Appalto: la presa in consegna dell’opera non equivale ad accettazione tacita
Cass. Civ., sez. III, 10 novembre 2015, n. 22879
a cura di Claudia Tufano
Il fatto
Due società stipulavano un contratto d’appalto in virtù del quale, l’una doveva effettuare dei lavori di tintura di un tessuto definito gogo bianco a vantaggio dell’altra società. La società committente, dopo aver preso in consegna l’opera, rilevava difetti che rendevano la stessa inutilizzabile, pertanto chiedeva ed otteneva, dai giudici dei primi due gradi di giudizio, la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno. La società appaltatrice proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello.
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La decisione
La Sezione III della Corte di Cassazione rigetta il ricorso della società soccombente. I giudici, in primo luogo, rilevano che dalle risultanze probatorie risulta chiaro ed evidente che la lavorazione del tessuto, oggetto del contratto, non era stata eseguita correttamente dalla società ricorrente. Tale aspetto, infatti, era sufficiente ad escludere l’accettazione tacita dell’opera da parte della committente una volta che la società stessa aveva ricevuto il bene. Infatti, precisano gli Ermellini, affinché ci sia accettazione per facta concludentia, è necessario che alla consegna dell’opera si accompagni un comportamento tenuto dalla committente o da un soggetto abilitato rivolto all’appaltatore incompatibile con la volontà di rifiutare l’opera, condizione che, nel caso in esame, non risultava affatto provata. I giudici hanno, inoltre, modo di precisare la portata dell’art. 1665 4°co. c.c., come invocata dalla società ricorrente, Si osserva, infatti, che la norma in questione pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, richiede sia la consegna dell’opera al committente (come vera e propria immissione nel possesso), sia come fatto concludente concludente la “ricezione senza riserve” da parte dell’appaltante, anche se non si è proceduto alla verifica. Riprendendo quanto già specificato da consolidata giurisprudenza, i giudici ribadiscono la necessità di distinguere l’atto di “consegna” dall’atto di “accettazione”: il primo è atto puramente materiale che corrisponde alla messa a disposizione del bene nelle mani del committente; il secondo presuppone un giudizio, seppur implicito, di gradimento dell’opera stessa da parte dell’appaltante. Così chiarito, in tema di appalto, la presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad un’accettazione, anche tacita, senza verifica e senza riserve della stessa, ex art. 1665 4°co c.c., essendo necessario accertare in concreto se nel comportamento delle parti siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera senza riserve.
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Nel caso di specie risulta accertato che non sussiste l’idoneità di alcun atto o comportamento tale da far ritenere esistente un gradimento della società committente rispetto all’opera eseguita da parte della società appaltatrice, né tale comportamento può dirsi sussistente per l’accettazione tacita del tessuto da parte dei propri dipendenti per mancanza, da parte di questi ultimi, del potere di agire per conto della società appaltante.
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Claudia Tufano
Nata a Napoli nel 1987, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel luglio 2012, presso l'Università degli studi Federico II di Napoli, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Commento alla sent. TAR Umbria n. 23/2010. L'abusivismo edilizio", relatore Prof. Lorenzo Liguori. Da novembre 2012 a maggio 2014 inizia il tirocinio forense presso uno studio legale, occupandosi prevalentemente di contenzioso amministrativo e civile. Nel luglio 2014 consegue il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali. Nel gennaio 2016 è abilitata all'esercizio della professione forense.