Angelo Mozzillo nella terra della Gens Grania
a cura di Andrea Romano
La Chiesa di S.Agostino in Gragnano, la cui struttura originaria risale probabilmente alla fine del 1200, nasconde nel suo interno tre bellissime tele di Angelo Mozzillo, geniale artista afragolese che per troppo tempo è stato ignorato dalla critica ufficiale.
Contorni netti ed essenziali come le parole scolpite nella pietra, purezza ed euritmia delle forme, funzionalità e chiarezza del dettato pittorico, netta ed equilibrata distinzione tra le figure e lo sfondo: sono queste le pecularietà neoclassiche immediatamente ravvisabili nella “Sacra Famiglia” del Mozzillo, olio su tela del 1792.
Pochi colori, azzurro e bianco in prevalenza, conferiscono al dipinto una estatica dolcezza ed accentuano l’inquadramento prospettico grazie al sapiente dosaggio della luce e del colore.
L’intelligente separazione delle parti compositive, poi, estrinseca e dà forza ad una trama narrativa espressa con semplicità e con perfetta simmetria, elementi questi capaci di trasmettere sensazioni di pacatezza nell’animo dell’osservatore.
Colpiscono, inoltre, due elementi decorativi posti ai lati della scena centrale, un tempietto greco a tholos e uno sfondo paesaggistico scarno ed essenziale, elementi che potrebbero apparire come un tributo al manierismo, ma che, in realtà, vanno letti alla luce di una forte valenza simbolica, chiave di lettura ineliminabile per la piena comprensione dell’arte a carattere agiografico di colui che ancora oggi deve essere considerato il vanto di Afragola, di una terra le cui origini risalgono al IV secolo a.C..
Passato e presente, la simbologia in Mozzillo ha sempre un accentuato carattere teologico, trovano la loro esemplarità storica nel Bambino, che Maria tiene tra le braccia, nell’Avvento che diventa Carne.
In alto, attorniato da putti ed avvolto da un diffuso marrone, Dio Padre, la Cui mano destra, aperta e tesa, indica al mondo la Salvezza.
La tela, eseguita per la chiesa di S.Agostino, è situata attualmente nel transetto destro, privo di altare.
Se ci è consentito, basterebbe questo capolavoro di pittura e di teologia figurativa a rendere – da solo – doverosa, se non necessaria, una visita alla vetusta chiesa di S.Agostino nella terra della Gens Grania, terra felice circondata dai monti e resa fertile dalla natura.
Si rimane, tuttavia, ancora più sorpresi e stupefatti quando ci si imbatte nella terza cappella, dove un “S.Tommaso di Villanova che distribuisce l’elemosina ai poveri” avvalora ancora di più la nostra tesi di un Mozzillo caposcuola fuori dal coro, di un artista a novanta gradi al quale la storia dell’arte italiana deve doverosamente chiedere scusa per il lungo e colpevole silenzio.
La differenza tra questa tela e quella analoga di Luca Giordano appare subito evidente: nell’artista afragolese la materia è viva e palpitante, in “Luca fai presto” il tecnicismo è freddo e distaccato, privo di una qualsiasi emotività.
Un dettato narrativo espresso con semplicità, ma non privo di “vis” polemica, conferisce a quest’olio su tela del 1794 una immediatezza di lettura che non lascia alcun dubbio sul suo messaggio e che sferza alla pari di molte terzine dantesche.
I personaggi, tutti in primo piano secondo le linee di una costruzione semicircolare che sottolinea la profondità dello spazio, sono incorniciati da uno sfondo neutro, appena accennato, quasi come ad indicare la centralità dell’azione dell’uomo.
La distorsione senza eccentricità della prospettiva nella disposizone dei soggetti, chiara e manifesta nel sacerdote agostiniano e in un personaggio che sembrerebbe appartenere all’alta borghesia, ambedue posti alle spalle del Santo, non è da configurare nell’ambito degli elementi manieristici, ma evidenzia, al contrario, un significato ben più profondo: il distacco emotivo dall’azione rappresentata.
Tale distacco è reso ancora più evidente dalla profonda compartecipazione espressa dalla postura e dal volto del Santo, oltre che dagli astanti popolani che riempiono lo spazio sulla sinistra.
Popolani, sacerdote, borghesia e cerimoniere alla destra del Santo sono a prima vista personaggi secondari, ma ben esprimono la complessa e deviante psicologia umana di fronte ad un evento comprensibile solo dall’egoismo, che è quello della povertà, l’ingiustizia sociale per antonomasia.
La centralità dell’evento narrativo è tutta nello storpio e nel fanciullo i cui occhi esprimono desolazione e speranza, in voluto contrasto con la statica immobilità del corpo, sapiente particolare che accentua per antitesi il dinamico assieme narrativo.
Amore, speranza, indifferenza, ipocrisia, ostentazione: sono questi i temi rappresentati; la figura umana, pur nella sua perfezione figurativa, diventa un mezzo, un pretesto quasi capace di dare significato a sentimenti contrastanti nel gioco delle parti del manzoniano “guazzabuglio” del cuore.
La chiesa dei tesori mozzilliani non smette, però, di stupirci.
L’altare del transetto destro, infatti, <<è impreziosito dalla settecentesca tela raffigurante la Vergine con S.Agostino e S.Monica, altra opera attribuita al Mozzillo>>, come si legge sul sito istituzionale del Comune di Gragnano.
La tela non è certamente priva di bellezza, ma una attenta lettura critica ci porta ad affermare che soltanto il volto, le mani e i piedi dei personaggi sono opera del Mozzillo, che probabilmente ha lasciato completare il lavoro ai suoi allievi, forse a Giovanni Panariello, il più attivo dei suoi numerosi collaboratori.
Nella chiesa di S.Agostino, il Mozzillo ha lasciato un’ impronta indelebile del suo genio pittorico e le tre tele appartengono senza dubbio alla fase matura del neoclassicismo napoletano.
Se in Francia il neoclassicismo intendeva l’arte come uno strumento persuasivo, in Mozzillo l’arte appare uno strumento per persuadere, ma anche per vivificare la fede, che non è mai astrazione, ma è vita, è concretezza, è azione.
La chiesa di S. Agostino, quindi, deve essere considerata anche come il manifesto dell’arte del pittore afragolese, in un secolo in cui la pittura a carattere sacro era posta in secondo piano dall’illuminismo imperante.
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Andrea Romano
Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.
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