Annullamento del provvedimento e tutela dell’affidamento del privato: natura della situazione giuridica, tecniche di tutela, riparto di giurisdizione e danni risarcibili

Annullamento del provvedimento e tutela dell’affidamento del privato: natura della situazione giuridica, tecniche di tutela, riparto di giurisdizione e danni risarcibili

Il diritto amministrativo si compone di regole principalmente pubblicistiche che orientano e disciplinano l’attività amministrativa, individuando i fini pubblici da perseguire. Tali regole sono stabilite dalla legge, nel rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa e dei suoi corollari della riserva relativa di legge e dei principi di nominatività e tipicità degli atti amministrativi, ex artt. 23, 97 c. 2 Cost.

L’art. 1 l. 241/1990 specifica la portata del principio di legalità del procedimento amministrativo, evidenziando che, accanto alle norme pubblicistiche, la PA è tenuta ad osservare regole privatistiche sia nell’adozione di atti di natura paritetica, sia nell’adozione di atti di natura non autoritativa, qualora risulti espressamente previsto dalla legge.

La compresenza di regole privatistiche e regole pubblicistiche nell’esercizio dell’attività amministrativa risulta evidente proprio nell’art. 1 c. 2bis l. 241/1990, recentemente inserito dal d.l. 76/2020, convertito in legge 120/2020. Tale disposizione, infatti, nel recepire l’orientamento giurisprudenziale consolidato sul punto, prevede che i rapporti tra il cittadino e la PA sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede, richiamando così il principio di solidarietà sociale di cui agli artt. 2 Cost., 1175, 1337, 1338, 1366, 1375 c.c. Ulteriori conferme della commistione tra diritto privato e diritto amministrativo si ricavano dall’art. 11 c. 4 l. 241/1990, il quale, nel disciplinare gli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento amministrativo, attribuisce alla PA il diritto di recedere unilateralmente in caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo a tutela dei contrapposti interessi privati, pregiudicati dall’agire della PA. In tal caso, infatti, non si applicano soltanto i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, ma anche le norme a tutela della buona fede oggettiva e dell’affidamento del privato.

Quest’ultimo, infatti, risulta portatore di un interesse meritevole di tutela, relativo alla fiducia riposta nel corretto agire della PA e nella conseguente legittimità dei provvedimenti amministrativi adottati. La fiducia nella correttezza dell’operato altrui risulta tutelata anche dal diritto dell’Unione Europea e dalle relative pronunce della Corte di Giustizia dell’UE, le quali in più occasioni hanno ribadito la rilevanza giuridica dell’affidamento e la sua risarcibilità in caso di lesione.

Espressione del principio dell’affidamento sono anche le norme in materia di autotutela, le quali, pur attribuendo alla PA il potere di intervenire in secondo grado su un provvedimento amministrativo già rilasciato in precedenza, rendono necessario il contemperamento di tale potere con i contrapposti interessi privatistici, qualora il privato risulti beneficiario di vantaggi derivanti dal provvedimento stesso. Infatti, sia l’art. 21quinquies, relativo alla revoca, sia l’art. 21nonies l. 241/1990, relativo all’annullamento d’ufficio, riconoscono e tutelano espressamente il principio di affidamento nel rapporto tra privato e PA, sia pur mediante modalità radicalmente differenti tra loro. Nello specifico, nel caso della revoca il legislatore dispone nello stesso tempo sia una tutela antecedente sotto forma di limite, relativa ai motivi di nuova valutazione dell’interesse pubblico in relazione ai provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici; sia una tutela indennitaria successiva, finalizzata a riequilibrare equitativamente il privato del pregiudizio patrimoniale subito.

Inoltre, qualora la revoca di un atto amministrativo incida su rapporti negoziali, l’art. 21quinquies c. 1bis l. 241/1990 circoscrive l’importo indennizzabile al solo danno emergente, tenendo conto dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte del privato della contrarietà dell’atto all’interesse pubblico, con implicito richiamo all’art. 1338 c.c., relativo alla conoscenza delle cause di invalidità del contratto.

Al contrario, in caso di annullamento d’ufficio il legislatore condiziona la legittimità del provvedimento di secondo grado alla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico, al bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché al rispetto del termine ragionevole, dapprima corrispondente a diciotto mesi, poi recentemente ridotto a dodici mesi per effetto del d.l. 77/2021, convertito in l. 108/2021, qualora il privato risulti beneficiario di provvedimenti di autorizzazione o attributivi di vantaggi economici. Il decorso del tempo dall’adozione del provvedimento favorevole appare, infatti, strettamente connesso con la tutela dell’affidamento, in quanto all’aumentare del primo, matura inevitabilmente il secondo, con annessi obblighi risarcitori da parte della PA. A conferma dell’importanza del fattore tempo ai fini del consolidamento dell’affidamento gli interpreti richiamano anche l’art. 2bis c. 1bis l. 241/1990, il quale attribuisce al privato leso dal decorso infruttuoso del termine di conclusione del procedimento il diritto di ricevere un indennizzo da mero ritardo dalla PA inadempiente, indipendentemente dalla spettanza effettiva del bene della vita richiesto all’autorità procedente. Infatti, in tal caso il legislatore presume che l’attesa del pronunciamento da parte della PA abbia indotto il privato ad effettuare investimenti, ovvero ad immobilizzare capitali o risorse, ovvero a rifiutare altre alternative disponibili sul mercato, riponendo fiducia nel tempestivo operare della PA e nel provvedimento favorevole richiesto a quest’ultima.

La progressiva affermazione e diffusione del principio di affidamento, dapprima a livello giurisprudenziale e successivamente a livello legislativo, ha indotto la giurisprudenza ad interrogarsi sulla natura di tale situazione giuridica.

Secondo un primo orientamento l’affidamento sarebbe meritevole di tutela in quanto aspettativa giuridica, come tale distinta dall’aspettativa di mero fatto. Si afferma, infatti, che l’affidamento non sarebbe inquadrabile né come diritto soggettivo pieno, né come interesse legittimo, venendo in rilievo qualora una parte riponga la sua fiducia sulla correttezza, lealtà e diligenza dell’altrui prestazione o comportamento.

Inoltre, si individua il fondamento giuridico della tutela risarcitoria dell’affidamento nei principi solidaristici di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 2 Cost., 1175, 1337, 1338, 1366, 1375 c.c.

Secondo l’impostazione dominante, invece, l’affidamento andrebbe tutelato alla stregua di un diritto soggettivo perfetto, a cui corrispondono contrapposti obblighi di buona fede e correttezza in capo alla controparte. Pertanto, accanto alla prestazione principale di fonte contrattuale o extracontrattuale le parti divengono destinatarie di ulteriori obblighi ex lege, denominati “obblighi di protezione”, essendo tenute a collaborare tra loro, a non aggravare la prestazione altrui, a convenire eventuali modifiche in caso di eventi eccezionali sopravvenuti e ad accettare eventuali dilazioni di pagamento in caso di difficoltà economiche.

Ciononostante, si condivide con l’impostazione precedente l’individuazione della fonte delle obbligazioni ex lege, rinvenuta anche in tal caso nei principi solidaristici di buona fede e correttezza, ex artt. 2 Cost., 1175, 1337, 1338, 1366, 1375 c.c.

Recentemente il problema della natura giuridica dell’affidamento e della relativa tutela è stato affrontato nel diritto amministrativo nei rapporti tra privato e PA, allorquando quest’ultima abbia ritirato in autotutela mediante annullamento d’ufficio un provvedimento amministrativo ampliativo, favorevole per il primo.

L’orientamento tradizionale riteneva che i principi civilistici e, dunque, le norme in materia di buona fede e legittimo affidamento, non fossero applicabili al diritto amministrativo, in virtù sia dell’autonomia tra i diversi settori dell’ordinamento giuridico, sia dei caratteri di autoritatività ed imperatività dei provvedimenti amministrativi, sia della presunzione di legittimità dei provvedimenti amministrativi.

L’impostazione attualmente dominante, invece, propende favorevolmente all’estensione di tali principi civilistici al diritto amministrativo, non soltanto nelle ipotesi in cui la PA abbia agito mediante strumenti privatistici, ma anche qualora la stessa abbia adottato atti di natura autoritativa. Ciò troverebbe conferma nella stessa legge sul procedimento amministrativo, ai sensi degli artt. 11, 21quinquies, 21nonies e nel recente c. 2bis dell’art. 1 l. 241/1990, nonché nell’art. 124 c. 2 c.p.a., il quale, nel disciplinare la tutela in forma specifica e per equivalente in materia di appalti, invita il giudice amministrativo a tenere conto della condotta processuale della parte che abbia contribuito all’aggravamento del danno, in spregio ai principi di lealtà processuale e buona fede ex artt. 1227 e 1175 c.c.

A tale interpretazione hanno aderito anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere il dibattito giurisprudenziale sul riparto di giurisdizione in materia di tutela del legittimo affidamento nei rapporti tra PA e privato. Secondo la Suprema Corte, la natura di diritto soggettivo del legittimo affidamento, nonché i corrispondenti “doveri di protezione” gravanti sulla PA, in virtù dei pubblici poteri e della posizione di supremazia di cui dispone, consentirebbero di inquadrare la relativa tutela giurisdizionale in termini meramente risarcitori, con conseguente devoluzione della materia al giudice ordinario, in luogo del giudice amministrativo. Infatti, si afferma che in tal caso opererebbe la distinzione, formulata dalla Corte Costituzionale e poi ripresa dall’art. 7 c.p.a., tra comportamenti amministrativi, riconducibili anche mediatamente all’esercizio del potere, e comportamenti meri, inquadrabili tra gli atti materiali privatistici.

Tra questi ultimi, dunque, andrebbero ricondotti i comportamenti della PA difformi dalle regole di buona fede e correttezza, con conseguente radicamento della giurisdizione ordinaria, escludendo così qualsiasi inquadramento degli stessi tra gli atti amministrativi espressivi dell’esercizio di un pubblico potere. L’affermazione della giurisdizione ordinaria ai fini della tutela del legittimo affidamento nel diritto amministrativo ha avviato un nuovo filone giurisprudenziale nella giurisprudenza amministrativa, in particolar modo in materia di revoca del bando di gara successiva alla stipulazione del contratto, ovvero di comportamento ambiguo della PA nel corso dell’intero procedimento amministrativo. In entrambi i casi, infatti, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la giurisdizione del g.o. in luogo di quella del g.a., valorizzando la natura privatistica degli interessi lesi e del comportamento lesivo della PA, nonché il carattere civilistico delle norme violate. In particolare, in caso di revoca del bando di gara successiva alla stipulazione del contratto l’individuazione del giudice competente è avvenuta a seguito della corretta qualificazione dello strumento giuridico attivabile dalla PA, non più in termini di revoca ex art. 21quinquies l. 241/1990, bensì di recesso civilistico, ex art. 1373 c.c. Nella seconda ipotesi, invece, la giurisprudenza ha esaminato il comportamento posto in essere dalla PA dal momento dell’istanza del privato fino all’adozione del provvedimento finale di diniego, ritenendolo scorretto, dal momento che la PA avrebbe suscitato nel privato richiedente false aspettative sull’esito favorevole del procedimento, mediante reiterati apprezzamenti positivi.

Quanto alla tutela riconosciuta in favore del privato leso nell’affidamento, la giurisprudenza precisa che è necessario dapprima accertarne la legittimità, ossia la sussistenza della buona fede oggettiva e l’assenza degli elementi soggettivi del dolo o della colpa grave in capo al privato istante. Successivamente, spetterà al giudice competente valutare il quantum risarcitorio, tenendo conto della risarcibilità del solo danno emergente, ossia delle perdite patrimoniali subite per effetto del comportamento illecito della PA, al netto delle spese e degli accessori connessi alla presentazione dell’istanza di avvio del procedimento. Si esclude, dunque, il lucro cessante, ossia il guadagno che il privato avrebbe potuto trarre in altri affari o investimenti, ovvero dallo stesso provvedimento favorevole agognato, trattandosi di interessi legittimi pretensivi soggetti all’esercizio della discrezionalità amministrativa. Inoltre, per il principio di autoresponsabilità, si escludono dall’importo totale risarcibile i danni patrimoniali che il privato avrebbe potuto evitare agendo secondo l’ordinaria diligenza, mediante presentazione di apposite istanze alla PA, ovvero di ricorsi amministrativi o giurisdizionali, ex artt. 1175, 1176 e 1227 c.c., 124 c. 2 c.p.a.

Il radicamento della giurisdizione del g.o. in materia di tutela del legittimo affidamento nel rapporto tra PA e privato è stato successivamente ribaltato da un recentissimo intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Secondo il Supremo Consesso amministrativo, la natura giuridica delle norme violate ovvero dell’obbligo giuridico disatteso dalla pubblica autorità non sarebbe dirimente ai fini della corretta individuazione del giudice munito di giurisdizione. Infatti, da un lato è ormai consolidata anche a livello normativo la possibilità per la PA di perseguire fini pubblici ricorrendo a moduli privatistici, ex art. 1 c. 1bis l. 241/1990; dall’altro, l’esercizio dell’attività amministrativa appare regolato non solo da norme pubblicistiche e procedimentali, ma anche da norme e principi civilistici, inclusa la clausola generale di buona fede, come confermato dal recente intervento normativo introduttivo del comma 2bis all’art. 1 l. 241/1990.

Pertanto, il comportamento scorretto, violativo dei principi di buona fede e legittimo affidamento, non assume incondizionatamente una qualifica civilistica per il solo fatto di rinvenire la propria disciplina giuridica e la relativa tutela nel codice civile, essendo comunque necessaria l’individuazione delle situazioni giuridiche coinvolte, alla stregua dell’insegnamento della Corte Costituzionale, poi recepito nell’art. 7 c.p.a.

Occorre, infatti, verificare se il comportamento scorretto posto in essere dalla PA si collochi all’interno di un procedimento amministrativo, con relativa spendita di poteri e contrapposta situazione giuridica del privato, qualificabile in termini di interesse legittimo pretensivo od oppositivo, ovvero risulti estranea e all’esterno di un’attività procedimentalizzata, creando un rapporto tra privato e PA in termini civilistici di diritto/obbligo. Soltanto in quest’ultima ipotesi appare, dunque, possibile ragionare in termini puramente negoziali, con conseguente devoluzione delle relative controversie in favore del g.o.; al contrario, ogniqualvolta sussistano margini di esercizio del potere e discrezionalità amministrativa, si radicherà necessariamente la giurisdizione del g.a. L’Adunanza Plenaria si pone così in netto contrasto con la precedente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, contribuendo a rendere ancor più complesso il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla questione.

Indubbiamente le pronunce della Plenaria sembrano richiamare un diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa, tendente progressivamente ad ampliare le maglie della giurisdizione del g.a., equiparandola sempre più a quella del g.o. quanto a strumenti e a tecniche di tutela in favore del privato.


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