene, alla luce di tali considerazioni, parte della dottrina ritiene che la differenza tra T.A.N. e T.A.E.  sarebbe la normale conseguenza del fatto che, nei piani di ammortamento di prestiti e mutui, l’interesse annuale generalmente non viene pagato in un’unica soluzione a fine anno, ma ripartito su ogni rata infrannuale in scadenza[28].

La corresponsione anticipata delle rate rispetto alla scadenza annuale comporta che il costo effettivo da interessi del finanziamento, per il contraente, non è pari al tasso annuale stabilito da contratto, ma (lievemente) maggiore.[29]

Posta così la questione, circa la legittimità del sistema di ammortamento alla francese si sono formate due interpretazioni.

4.I – Secondo talune impostazioni di parte della giurisprudenza di merito, qualora si applichi il sistema di rimborso cosiddetto  “francese” mediante il pagamento di un numero predefinito di rate costanti, l’interesse applicato al mutuatario non è semplice, sarebbe composto: vi sarebbe, dunque,  anatocismo.

Questa conclusione deriverebbe dal fatto che  il costo effettivo del prestito è maggiore del tasso indicato nel contratto. Inoltre, essendo incerta la stessa indicazione numerica del tasso di interesse, vi sarebbe la nullità della relativa previsione, con la conseguenza che il piano di ammortamento va ricostruito con applicazione dell’interesse legale[30].

4.II – Tale ricostruzione, tuttavia, non risulta condivisa dall’opinione giurisprudenziale prevalente[31], che esclude qualsiasi profilo di illegittimità del sistema di ammortamento alla francese.

Suddetta conclusione, inoltre, sarebbe confermata anche dall’Arbitro Bancario Finanziario in sede di risoluzione stragiudiziale delle relative controversie, secondo cui tale metodo di ammortamento è legittimo se gli interessi (computati mese per mese) vengono calcolati solo sul capitale residuo del mutuo al periodo precedente. In tal modo, il mutuatario – con la consegna e sottoscrizione del “piano di ammortamento”-  sarebbe in grado di valutare l’ammontare degli interessi da pagare.

Pertanto, il metodo di ammortamento c.d. alla francese non determinerebbe alcuna illegittima capitalizzazione degli interessi corrispettivi, poiché la quota di interessi di ogni rata viene calcolata sul debito residuo del periodo precedente, costituito dalla quota capitale ancora dovuta, detratto l’importo già pagato in linea capitale con le rate precedenti, senza che gli interessi passivi già predisposti costituiscano base di calcolo nella rata successiva (nel qual caso si avrebbe un interesse composto).

(In breve: Capitale costante + quota variabile di interesse à

tale quota= Capitale ancora dovuto – importo totale già pagato)

In altri termini, l’interesse applicato sarebbe un interesse semplice, in quanto la quota di ogni singola rata è calcolata solo sulla quota di capitale residuo,  non anche sulla stessa aumentata della quota interessi[32].

Stando così le cose, siffatto sistema di calcolo non sarebbe in grado di generare alcun effetto anatocistico: l’anatocismo concettualmente non è configurabile in riferimento ad un mutuo con ammortamento alla francese, per linesistenza di un interesse giuridicamente definibile come “scaduto” sul quale calcolare l’interesse composto[33].

Sulla base di queste premesse, alcuni giudici di merito hanno affermato che sostenere in giudizio un effetto anatocistico automatico dell’ammortamento francese integrerebbe gli estremi della lite temeraria ex art. 96 c.p.c[34].

Sul piano delle conseguenze giuridiche, invece, è stato messo in evidenza che nel piano di ammortamento alla francese gli interessi vengono generalmente conteggiati mediante l’applicazione di un interesse composto.

Ciò significa che tale piano di ammortamento sarebbe in grado di generare di per sé stesso, un fenomeno di capitalizzazione di interessi su interessi.

Sul punto, una recente pronuncia del Tribunale di Cremona[35] ha evidenziato che tale sistema  ha un notevole impatto sul livello di trasparenza dell’operazione bancaria, che si traduce nella necessità che entrambi i tassi siano adeguatamente esposti in contratto per evitare incertezze nell’esecuzione del contratto medesimo e indeterminatezza nei costi da applicare al finanziamento”.

Di fatti, la corte territoriale ha evidenziato che dall’applicazione di un simile sistema può derivarne una criticità, la quale sorge qualora  “nel contratto di finanziamento è riportato il T.A.N. ma non è convenuto né il regime finanziario, né il riferimento del calcolo degli interessi – al capitale in scadenza o al debito residuo – e nell’allegato vengono riportati dei valori numerici che all’operatore retail, privo di un’expertise specifica, nulla dicono di tali scelte, che risultano di fatto diverse da quelle evocate dall’art. 821, 3° comma c.c..”

La conseguenza di ciò può essere l’indeterminabilità del tasso, requisito imposto dall’art. 1284 c.c. che prevede che gli interessi ultra legali vadano sempre stabiliti per iscritto; la violazione dell’art 117 T.U.B. comma 4, che prevede l’espressa indicazione di tutte le condizioni applicate.

A tal proposito, la giurisprudenza maggioritaria sostiene che costituisca un elemento essenziale del contratto di mutuo l’indicazione espressa della metodologia di calcolo del piano di ammortamento e del regime di capitalizzazione semplice o composto.

La mancata indicazione di tali caratteristiche integra, dunque, una violazione degli obblighi di informazione di cui all’art. 117 T.U.B[36].

Inoltre, nel caso in cui vi sia indeterminatezza sugli interessi, il contratto risulterebbe parzialmente nullo e sarebbe necessaria la C.T.U.

Di fatti, è stato messo in evidenza che laddove si giunga all’introduzione di un giudizio, sorgerebbe l’esigenza di demandare ad un consulente tecnico il compito di ricostruire il rapporto di finanziamento. Ciò a condizione che la parte concludente abbia già allegato una perizia tecnica, tesa ad identificare gli illegittimi addebiti, con indicazioni specifiche e circostanziate, sia nel quantum sia nella collocazione temporale.

Secondo il costante orientamento, la consulenza tecnica d’ufficio è identificabile come esplorativa – quindi non ammissibile –  solo nei casi in cui sia finalizzata ad esonerare la parte dall’onere della prova o alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provanti. Pertanto, sarebbe pienamente ammissibile la consulenza intesa a ricostruire l’andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza[37].

La Suprema Corte [38]ha sancito in modo espresso come la C.T.U. contabile (ed eventualmente l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.) debba essere concessa – in controversie aventi ad oggetto l’accertamento della legittimità delle condizioni contrattuali disciplinanti rapporti di conto corrente e la relativa applicazione – purché:

– non sia contestata dalla banca l’esistenza effettiva del rapporto obbligatorio;

– il correntista abbia ottemperato al proprio onere probatorio, producendo in giudizio tutta la documentazione in suo possesso, eventualmente richiesta, anteriormente alla contestazione giudiziale del rapporto di conto corrente, alla banca; non riveste importanza, pertanto, la natura parziale di tale documentazione, ma solamente la rilevanza della stessa ai fini delle domande svolte dal correntista;

–  la documentazione prodotta da parte correntista non sia da ritenersi irrilevante.

Si tratta di elementi che devono essere presenti cumulativamente e valutati dall’autorità giudiziaria.

Come ripetutamente chiarito dalla Suprema Corte, la consulenza tecnica di ufficio può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto, rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche[39].

 

 

 

 


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Cfr. (periodo 2014-2018) Trib. Modena 11.11.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Torino 17.09.2014, in www.dirittobancario.it; Trib. Lecce 18.08.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Siena 17.07.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Foggia 22.05.2014, inedita; Trib. Milano 05.05.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Pescara 10.04.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Mantova 11.03.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Venezia 27.11.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Treviso 12.01.2015, in www.ilcaso.it; Trib. Lecce 14.12.2015; Trib. Padova 16.01.2016, 9.03.2016, 29.05.2016; Trib. Milano 08.03.2016 e 28.04.2016; Trib. Milano 25.20.2016, 08.3.2016 e 28.04.2016; Trib. Bergamo 25.02.2016 e 25.07.2017; Trib. Bologna 24.02.2016; Trib. Napoli 20.06.2016; Trib. Lecce 20.07.2016; Trib. Verona 24.11.2016; Trib. Roma 20.4.2015, 16.6.2016, 23.11.2016, 1.02.2017; Trib. Palermo 31.1.2017; Trib. Pisa 21.4.2017; Trib. Asti 07.03.2017; Trib. Savona 02.05.2017: di per sé, il metodo di ammortamento alla francese non è sinonimo di anatocismo; Trib. Brescia 13.06.2017; Trib. Avellino 31.07.2017; Trib. Milano 28.07.2017 e 9.11.2017; Trib. Bergamo 08.09.2017; Trib. Sulmona 20.70.2017; Trib. Lecce 14.06.2017; Trib. Velletri 07.11.2017; Trib. Monza 29.03.201; Trib. Civitavecchia 28.06.2017; Trib. Brescia 27.09.2017; Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.03.2017; Trib. Velletri 08.11.2017; Trib. Modena 29.09.2017; Trib. Brescia 13.06.2017; Trib. Pavia 31.10.2017; Trib. Sondrio 02.11.2017; Trib. Pescara 18.10.2017; Trib. Milano 26.10.2017; App. Milano 17.04.2018; Trib. Chieti 09.01.2018; Trib. Monza 27.03.2018; Trib. Modena 13.03.2018; Trib. Lucca 24.04.2018; App. Bologna 13.04.2018: tutte in www.ilcaso.it, www.expartecreditoris, www.dirittobancario.it, Pluris Banca Dati.
Sentenza del Tribunale di Cremona n. 177/2019.
Trib. Verona 24.3.2015, www.expartecreditoris.it; Trib. Salerno 30.1.2015, www.expartecreditoris.it; Trib. Brescia 13.6.2017 e 27.9.2017, www.expartecreditoris.it; Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.3.2017, www.expartecreditoris.it; Trib. Torino
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Sentenza Trib. Roma. del 29 maggio 2019, Cass. Civ. n. 17110/2019, Cass. Civ. n. 16907/2019.
Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, n. 598314.
Cass. n. 5091 del 15.3.2016.
Cfr., ex multis, Cass. Civ. 8.1.2004, n. 88; Cass. Civ. 21.7.2003, n. 11332; Cass. Civ. 10.3.2000, n. 2802.

[1] CHINÈ Z. – ZOPPINI A., Manuale di diritto civile, a cura di Garofoli R. e Pintus D.G., Nel Diritto Editore, 2019, pp.788 – 789.
[2] RABITO D., Capitalizzazione e interessi nelle operazioni bancarie: quadro normativo e orientamenti giurisprudenziali, 2019, in Diritto.it, ISSN 1127-8579.
[3] Cass n.7571/ 1992; in dottrina cfr. LA ROSA P., in Portale, le Operazioni Bancarie, Milano, 1978, pp. 31 -32.
[4] FARINA V., Recenti orientamenti in materia di anatocismo, in Rass. Dir. Civile, 1991, pp. 751; INIZIARI, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. (Nota a Trib. Vercelli, 21 luglio 1994) in Giur.it.I,2, pp. 408.
[5] Cass. n. 2374/1999; Cass. n. 3096/1999.
[6] SILVESTRI G. M., Dottore in ricerca in materia di contratti, L’anatocismo, pp. 39.
[7] DOLMETTA A.A., Art. 25. Modalità di calcolo degli interessi, in DOLMETTA A.A. (a cura di), Le nuove modifiche al Testo Unico Bancario. Commentario al d. lgs. 4 aprile 1999, n. 342, Milano, 2000, p. 92 ss.
[8] SILVESTRI G. M., Dottore in ricerca in materia di contratti, L’anatocismo, pp.63.
[9] Tribunale di Treviso, Sez. distaccata di Montebelluna, 10 giugno 2013, n. 110 in www.dirittobancario.it;
[10] Ibidem.
[11] Corte Cost. n. 425/2000.
[12] Cfr. Cass. n. 4093/2005; Cass. n. 25016/2007.
[13] Tribunale di Venezia, 22.1.2007; Tribunale di Torino n.6204/2007, Tribunale di Padova 27.4.2008.
[14] Cfr. le sentenze Tribunale Mantova, sentenza 12 luglio 2008, Tribunale Mondovì, 17 febbraio 2009 in www.ilcaso.it;  Tribunale Torino, sentenza del 20 giugno 2014 in www.dirittobancario.it;
[15] FARINA V., Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera Cicr 9 febbraio 2000, in www.dirittobancario.it, 2014 .
[16] QUINTARELLI A., Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell’onere probatorio e saldo zero, in www.ilcaso.it, 2015, pp. 6 ss..
[17] SILVESTRI G. M., Dottore in ricerca in materia di contratti, L’anatocismo, pp.69.
[18] CHINÈ Z. – ZOPPINI A., Manuale di diritto civile, a cura di Garofoli R. e Pintus D.G., Nel Diritto Editore, 2019, pp.790 – 792.
[19] RABITO D., Capitalizzazione e interessi nelle operazioni bancarie: quadro normativo e orientamenti giurisprudenziali, 2019, in Diritto.it, ISSN 1127-8579.
[20] Cfr. in tal senso Tribunale di Venezia 22 gennaio 2007; Tribunale di Novara 1.10.2012; cfr. altresì Tribunale di Monza 17.09.2012.
[21] Cfr. per tutte da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4015 del 21/02/2007.
[22] Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8993 del 05/06/2003, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1156 del 1994.
[23] Cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 dei 02/10/2003; Cass. l febbraio 2002 n. 1287
[24] Cfr. la citata Cass. Sentenza n. 4095 del 25/02/2005; per il principio della nullità delle clausole di pattuizione di interessi ultralegali prive di “criteri sicuramente ed obiettivamente rilevabili per la determinazione del tasso di interesse ultralegale“; cfr. Cass. Sent. N. 22898/2005.
[25] Definizione tratta da https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/ammortamento.htm, FTA Online News, Milano, 09 Ott 2009.
[26] ABF Napoli n. 4115/2014, in www.arbitrobancariofinanziario.it; Tribunale Milano 30.10.2013 e 16.7.2015; Trib. Lanciano 17.10.2017; Trib. Modena 17.4.2018, in www.ilcaso.it, www.dirittobancario.it www.expartecreditoris.it).
[27] FIORUCCI F., Ammortamento alla francese e anatocismo: applicabilità, effetti e legittimità, in Anatocismo, Usura e TAEG/ISC nei Mutui Bancari, Altalex Editore, 2019.
[28] Cfr. anche MORINI G., Ammortamento alla francese, capitalizzazione degli interessi e l’anatocismo, una sfida tra diritto e matematica, in Diritto.it, https://www.diritto.it/ammortamento-alla-francese-capitalizzazione-degli-interessi-lanatocismo-sfida-diritto-matematica/, 2018.
[29] Trib. Benevento 19.11.2012, in www.expartecreditoris.it; Trib. Monza 19.6.2017, Trib. Roma 11.1.2016, 16.6.2016, 1.2.2017, 5.4.2017; Trib. Milano 28.6.2017; Trib. Monza 18.8.2017; Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.3.2017; Trib. Pisa 21.4.2017, tutte in www.ilcaso.it, www.dirittobancario.it e www.expartecreditoris.it; Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.3.2017, in www.expartecreditoris.it.
[30] Trib. Napoli 13.2.2018; Trib. Lucca (GOT) 10.05.2018, in www.ilcaso.it; Corte d’Appello di Campobasso n. 412 del 5 dicembre 2019.
[31] Cfr. (periodo 2014-2018) Trib. Modena 11.11.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Torino 17.09.2014, in www.dirittobancario.it; Trib. Lecce 18.08.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Siena 17.07.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Foggia 22.05.2014, inedita; Trib. Milano 05.05.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Pescara 10.04.2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Mantova 11.03.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Venezia 27.11.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Treviso 12.01.2015, in www.ilcaso.it; Trib. Lecce 14.12.2015; Trib. Padova 16.01.2016, 9.03.2016, 29.05.2016; Trib. Milano 08.03.2016 e 28.04.2016; Trib. Milano 25.20.2016, 08.3.2016 e 28.04.2016; Trib. Bergamo 25.02.2016 e 25.07.2017; Trib. Bologna 24.02.2016; Trib. Napoli 20.06.2016; Trib. Lecce 20.07.2016; Trib. Verona 24.11.2016; Trib. Roma 20.4.2015, 16.6.2016, 23.11.2016, 1.02.2017; Trib. Palermo 31.1.2017; Trib. Pisa 21.4.2017; Trib. Asti 07.03.2017; Trib. Savona 02.05.2017: di per sé, il metodo di ammortamento alla francese non è sinonimo di anatocismo; Trib. Brescia 13.06.2017; Trib. Avellino 31.07.2017; Trib. Milano 28.07.2017 e 9.11.2017; Trib. Bergamo 08.09.2017; Trib. Sulmona 20.70.2017; Trib. Lecce 14.06.2017; Trib. Velletri 07.11.2017; Trib. Monza 29.03.201; Trib. Civitavecchia 28.06.2017; Trib. Brescia 27.09.2017; Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.03.2017; Trib. Velletri 08.11.2017; Trib. Modena 29.09.2017; Trib. Brescia 13.06.2017; Trib. Pavia 31.10.2017; Trib. Sondrio 02.11.2017; Trib. Pescara 18.10.2017; Trib. Milano 26.10.2017; App. Milano 17.04.2018; Trib. Chieti 09.01.2018; Trib. Monza 27.03.2018; Trib. Modena 13.03.2018; Trib. Lucca 24.04.2018; App. Bologna 13.04.2018: tutte in www.ilcaso.it, www.expartecreditoris, www.dirittobancario.it, Pluris Banca Dati.
[32] RUTIGLIANO – FACCINACCI, Brevi note per riconoscere, “si spera definitivamente”,l’assenza di anatocismo nel mutuo con piano di ammortamento “alla francese”, in Banche e banchieri, 2017, p. 333.
[33] FIORUCCI F., Ammortamento alla francese e anatocismo: applicabilità, effetti e legittimità, in Anatocismo, Usura e TAEG/ISC nei Mutui Bancari, Altalex Editore, 2019.
[34] Trib. Verona 24.3.2015, www.expartecreditoris.it; Trib. Salerno 30.1.2015, www.expartecreditoris.it; Trib. Brescia 13.6.2017 e 27.9.2017, www.expartecreditoris.it; Trib. Santa Maria Capua Vetere 27.3.2017, www.expartecreditoris.it; Trib. Torino 2.3.2018, in www.expartecreditoris.it.
[35] Sentenza del Tribunale di Cremona n. 177/2019.
[36] Sentenza Trib. Roma. del 29 maggio 2019, Cass. Civ. n. 17110/2019, Cass. Civ. n. 16907/2019.
[37] Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, n. 598314.
[38] Cass. n. 5091 del 15.3.2016.
[39] Cfr., ex multis, Cass. Civ. 8.1.2004, n. 88; Cass. Civ. 21.7.2003, n. 11332; Cass. Civ. 10.3.2000, n. 2802.

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Veronica Schirripa

Dott.ssa Veronica SchirripaLaureata presso l'Università degli studi di Catania nel 2018 con Tesi sperimentale in diritto penale “Il reato di Tortura tra fonti sovrannazionali e diritto interno" (relatrice: Prof. Rosaria Sicurella). Durante il percorso accademico, la grande passione per i diritti umani e il diritto internazionale l'ha spinta a partecipare ad uno stage al palazzo delle Nazioni Unite (New York) in occasione del CWMUN 2016, organizzato dall'associazione Diplomatici, nella qualità di delegate as Namibia; ad assistere nel 2017 alle discussioni del Parlamento Europeo sul tema della lotta alla criminalità e agli hate speeches. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali e Forensi di Catania “A. Galati", conseguendo il Diploma nel 2020 con tesi di Diritto Civile “Gli obblighi del sanitario" (Relatore: prof Giovanni Di Rosa). Durante il percorso post-accademico ha svolto un periodo di stage presso la Procura Generale della Repubblica, presso la sede di Catania. Abilitata all'esercizio della professione forense. Svolge l'attività di consulente presso lo Studio Di Paola & Partners.

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