Appalti pubblici a titolo gratuito: si applica il codice dei contratti pubblici?
Cons. St., sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614 – Pres. Severini, Est. Fantini
La massima
Anche un affidamento concernente servizi a titolo gratuito configura un contratto a titolo oneroso, soggetto alla disciplina del Codice dei contratti pubblici; la garanzia di serietà e affidabilità, intrinseca alla ragione economica a contrarre, infatti, non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico dell’amministrazione appaltante, ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto.
Il Consiglio di Stato affronta nella sentenza suesposta una questione del tutto peculiare, caratterizzata dalla assoluta novità nel panorama giuridico.
Il Collegio è chiamato a statuire circa l’applicazione (o meno) del Codice dei contratti pubblici ai contratti di appalto a titolo gratuito.
Questione non di poco conto se si considera che, rimanendo ancorati all’interpretazione letterale del Codice dei contratti pubblici, l’art. 3, comma 1, lett. ii) rubricato “definizioni” così recita: si definiscono «appalti pubblici i contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi».
Da una prima lettura della disposizione normativa, dunque, appare pressoché scontata l’esclusione dei contratti pubblici di appalto a titolo gratuito dall’ambito di operatività del D.lgs. n. 50/2016.
Sennonché il Consiglio di Stato evidenzia come, in realtà, il paradigma normativo dell’appalto pubblico (di servizi, nel caso specifico) debba essere letto alla luce del diritto europeo.
Il Collegio sottolinea come le connotazioni di onerosità di cui all’art. 3, comma 1, lett. ii) del D.lgs. 12 aprile 2016, n. 50 debbano essere interpretate in maniera conforme alle regole europee.
In particolare, per gli appalti nei settori ordinari, la direttiva 2014/24/UE afferma:
– considerando (4): «La normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici non intende coprire tutte le forme di esborsi di fondi pubblici, ma solo quelle rivolte all’acquisizione di lavori, forniture o prestazioni di servizi a titolo oneroso per mezzo di un appalto pubblico».
– art. 2 (definzioni) n. 5): «appalti pubblici»: contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi».
A fronte di tutto ciò, il Collegio ritiene che occorra chiarire la portata ed il significato, nei particolari contesti menzionati, dell’espressione «a titolo oneroso».
E’ appena il caso di ricordare che il fondamento della disciplina sui contratti pubblici si rinviene nei principi generali del diritto dell’Unione Europea, quali il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, le libertà di circolazione delle merci, di prestazione dei servizi, di stabilimento e di circolazione dei servizi, le regole di concorrenza enucleate dall’art. 101 e ss. del T.F.U.E..
I contratti pubblici debbono perciò formarsi in un mercato concorrenziale e la loro disciplina è strettamente connessa con le regole sulla concorrenza.
Di talché il Consiglio di Stato evidenzia come la caratteristica di “onerosità” è da riferire a questa contestualizzazione, ovvero al mercato di matrice europea.
Quest’ultimo sembrerebbe muovere dal presupposto che il prezzo corrispettivo dell’appalto costituisca un elemento strumentale e indefettibile per la serietà dell’offerta e per l’affidabilità dell’offerente nell’esecuzione della prestazione contrattuale.
La ratio di fondo si rinverrebbe nel concetto che un potenziale contraente che si proponga a titolo gratuito, senza curare il proprio interesse economico nell’affare che va costosamente a sostenere, celi inevitabilmente un sospettabile contraente per l’amministrazione.
Il Collegio, tuttavia, chiarisce che una siffatta tematica così generale ha naturalmente diverse declinazioni a seconda che riguardi contratti “attivi” (comportanti per l’amministrazione un’entrata) o i contratti “passivi” (comportanti per l’amministrazione una spesa).
Proprio perché gli appalti pubblici, come noto, sono classificati nel genus dei contratti passivi, occorre concentrare l’attenzione su questi ultimi.
La par condicio tra partecipanti alla gara, presidio della concorrenzialità, è necessaria sul presupposto che la tutela della concorrenza rechi con sé la garanzia di efficienza del mercato.
In una tale prospettiva -osserva il Collegio- una lettura sistematica delle previsioni suesposte induce a ritenere che l’espressione “contratti a titolo oneroso” possa assumere per il contratto pubblico un significato attenuato o in parte diverso rispetto all’accezione tradizionale.
La ratio di mercato cui si è accennato, di garanzia della serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente, può essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto.
Infatti, la garanzia di serietà e affidabilità non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale.
Diversamente, può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto.
Del resto, quanto alla ragione economica del contraente, l’orientamento giurisprudenziale prevalente ammette l’abilitazione a partecipare alle gare pubbliche in capo a figure del c.d. “terzo settore”, per loro natura prive di finalità lucrative, dal momento che si tratta di soggetti che perseguono scopi non di stretto utile economico, bensì sociali o mutualistici.
In particolare, alle menzionate figure è stato ritenuto non estensibile il principio del c.d. “utile necessario” fondato sull’innaturalità ed inaffidabilità per un operatore del mercato di un’offerta in pareggio, perché contro il naturale scopo di lucro (cfr. Cons. Stato, V, 20 febbraio 2009, n. 1018 e n. 1030; Cons. Stato, VI, 16 giugno 2009, n. 3897; Cons. Stato, V, 13 settembre 2016, n. 3855).
Sulla base delle suesposte considerazioni, il Collegio evidenzia come <<il fatto stesso della presenza di questa consolidata giurisprudenza dimostra che l’utile finanziario in realtà non è considerato elemento indispensabile dal diritto vivente dei contratti pubblici… >>.
Ed ancora: <<la circostanza che l’offerta senza prefissione di utile presentata da un siffatto tipo di soggetto non sia presunta, solo per questo, anomala o inaffidabile, e non impedisca il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio stricto sensu economico, dimostra che le finalità ultime per cui un soggetto può essere ammesso a essere parte di un contratto pubblico possono prescindere da una stretta utilità economica>>.
Proprio a fronte di tali considerazioni, il Consiglio di Stato evidenzia come nell’ordinamento dei contratti pubblici si debba propendere per un’accezione ampia e particolare (rispetto al diritto comune) dell’espressione «contratti a titolo oneroso», tale da dare spazio all’ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dalla prestazione contrattuale il contraente possa trarre un’utilità economica lecita e autonoma.
D’altro canto assume particolare pregnanza nell’ordinamento giuridico la pratica dei contratti di sponsorizzazione, la cui disciplina si rinviene nell’art. 19 del Codice dei contratti pubblici.
In particolare, il Collegio sottolinea come <<la sponsorizzazione non è un contratto a titolo gratuito, in quanto alla prestazione dello sponsor in termini di dazione del denaro o di accollo del debito corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica: il motivo che muove quest’ultimo è l’utilità costituita ex novo dall’opportunità di spendita dell’immagine… per l’Amministrazione è finanziariamente non onerosa: non comporta un’uscita finanziaria, ma comunque genera un interesse economico attivo per lo sponsor…>>.
Sicché con il contratto di sponsorizzazione si verifica lo scambio di denaro contro un’utilità immateriale, costituita dal ritorno di immagine.
Appurate tali considerazioni, resta ovviamente l’esigenza della garanzia della par condicio dei potenziali contraenti, la quale deve necessariamente essere assicurata dalla metodologia di scelta tra le offerte.
Proprio per questa ragione, un contratto pubblico di siffatta portata, per quanto “gratuito” in senso finanziario (ma non economico), non può che rimanere nel sistema selettivo di cui al D.lgs. n.50/2016.
Se così non fosse, si giungerebbe all’irragionevole conclusione in base alla quale l’amministrazione appaltante potrebbe scegliere il contraente a piacimento, ingenerando per un verso, un’evidente lesione della par condicio dei potenziali interessati al contratto; per altro verso, ledendo i principi eurounitari in tema di concorrenza.
La gratuità finanziaria, anche se non economica, del contratto in questione si riflette sulla procedura di selezione e sulle modalità di scelta del contraente, improntate al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, offerta che si baserebbe sul miglior rapporto tra qualità e prezzo.
Sulla base di siffatte premesse, è opportuno evidenziare come la fattispecie in questione non può che riservare punti zero alla componente economica.
Sicché il vaglio della domanda si esaurirebbe nella valutazione dell’offerta tecnica, in potenziale criticità con l’art. 83 del D.lgs. n. 50 del 2016.
A fronte delle potenziali problematiche menzionate, il Collegio ritiene che <<occorre valutare la compatibilità di una siffatta tipologia contrattuale con le regole dell’evidenza pubblica ed i principi eurounitari, in particolare sotto il profilo della suscettibilità di adeguata valutazione delle offerte prive di un contenuto economico. Si tratta di una valutazione da svolgere in concreto ed ex ante>>.
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Francesca Miniscalco
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