L’applicazione dell’art. 384 c.p. al convivente more uxorio
Sommario: 1. L’introduzione all’art. 384 c.p. – 2. Il problema della natura giuridica e le due tesi principali – 3. Art. 384 c.p. e analogia – 4. L’applicabilità al convivente more uxorio
1. Introduzione all’art. 384 c.p.
L’art. 384 c.p. codifica una particolare causa di non punibilità in favore di chi abbia commesso taluno dei delitti contro l’amministrazione della giustizia per salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un “grave e inevitabile nocumento” nella libertà e nell’onore secondo il noto brocardo <<nemo tenetur se detergere>>.
2. Il problema della natura giuridica e le due tesi principali
Il punto di partenza dell’indagine, per poter comprendere se l’operatività di tale disposizione possa applicarsi o meno al convivente more uxorio (dal momento che la legge parla solo di “prossimo congiunto”) è la qualificazione della sua natura giuridica, sulla quale si è sviluppato, nel corso degli anni, un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Si sono, in particolare, contrapposte due tesi:
– la prima, tesi oggettiva, che conferisce alla norma la natura di scriminante, considerata alla stregua di una ipotesi speciale dello stato di necessità (art. 54 c.p.): i fautori di tale tesi ritengono che, per l’applicazione dell’art. 384 c.p., debbano essere rispettati, in virtù dell’asserito rapporto di specialità, i requisiti richiesti dall’art. 54 c.p., vale a dire la “non volontaria causazione del pericolo” e il “bilanciamento tra interessi in conflitto”.
– la seconda, tesi soggettiva, nonché quella seguita dalla giurisprudenza maggioritaria, ritiene che la causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. abbia natura soggettiva, trattandosi di una pressione psicologica che affligge il dichiarante e che incide sul processo motivazionale. Non vi è alcun bilanciamento di interessi, ma una particolare situazione soggettiva nella quale versa l’agente e tale da rendere inesigibile un comportamento conforme alla norma. La naturale conseguenza dell’adesione a questa tesi, è l’applicazione del 384 c.p. prescindendo dai requisiti di cui all’art. 54 c.p.
3. Art. 384 c.p. e analogia
Questo dibattito ha dei risvolti importanti circa l’applicazione e la perimetrazione dell’ambito soggettivo dell’art. 384 c.p. al convivente more uxorio. Ciò perché dall’adesione all’una o all’altra tesi discende una diversa operatività dell’istituto dell’analogia.
Sull’estensione analogica della disposizione, si è pronunciata la corte di Cassazione nel 2006, la quale, aderendo alla tesi soggettiva (cfr. Cass., sez. VI n. 35967/2006), ha decisamente negato la possibilità di una applicazione analogica dell’art. 384 c.p. ai casi non espressamente previsti dalla disposizione in quanto, essendo norma eccezionale, non può trovare applicazione oltre i casi in essa esplicitamente considerati ex art. 14 preleggi che prevede il divieto di analogia.
4. L’applicabilità al convivente more uxorio
Tale dibattito, circa l’eventuale analogia dell’art. 384 c.p., ha assunto una rinnovata centralità negli ultimi anni in seguito all’emersione del problema relativo alla possibilità di applicare la causa di non punibilità anche in favore del convivente more uxorio (soggetto che, ricordiamo, non rientra formalmente nella nozione di prossimo congiunto fornita dal codice penale).
Chiamate nuovamente a pronunciarsi sulla questione, le SS.UU. hanno accolto una tesi intermedia, affermando che l’art. 384 c.p. rappresenta sì una causa di esclusione della colpevolezza, che, essendo espressione di alcuni principi generali dell’ordinamento (nemo tenetur se detergere) collegati al principio di colpevolezza ex art. 27 Costituzione (e non quindi, una norma eccezionale) ne giustifica la possibilità di estensione in via analogica anche al convivente more uxorio (cfr. Sez. Un. sent. 10381/2021 Fialova).
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