Appalti, il limite del 30% al subappalto viola il diritto europeo?

Appalti, il limite del 30% al subappalto viola il diritto europeo?

Il tema dei limiti al subappalto continua ad essere una delle questioni più intricate e dibattute del Codice dei contratti pubblici.

E per gli evidenti dubbi di compatibilità di tale disciplina nazionale con quella propria delle direttive europee e con i principi comunitari  è stata inevitabilmente rimessa la questione alla Corte di Giustizia Europea da una serie di pronunce del giudice amministrativo.

Nello specifico, il giudice amministrativo ha prima rimesso, con sentenza non definitiva del Tar Lombardia n. 148 del 19 gennaio 2018, la questione della compatibilità dei limiti nazionali al subappalto di cui all’art 105, comma 2, del d.lgs. 50 del 2016, fissati nel trenta per cento dell’importo complessivo del contratto di appalto messo a gara, con i principi eurounitari di proporzionalità, libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi.

E di recente il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia del Lussemburgo, con ordinanza dell’11 giugno 2018, n. 3553, similare questione in merito alla conformità ai parametri europei della disciplina nazionale di cui all’art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile ratione temporis alla controversia, nella parte in cui pone tali limiti alla quota di contratto subappaltabile, oltre che in riferimento alla riduzione dei prezzi praticabile nei confronti del subappaltatore.

Infatti, tanto la disciplina previgente all’ art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006, che quella attuale contenuta nell’art. 105, comma 2 del d.lgs. 50 del 2016, prevedono che il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.

Invero tali limiti al subappalto sono stati introdotti per la prima volta nell’ordinamento dall’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55 e le relative discipline sono poi confluite nelle varie leggi che si sono succedute in materia di appalti pubblici, e dunque mantenuti sia nel Codice di Lise che nel nuovo Codice dei contratti pubblici.

Queste normative esprimono il principio generale di esecuzione diretta negli appalti pubblici da parte dell’affidatario, disciplinando – nei commi successivi – l’affidamento a terzi (il subappaltatore) dell’esecuzione delle prestazioni con lavorazioni oggetto del contratto dell’appalto principale. Tale limite risponde quindi anche alla necessità di evitare la possibilità di avere aggiudicazioni dove l’adempimento è posto a rischio per la conseguente difficoltà di valutare la sostenibilità – e quindi la non anomalia – dell’offerta.

Discipline che dunque determinano una evidente limitazione alla possibilità di subappaltare, una restrizione che invece non si rinviene nella disciplina europea di riferimento e di cui il Codice dei contratti pubblici dovrebbe costituire il fedele recepimento.

Se infatti diverse perplessità erano state già avanzate  con riguardo alla limitazione contenuta nel Codice de Lise in relazione alla corrispondente disciplina comunitaria contenuta nelle direttive europee del 2004 – come infatti testimoniato dalla recente ordinanza del Consiglio di Stato – la disciplina contenuta nel nuovo Codice non potè che generare dubbi sulla sua tenuta comunitaria, soprattutto alla luce delle nuove direttive 23, 24 e 25 del 2014 e dei principi ed obiettivi comunitari di proporzionalità, di apertura alla concorrenza e di favor per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.

Tuttavia, in virtù soprattutto dei pareri favorevoli del Consiglio di Stato e dell’Anac – preoccupati dai rischi derivanti da una totale deregulation e da un ulteriore frammentazione del sistema delle imprese – si è optato per il mantenimento del relativo limite del subappalto, quale presunto presidio alla legalità e alla correttezza della gara.

Invero sulla questione è stata però chiamata a pronunciarsi la Commissione Europea in seguito ad esposto ad essa presentato dall’Ance, volto a sottolineare le criticità di tale disciplina nazionale.

La Commissione Europea, con la lettera (DG GROW) n. 1572232 del 23 marzo 2017, ha quindi censurato la disciplina nazionale in merito al limite massimo del subappalto (oltre a sottolineare le criticità anche del comma 14 dell’articolo 105, con riguardo al divieto di ribasso superiore al 20% per le prestazioni affidate in subappalto), in quanto in contrasto con la disciplina europea in materia di appalti, rilevando come “la disciplina di cui all’articolo 105 del Codice Italiano dei contratti pubblici sembra creare un sistema in cui il subappalto è, in linea generale, vietato. Il subappalto è infatti consentito unicamente dietro espressa autorizzazione della stazione appaltante, e in ogni caso nel limite massimo del 30% dell’importo dell’opera…. L’introduzione di quello che appare come un divieto generale di subappaltare i contratti, eccetto nei casi specificati nell’articolo 105, e la previsione di limiti quantitativi generali e astratti applicabili laddove il subappalto è consentito, sembrano in netto contrasto con le norme e la giurisprudenza UE”.

Tuttavia, nonostante tale evidente criticità della disciplina nazionale, con il Codice correttivo del Codice dei contratti pubblici, il d.lgs. n. 56 del 2017, se sono state introdotte alcune modifiche apprezzabili alla disciplina di cui all’articolo 105 – quali l’eliminazione della facoltà della stazione appaltante di prevedere nel bando le categorie di lavorazioni che possono essere affidate in subappalto e soprattutto l’obbligo generalizzato per gli appalti sopra soglia comunitaria di indicare, già in sede di presentazione dell’offerta, la terna dei subappaltatori –  è stato invece  mantenuto tale limite, e ciò alla luce del nuovo parere favorevole del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari.

Nello specifico, la Commissione speciale, affare n. 432/2017, adunanza 22.03.2017, con parere n. 782/2017 del 30.03.2017, ha giustificato tale evidente deroga al divieto di goldplating  in virtù di “pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro ”e che dunque “il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE”.

Invero anche tali ragioni non sembrano giustificare adeguatamente la disciplina nazionale volta a porre un limite quantitativo al subappalto.

In primis tale limite non sembra poter essere ricondotto a finalità di tutela dell’ordine pubblico, della trasparenza e del mercato del lavoro. Tali finalità, quali per esempio la lotta ad infiltrazioni mafiose, possono e devono essere perseguiti attraverso altri strumenti. Infatti non sembra rappresentare uno strumento adeguato a tale fine l’introduzione di un parametro quantitativo, del tutto astratto e volto ad influire sulla libera concorrenza.

Inoltre tale limite sembra anche rilevarsi contrario al principio di proporzionalità, atteso che il diritto dell’Unione è contrario all’introduzione di meccanismi che limitino la libera concorrenza sulla base di indici in virtù dei quali si presuma automaticamente una situazione patologica, e quindi prescindendo ad una indagine che consenta agli interessati di dimostrare l’assenza di profili patologici nel caso di specie.

Tali ragioni, come detto, hanno portato i giudici amministrativi nazionali a rimettere la questione sulla valutazione della disciplina nazionale in materia di subappalto al giudice europeo.

Nello specifico, la sentenza del Tar Lombardia ha quindi disposto che  “va rimessa alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’articolo 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”.

Similmente, anche il Consiglio di Stato con l’ordinanza citata ha rimesso “alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 25 della Direttiva 2004/18 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e 71 della Direttiva 2014//24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, che non contemplano limitazioni per quanto concerne la quota subappaltatrice ed il ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 118 commi 2 e 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del trenta per cento dell’importo complessivo del contratto e l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con un ribasso non superiore al venti per cento”.

Dunque sarà ora la Corte di Giustizia Europea a doversi esprimersi sulle criticità evidenziate dal giudice nazionale.

E proprio alla luce delle suesposte considerazioni e dei pronunciamenti della giurisprudenza europea, oltre che di quanto già rilevato della Commissione europea, con elevata probabilità la Corte non potrà non rimarcare l’evidente conflittualità della normativa nazionale con la disciplina ed i principi europei.

Infatti il giudice europeo sul tema ha avuto già modo di esprimersi nel senso di ritenere contrarie alla disciplina delle direttive e ai principi europei disposizioni che pongono un ostacolo alla libera concorrenza e all’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.

Si possono citare, fra le altre, la sentenza della Corte giustizia dell’UE, sez. V, 5 aprile 2017, C-298/2015, Borta UAB, nella quale è stato affermato che “per gli appalti pubblici di rilievo transfrontaliero, anche se sotto la soglia di applicazione delle direttive europee, è interesse dell’Unione che l’apertura della procedura alla concorrenza sia la più ampia possibile, e il ricorso al subappalto, che può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di tale obiettivo. Pertanto, una disposizione nazionale, che preveda che in caso di ricorso a subappaltatori per eseguire un appalto pubblico di lavori, l’aggiudicatario sia tenuto a realizzare l’opera principale, come descritta dall’amministrazione aggiudicatrice, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi”; e anche la sentenza della Corte di giustizia dell’UE, sez. III, 14 luglio 2016, C-406/14, Wroclaw, nella quale il giudice amministrativo ha ribadito che “la direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (Ce) 2083/2005 della commissione, del 19 dicembre 2005, deve essere interpretata nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non è autorizzata ad imporre, mediante una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori, che il futuro aggiudicatario esegua una determinata percentuale dei lavori oggetto di detto appalto avvalendosi di risorse proprie”;

Tali sentenze quindi potranno incidere fortemente su una disciplina nazionale in tema di subappalto, che, dopo più di un decennio, potrebbe, forse finalmente, eliminare quel limite che rappresenta una previsione sui generis e assolutamente nazionale, e quindi adeguarsi alla disciplina europea.

Con l’auspicio che però, in tal caso, non vengano trascurati dal legislatore italiano quegli obiettivi di regolarità e corretta esecuzione dell’appalto che lo hanno portato ad introdurre il limite in questione. Obiettivi che quindi dovrà continuare a perseguire, magari con delle disposizioni più coerenti con il contesto normativo e giurisprudenziale nazionale e soprattutto comunitario.


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