Art. 131 bis c.p. e soglie di punibilità
Con l’introduzione dell’art. 131bis c.p., avvenuta ad opera del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, il legislatore ha predisposto una nuova causa di non punibilità per i reati sanzionati con pena detentiva non superiore a cinque anni ovvero con pena pecuniaria (sola o congiunta al quella detentiva). In relazione agli illeciti rientranti nell’ambito applicativo della norma, l’ordinamento rinuncia dunque a punire quei comportamenti non abituali che, per le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, rivelano una modesta carica offensiva.
L’inserimento della nuova disposizione risponde ad una duplice esigenza. In primo luogo, esso mira alla deflazione del contenzioso penale, in un’ottica di economia processuale. In questo senso si assicura la non punibilità di quelle condotte che in concreto si traducono in una limitata offesa al bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice. D’altro canto, la novella garantisce un’equa proporzione tra disvalore del fatto e risposta sanzionatoria dell’ordinamento, il quale rinuncia a punire fatti giudicati immeritevoli.
A tal proposito, l’art. 131bis introduce una serie di criteri che rendono più trasparente l’indagine in ordine all’effettiva lesione o messa in pericolo dell’interesse protetto, in precedenza rimessa alla libera discrezionalità del giudice. Detti parametri, in particolare, sono individuati nella “modalità della condotta” e nella “esiguità del danno e del pericolo”, unite alla “non abitualità del comportamento”. Compito dell’interprete è quello di apprezzarne la sussistenza utilizzando anche gli indici interpretativi forniti dall’art. 133 c.p. Lo stesso art. 131bis elenca inoltre una serie di situazioni che precludono al giudicante una valutazione di particolare tenuità, conferendo in tal modo maggiore certezza e minor carattere discrezionale all’indagine stessa.
L’istituto in parola ha natura sostanziale, come può desumersi da una serie di indicazioni evidenziate anche dalla giurisprudenza di legittimità. In primis, si noti la collocazione sistematica della nuova disposizione, inserita all’interno del Libro I, Titolo V del codice penale, ove si colloca la disciplina riguardante la modificazione, applicazione ed esecuzione della pena. In secondo luogo, deve sottolinearsi il tenore letterale della norma, che si esprime in termini di “punibilità” e non di “procedibilità”. Si consideri, infine, che il giudizio di particolare tenuità del fatto presuppone l’esistenza di un’offesa al bene giuridico tutelato, intesa quale componente strutturale del reato.
Al riguardo, va osservato che l’introduzione dell’art. 131bis c.p. costituisce un’ulteriore conferma dell’esistenza (e dell’importanza) del principio di necessaria offensività all’interno dell’ordinamento giuridico. Sotto tale profilo, mette conto evidenziare che nel momento in cui si esclude la punibilità di fatti caratterizzati da una modesta carica lesiva, deve ragionevolmente negarsi la risposta sanzionatoria per quelle condotte che non cagionano un effettivo pregiudizio o pericolo per il bene protetto. A ciò va soggiunto che la novella esprime la precisa volontà del legislatore di considerare la stessa offensività quale elemento costitutivo dell’illecito penale. Essa, infatti, viene intesa dal legislatore alla stregua di una componente fondamentale del reato, configurato come fatto tipico, antigiuridico, colpevole e, appunto, offensivo.
Giova sottolineare, a questo punto, che la valutazione di particolare tenuità del fatto è ontologicamente diversa da quella di inoffensività del medesimo. Quest’ultima, invero, risulta decisiva ai fini della configurazione stessa del reato, del suo perfezionamento. In assenza di lesione o messa in pericolo del bene tutelato, la fattispecie incriminatrice non viene integrata. Al contrario, l’indagine ex art. 131bis non è volta ad accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito. Essa, invero, inerisce alla punibilità di un fatto già penalmente rilevante e, pertanto, già qualificato come reato perfetto.
Il giudizio in parola si presenta pertanto logicamente successivo rispetto all’accertamento dell’esistenza di una condotta effettivamente lesiva, in assenza della quale il fatto stesso non avrebbe rilievo dal punto di vista penale. In altri termini, compito del giudice è innanzitutto quello di accertare l’esistenza dell’offensività nel caso concreto e, quindi, di valutare se la fattispecie incriminatrice sia stata integrata o meno (avuto riguardo altresì degli altri elementi costitutivi del reato). Qualora detto giudizio abbia esito positivo, l’interprete è chiamato a valutare il grado dell’offesa al bene tutelato, al fine di decidere sulla punibilità o meno della condotta già qualificata come illecita.
Quanto appena affermato consente di affrontare il problema dell’applicabilità della norma in parola rispetto alle fattispecie astratte che prevedono soglie di punibilità. Ci sono casi, infatti, in cui il legislatore subordina il perfezionamento del reato o la sua punibilità al superamento di specifici limiti quantitativi. Ci si chiede, al riguardo, se in tali situazioni sia possibile una ulteriore valutazione circa la portata offensiva del fatto da eseguirsi in concreto ad opera del giudice, atteso che già in via astratta la legge prevede un confine rigido, superato il quale la condotta può dirsi senz’altro lesiva.
A questo proposito, va premesso che le soglie di punibilità non hanno una funzione omogenea all’interno dell’ordinamento. Esse, infatti, sono componenti della fattispecie penale che, combinandosi in vario modo con gli altri elementi della stessa, assumono a seconda dei casi un diverso valore. In particolare, il limite quantitativo può atteggiarsi alla stregua di elemento costitutivo del reato ovvero di condizione obiettiva di punibilità.
Si noti che in quest’ultimo caso la valutazione circa il superamento o meno della soglia possiede una valenza non dissimile dal giudizio discrezionale ex art. 131bis. In entrambi i casi, infatti, l’interprete indaga in relazione alla sanzionabilità o meno di un reato in sé già perfetto. Il superamento del limite quantitativo predisposto dal legislatore attiene, appunto, alla punibilità dell’illecito, traducendosi in un posterius rispetto al perfezionarsi di quest’ultimo. La soglia si configura come elemento esterno rispetto reato strutturalmente inteso, con la conseguenza che in tale circostanza risulterà preclusa l’applicabilità del 131bis c.p.
Proprio in virtù della valutazione già compiuta in via astratta, è chiaro che si escluderà ogni ulteriore indagine concreta circa il grado dell’offesa caratterizzante il fatto. Viene limitata, pertanto, la discrezionalità dell’organo giudicante, il quale è obbligato a sancire la punibilità di una condotta caratterizzata dal superamento, pur minimo, della soglia. Tanto affermato, a soluzione opposta si perviene nel momento in cui la soglia di punibilità rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice.
Va messo in evidenza che, in questo caso, il superamento del limite risulta necessario ai fini della configurazione del reato e, in particolare, della valutazione della condotta in termini di offensività. In altre parole, la soglia indica il quantum necessario per integrare l’offesa. Quest’ultima, come si è detto, è considerata dal legislatore come parte della struttura del reato. Ne consegue che, in caso di mancato superamento della soglia di punibilità, l’illecito penale non viene ad esistere, mancandone un elemento costitutivo.
A questo punto della trattazione, non può esimersi dal ribadire che il giudizio di offensività/inoffensività del fatto è diverso (e logicamente precedente) da quello inerente al grado dell’offesa medesima. Ciò consente di affermare che la presenza, all’interno della fattispecie astratta, della soglia di punibilità non esclude l’operatività dell’art. 131bis c.p. Accertato il superamento del limite quantitativo, il giudice dovrà ritenere integrata l’offesa, ma nulla gli impedisce di reputarla tenue e, quindi, non punibile. Pertanto, la presenza di tale elemento nella norma incriminatrice elimina la discrezionalità dell’interprete solo con riguardo al giudizio di offensività, rimanendo invece impregiudicata la libertà dell’organo giudicante di valutare il grado della lesione.
Quanto appena osservato viene sottoposto a critica da una parte della dottrina, che rileva come, in caso di previsione di una soglia di punibilità all’interno della fattispecie, il legislatore abbia già tracciato in via astratta una linea di demarcazione tra fatti meritevoli di sanzione e quelli non punibili perché penalmente inoffensivi. Risulterebbe preclusa al giudice, quindi, ogni valutazione discrezionale in merito.
A tal proposito, si considerino alcuni reati tributari per i quali la soglia di punibilità ha la precisa funzione di segnare il confine tra l’illecito amministrativo e quello penale. Solo in caso di superamento del limite, infatti, la condotta dell’agente è reputata penalmente rilevante. In caso contrario, al fatto consegue una mera sanzione amministrativa. In tale circostanza, si noti, apparirebbe irragionevole sancire la totale impunibilità di chi abbia superato di poco il confine di rilievo penale, sanzionando invece a livello amministrativo chi non l’abbia superato affatto. Detto problema potrebbe essere risolto estendendo la sanzione amministrativa anche al soggetto che abbia oltrepassato con minimo scarto la soglia di punibilità. Non può non rilevarsi, tuttavia, come tale soluzione si ponga in contrasto con il principio di legalità dell’illecito amministrativo, sancito dall’art. 1 l. 689/1981.
Mette conto ribadire tuttavia, al di là delle dissonanti voci dottrinali, che quando il legislatore assegna alla soglia di punibilità valore di elemento costitutivo della fattispecie penale astratta, non è precluso al giudice di merito il vaglio sulla tenuità dell’offesa ai sensi dell’art. 131bis. Milita a supporto di tale assunto anche il disposto normativo antecedente la novella del 2015. Si consideri, infatti, il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, prevista dall’art. 316ter del codice penale. Al comma secondo della disposizione si legge che “quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822”. Ebbene, giova sottolineare che, ai sensi del successivo art. 323bis, qualora l’organo giudicante reputi il fatto ex art. 316ter di particolare tenuità potrà diminuire la pena prevista. In questo caso, dunque, l’esiguità dell’offesa al bene giuridico tutelato rileva come circostanza attenuante del reato.
Ancora più incisivo si presenta un arresto della Corte costituzionale agli inizi degli anni ’90. Si tratta della sentenza n. 333/1991, in tema di detenzione di sostanze stupefacenti. Segnatamente, la pronuncia analizza il criterio di “dose media giornaliera” inerente al possesso delle droghe, previsto dal dettato normativo quale confine tra reato ed illecito amministrativo. Orbene, la Consulta ha affermato che il superamento del suddetto limite quantitativo non impedisce al giudice di merito di escludere la concreta lesione dei beni giuridicamente tutelati. Ciò è possibile, si noti, in caso di minima e trascurabile eccedenza rispetto alla soglia di punibilità. Deve rilevarsi, pertanto, che se si ammette un giudizio di inoffensività in concreto di una condotta che superi di poco la soglia di punibilità, non può precludersi a maggior ragione una valutazione di particolare tenuità di un’offesa comunque esistente.
In conclusione, assodata la natura sostanziale dell’istituto delineato dal nuovo art. 131bis, si sottolinea la compatibilità dello stesso con una soglia di punibilità che operi quale elemento costitutivo del reato. Tuttavia, qualora il suddetto limite quantitativo si atteggi come condizione obiettiva di punibilità, non sarà possibile per l’interprete valutare in concreto il grado dell’offesa al bene giuridico tutelato.
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Emanuele Carbonara
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