Appalto in condominio: la responsabilità penale dell’amministratore
La responsabilità penale dell’amministratore di condominio, in materia di appalto, può essere tanto di natura dolosa quanto, principalmente, di tipo colposo e, generalmente, omissivo (ex art. 40, c.2 c.p., infatti, ‘’non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo’’).
La maggior parte delle ipotesi delittuose ascrivibili all’amministratore derivano da norme generali e speciali del codice penale, ma anche dall’interazione di queste con la normazione in tema di sicurezza e salute sul lavoro.
Come noto, infatti, il D.Lgs n. 81/2008 ha abrogato tutte le precedenti normative in materia, accorpandone gli elementi strutturali in un testo unico di norme prescrittive e sanzionatorie.
Gli obblighi presenti nella normativa citata impongono a determinati soggetti – puntualmente individuati – di rispettare determinati vincoli di condotta al fine di evitare infortuni o eventi ancor più gravi sui luoghi di lavoro, punendone la mancata osservanza con responsabilità e sanzioni penali in caso di lesioni o morte dei lavoratori.
Invero, tali previsioni trovano grande estensione negli appalti in ambito condominiale.
La predetta disciplina normativa, infatti, risulta pienamente applicabile anche al condominio in quanto ‘’complesso strutturale organizzato da un datore di lavoro privato’’ ex art. 2, lett. d), D. Lgs n. 81/2008 in tutti i casi nei quali l’ente di gestione possa disporre, a vario titolo (ivi compreso, per l’appunto, anche l’appalto), di una pluralità di lavoratori per lo svolgimento di opere o servizi.
Normalmente, in tale ordine d’ipotesi è l’amministratore ad assumere la carica di datore di lavoro pro tempore in rappresentanza del condominio, il quale assume – come chiarito dal Ministero del Lavoro – l’onere di informazione ex art. 36, D. Lgs. n. 81/2008 verso tutti i lavoratori rientranti nel contratto collettivo dei proprietari di fabbricati, obbligo che si considera adempiuto ove effettuato tramite apposita comunicazione contenente tutti i requisiti disposti dalla predetta norma che impone una completa informazione sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro connessi all’attività d’impresa in generale.
Ben diverso il caso in cui vi sia la mera presenza di lavoratori non rientranti nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati.
In questi casi, l’amministratore è tenuto a redigere il documento di valutazione dei rischi (DVR) ex artt. 17, 28 e 29 D. Lgs. 81/2008 mentre invece, nel caso in cui nel condominio, oltre ai lavoratori dipendenti, prestino la propria attività anche lavoratori riconducibili ad imprese esterne o lavoratori autonomi in ogni caso affidatari di opere o servizi, il predetto amministratore è considerato a tutti gli effetti quale datore di lavoro, ma ciò esclusivamente per i primi, e non nei confronti dei secondi.
In tale ordine d’ipotesi, sull’amministratore gravano gli oneri di cui all’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, ricomprendenti la predisposizione del Documento Unico di valutazione dei rischi d’interferenza (DUVRI).
Come noto, il datore di lavoro risulta, normalmente, il soggetto responsabile dell’organizzazione dell’impresa e dei lavori necessari, poiché il ruolo attribuitogli dal legislatore comprende sia l’attività di istruzione dei lavoratori sui rischi professionali, sia l’adozione di specifiche misure di sicurezza oltre all’obbligo di controllo continuo e non occasionale che l’attività lavorativa sia svolta con modalità e strumenti idonei a garantire la sicurezza dei lavoratori.
Quindi, chi ricopre il ruolo di datore di lavoro deve riuscire a prevedere il comportamento altrui ex ante, non potendo invocare, come causa esimente, una condotta anomala tenuta da altri soggetti se sottesa ad un proprio errore di valutazione, sull’assunto esimente che l’incidente si sia concretizzato unicamente a cagione della predetta condotta altrui, e non perché si sia tenuto un comportamento antigiuridico (vv. C. Cassaz., sez. pen., n. 22262/2008).
Per l’effetto, ogni violazione delle prescrizioni discendenti dalla normativa antinfortunistica integra causa di responsabilità per il datore di lavoro a titolo di colpa specifica.
Peraltro, la mancata osservanza delle regole di cui al richiamato testo unico da parte dei datori di lavoro ha in ogni caso valore assorbente rispetto al comportamento dei singoli lavoratori, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici unicamente in un secondo momento, vale a dire dopo che da parte dei soggetti obbligati siano state adempiute tutte le prescrizioni di propria competenza.
Infatti, è principio generale quello secondo cui il datore di lavoro deve tutelare anche le persone estranee all’impresa esecutrice dei lavori, poiché “l’imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi a operare nell’area della loro operatività” (vv. C. Cassaz., sez. pen., n. 10842/2008).
Quanto ai casi di esclusione della predetta responsabilità, essi possono così sintetizzarsi.
In primo luogo, la responsabilità del datore di lavoro, in caso d’infortunio di soggetto estraneo all’attività di lavoro ed al sotteso cantiere, può essere esclusa a condizione che “la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell’infortunio abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi” (vv. C Cassaz., sez. pen., n. 11360 dd. 31 marzo 2006).
In seconda battuta, il datore di lavoro risulta esonerato dalla predetta responsabilità qualora il comportamento del lavoratore, foriero di danni ed infortuni, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, appaia de facto radicalmente lontano da tutte quelle condotte astrattamente e normalmente ipotizzabili e prevedibili, financo imprudenti, in capo al lavoratore nell’esecuzione della propria opera (vv. C. Cassaz., sez. pen., n.7267 dd. 23 febbraio 2010).
La disciplina normativa richiamata trova ulteriore specificazione in tutti i casi nei quali il condominio commissioni – per mezzo di contratto d’appalto – lavorazioni, opere edili o d’ingegneria civile, come tali ricadenti nel campo d’applicazione del Titolo IV dello stesso D.Lgs. n. 81/2008 in materia di cantieri temporanei/mobili.
In tutti questi casi, l’amministratore assume la già richiamata qualifica di committente e, in quanto tale, rimane assoggettato a tutti i vincoli ed obblighi disposti dagli artt. 88 ss. del predetto testo normativo, poiché titolare di una posizione di garanzia e della sottesa responsabilità che, in caso d’infortunio, si aggiunge a quella dell’appaltatore.
Infatti, come stabilito da autorevole giurisprudenza: “l’obbligo di cooperazione tra committente e appaltatore ai fini della prevenzione antinfortunistica non esige che il committente intervenga costantemente in supplenza dell’appaltatore quando costui, per qualunque ragione, ometta di adottare le misure di prevenzione prescritte, deve tuttavia ritenersi che, quando tale omissione sia, immediatamente percepibile (consistendo essa nella palese violazione delle norme antinfortunistiche), il committente, che è in grado di accorgersi senza particolari indagini dell’inadeguatezza delle misure di sicurezza, risponde anch’egli delle conseguenze dell’infortunio eventualmente determinatosi” (vv. C. Cassaz., sez. pen., n.30857 dd. 19 settembre 2006 e n. 28197/2009).
Occorre a questo punto concentrare l’attenzione sulle più rilevanti categorie di illeciti penali che possono essere ascritte all’amministratore di condominio in materia d’appalto in tutti i casi nei quali costui rivesta, tanto in qualità di committente quanto di datore di lavoro, una posizione di garanzia.
Si pone in rilievo, in primo luogo, per la sottesa gravità, l’ipotesi dell’omicidio colposo per come prevista dalla normativa codicistica attualmente in vigore (art. 589 c.p.).
Il nostro Ordinamento, infatti, punisce con la reclusione chiunque cagioni per colpa (generica o specifica) la morte di una persona (colpa generica), prevedendo una circostanza aggravante speciale, ad effetto speciale se il fatto è commesso in violazione delle norme vigenti in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (colpa specifica).
L’elemento soggettivo sulla base del quale è possibile ascrivere una responsabilità penale in capo all’amministratore, pertanto, è la colpa generica, la quale sussiste in tutti i casi in cui “valutata la condotta in concreto con riferimento alla posizione di garanzia assunta dall’agente, risulta che questi si sia rappresentato come conseguenza certa, o anche solo probabile, della sua azione od omissione proprio l’evento in concreto verificatosi, pur prescindendo dalle concrete modalità di verificazione” (vv. C. Cassaz., sez. pen., n.4675 dd. 5 dicembre 2008).
Infatti, in ambito di delitti colposi, dal principio generale di cui all’art. 43 c.p. è possibile ricavare che la condotta risulta attribuibile al soggetto agente anche in presenza di un evento da costui non voluto nemmeno in senso indiretto, tale per cui il fatto penalmente rilevante deve essere ascritto all’agente stesso per negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica) o mancata osservanza di leggi o regolamenti (colpa specifica).
L’amministratore condominiale, pertanto, può essere chiamato a rispondere del delitto di omicidio colposo in tutti i casi nei quali egli abbia omesso di impedire un evento (nel caso in esame la morte di una persona) che aveva il dovere giuridico di impedire direttamente o indirettamente, poiché titolare di posizione di garanzia.
Nondimeno, tale condotta omissiva deve avere la natura di antecedente necessario e causale, oltre ogni ragionevole dubbio, rispetto all’evento lesivo del bene giuridico della vita e dell’integrità fisica della vittima, che può essere un lavoratore alle dipendenze di una delle imprese appaltatrici (nell’ipotesi aggravata già posta in evidenza) o un soggetto terzo, estraneo al rapporto contrattuale d’appalto (un condòmino, un passante, lavoratori impiegati in altro edificio).
Elemento necessario per ascrivere al soggetto agente la responsabilità penale, tuttavia, è il concetto di prevedibilità che può essere riassunto nell’astratta possibilità per costui di rappresentarsi l’evento delittuoso in tutte le sottese caratteristiche, quale conseguenza diretta, certa o altamente probabile di una determinata condotta attiva od omissiva.
Inoltre, il predetto evento delittuoso deve essere evitabile da parte dell’agente, pertanto deve essere possibile per l’amministratore condominiale scongiurare materialmente l’effettivo verificarsi del fatto-morte, tale per cui è necessario che l’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi svolga un attento esame sull’evitabilità di tale evento al momento della consumazione dello stesso, non potendosi imputare alcuna responsabilità colposa all’amministratore per un fatto-reato sin dall’inizio imprevedibile ed inevitabile.
Una seconda ipotesi delittuosa ascrivibile all’amministratore-committente nelle medesime dinamiche è, per ovvie ragioni, quella delle lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) che punisce chiunque cagioni ad altri, per colpa, una lesione personale, con un trattamento sanzionatorio più grave nel caso in cui il fatto sia commesso, anche in questo caso, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Trattasi di reato istantaneo che trova consumazione, normalmente, nel momento in cui insorge in capo alla vittima delle lesioni una malattia – ancorché non definitiva – nel corpo e/o nella integrità psichica, intesa come alterazione da cui derivino una serie di limitazioni funzionali o di significativi processi patologici nonché una apprezzabile compromissione delle funzioni dell’organismo.
Anche in questo caso, la condotta omissiva dell’amministratore che non abbia impedito il verificarsi delle lesioni in capo ad uno dei lavoratori o a terzi, deve integrare antecedente causale rispetto all’evento-reato, il quale non si sarebbe palesato se l’agente avesse preveduto e, di conseguenza, impedito con ogni mezzo la consumazione dello stesso.
In tema di lesioni aggravate cagionate a lavoratori di una ditta edile e a terzi, è possibile citare brevemente, a titolo d’esempio, un recente caso giurisprudenziale, inerente alcuni lavoratori di un’impresa edile aggiudicataria di contratto d’appalto in condominio i quali, in assenza di misure di protezione da rischio tossico e salvavita poiché sprovvisti di maschere e bombole d’ossigeno, si introducevano in una fossa biologica per eseguire lavori urgenti di straordinaria manutenzione per poi essere colti, non appena scesi nella fossa, da malore perdendo conoscenza nell’arco di pochi minuti, non essendo riusciti a mettersi in salvo.
Attirati dalle grida d’aiuto, giungevano in soccorso altri due operai, provenienti però da altro edificio limitrofo e pertanto in qualità di terzi, ed anche costoro venivano colti da malore a contatto con la fossa e con i gas tossici asfissianti, derivanti dal liquame residuo non completamente asportato.
Tutte le vittime venivano ricoverate per intossicazione acuta.
Orbene, con sentenza dd. 21.02.2018 il Tribunale di Firenze attribuiva la penale responsabilità all’amministratore condominiale, in quel frangente committente delle opere oggetto d’appalto e munito di autonomia d’azione e concreti poteri decisionali in forza di delibera assembleare, per aver cagionato lesioni personali ai dipendenti dell’impresa incaricata della pulizia del pozzo nero del condominio e, logicamente, degli altri due lavoratori sopraggiunti in soccorso degli stessi.
Il tribunale, nel particolare, rimarcava l’obbligo dell’amministratore di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti anche in relazione alla pericolosità delle opere da eseguirsi, nel caso de quo evidentemente non rispettato configurandosi così l’ipotesi di culpa in eligendo, con sottesa violazione dell’art. 90, c.9 di cui al D. Lgs n. 81/2008, non essendosi l’amministratore in questione nemmeno premurato di acquisire tutta la documentazione inerente la conformità alla normativa antinfortunistica delle attrezzature impiegate e dei dispositivi di protezione, né il DURC (documento di regolarità contributiva) o gli attestati inerenti la formazione dell’appaltatore in relazione a lavori da effettuarsi in fosse biologiche.
Nondimeno, osservando le caratteristiche sottese alle procedure d’appalto in ambito condominiale nonché gli oneri riconducibili all’amministratore-committente, non può non porsi in evidenza anche l’ipotesi delittuosa della rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.).
Tale fattispecie al primo comma (Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione) prevede un reato di pericolo presunto, che tutela il bene giuridico dell’incolumità pubblica e dell’ambiente di lavoro il quale, come facilmente intuibile, può essere esposto a pericolo dalla mancata collocazione di attrezzature, impianti oppure segnali volti a prevenire infortuni sul lavoro oppure anche dalla successiva rimozione o danneggiamento degli stessi.
La condotta omissiva appena descritta, quindi, assume rilievo delittuoso ogniqualvolta riconducibile a chi detiene l’obbligo di collocare i predetti impianti, apparecchi o segnali – o a chi avrebbe dovuto collocarli dietro incarico conferito dal soggetto giuridicamente obbligato – ed al contempo si rinvengano libera e cosciente volontà ed intenzione di violare il proprio obbligo giuridico, poiché risulta sufficiente la mera consapevolezza dell’omissione e la rappresentazione del pericolo per la sicurezza ambientale, non già, invece, l’intenzione di arrecare danno alle persone.
La norma, infatti, persegue esplicitamente qualsiasi rimozione od omissione dolosa delle cautele necessarie alla prevenzione di infortuni sul lavoro con particolare riguardo, in ogni caso, per le persone che agiscono nello specifico ambiente di lavoro ed esclusione conseguente, dall’ambito applicativo della norma, dei terzi estranei.
La forma omissiva di tale reato, quindi, presuppone una concreta ed effettiva violazione dell’obbligo giuridico di collocare gli strumenti imposti dalla normativa, nonché “il mancato, consapevole, ripristino di apparecchiature antinfortunistiche, che a causa di precedente manomissione abbiano perduto la loro efficacia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.” (vv. C. Cassaz., sez. pen., n. 28850 dd. 11 giugno 2009).
Infine, giova precisare che la residua disposizione di cui al comma 2 (Se dal fatto deriva un infortunio o un disastro la pena della reclusione è da tre a dieci anni) dell’articolo in oggetto prevede, al contempo, una e vera e propria ipotesi di concorso formale di reati, laddove la produzione di un disastro o di un infortunio consequenziale risulta estranea al dolo poiché integra, in realtà, una mera circostanza aggravante (generando un reato aggravato dall’evento), ascrivibile all’agente unicamente per il proprio verificarsi in conseguenza dell’omissione posta in essere.
Si pone, inoltre, in evidenza l’omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro (art. 451 c.p.) che si palesa in tutti i casi in cui le omissioni o rimozioni ineriscono gli strumenti di soccorso da impiegare in concomitanza con infortuni già verificatisi, al fine, quindi, di limitare le conseguenze aggiuntive che possono derivare dalla commissione dell’illecito penale di cui al già richiamato art. 437 c.p.
Anche in questo caso, si tratta di reato di pericolo, configurabile anche in assenza del verificarsi degli eventi previsti dalla norma stessa, nonché riferibile ad un numero di persone indeterminato, elemento che, tuttavia, non determina la necessaria compresenza di una pluralità più o meno ampia di lavoratori, ma soltanto l’onere di salvaguardia dal pericolo di infortuni di tutti i lavoratori momentaneamente attivi nelle opere oggetto d’appalto (vv. C. Cassaz., sez. pen., n.7175 dd. 18 luglio 1996).
Un tipico caso pratico nel quale l’amministratore di condominio può incorrere nella commissione del reato di cui all’art. 451 c.p. si verifica quando costui – dovendosi realizzare una serie di interventi manutentivi in sopraelevazione – non provvede, per negligenza, imprudenza o imperizia, a far installare la cd. linea vita (cioè un insieme di ancoraggi in quota ai quali è possibile agganciare le imbracature dei lavoratori per mezzo di appositi cordini) sul tetto dell’edificio condominiale, adempimento obbligatorio ai sensi dell’art.115 del D. Lgs n. 81/2008 per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro ogniqualvolta non sia possibile installare, per maggiore sicurezza dei lavoratori stessi, dei ponteggi o delle piattaforme aeree (che rappresentano infatti le misure più efficaci nella protezione collettiva degli operai).
A completamento delle ipotesi penalmente riconducibili in capo all’amministratore-committente, giova riservare uno spazio anche ai cd. reati comuni di pericolo che ben possono verificarsi nel corso dello svolgimento delle opere e dei servizi oggetto del contratto stipulato tra amministratore, condominio ed impresa appaltatrice.
L’art. 449 c.p., infatti, disciplina i delitti colposi di danno prevedendo che “Chiunque cagiona per colpa un incendio o un altro disastro…è punito con la reclusione.’’.
Si tratta di una fattispecie colposa omissiva, la cui configurabilità richiede preliminarmente l’individuazione di uno o più soggetti titolari di una posizione di garanzia con l’obbligo giuridico di impedire un determinato evento offensivo di beni altrui poiché muniti di adeguati poteri.
In materia di pericoli per edifici o costruzioni si può generalmente ipotizzare che per l’amministratore di condominio la posizione di garanzia investa solo le parti comuni degli edifici oggetto di comunione giuridica, per come derivante dal dettato di cui all’art. 1130, comma 1, n. 4 c.c. che pone a carico di costui il dovere di compiere gli atti conservativi dei diritti alle stesse riferibili, che si estende a tutti gli atti necessari a mantenere l’esistenza e l’integrità di tali diritti, dai quali emerge, perciò, l’obbligo generale di non esporre le predette parti comuni a pericoli concreti di disastro colposo.
Inoltre, poiché l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è la colpa, anche in questo caso assume primario rilievo il già richiamato giudizio di prevedibilità, in merito al quale “va considerata anche la sola possibilità per il soggetto di rappresentarsi una categoria di danni sia pure indistinta potenzialmente derivante dalla sua condotta, tale che avrebbe dovuto convincerlo ad adottare più sicure regole di prevenzione: in altri termini, ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita a una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione” (vv. C. Cassaz., sez. pen., n. 40785 dd. 31 ottobre 2008).
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Manuel Massimiliano La Placa
Dottore in Giurisprudenza, Amministratore Condominiale Professionista e Praticante Avvocato.
Laurea magistrale conseguita presso l'Università degli Studi di Trieste con tesi sperimentale in diritto tributario, Relatore Ch. mo Prof. Avv. Dario Stevanato.
Si occupa, nel particolare, di diritto civile, condominiale e tributario.