Art. 131 bis c.p. – Nuovi risvolti applicativi e rilevabilità d’ufficio
Al mio Dominus, a Dina.
1. L’istituto: natura e limiti normativi – 2. Nuovi risvolti applicativi – 3. Innovazione: sulla rilevabilità d’ufficio.
1. L’istituto: natura e limiti normativi
Come noto, attraverso il d.lgs. 16.3.2015 n. 28 è stato introdotto nell’ordinamento l’art. 131-bisp., ovvero il nuovo istituto della “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”.
Esso rappresenta una delle riforme introdotte nel sistema sanzionatorio penale in ottemperanza alla legge delega 28.4.2014, n. 67.
La rinuncia a perseguire il reato in ragione della lievità dell’offesa non è, ad ogni modo, un fatto nuovo; invero, la logica sottesa alla norma in esame non è di gran lunga difforme rispetto alla già consolidata “esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto” (art. 34 d.lgs. 28.8.2000, n. 274) [1] applicata nel procedimento penale di fronte al giudice di pace, ed alla “sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto” (art. 27 d.P.R. 22.9.1988, n. 448) [2]nel processo penale minorile.
La nuova disciplina, ispirata a finalità di deflazione del sistema penale nel suo complesso, è peraltro coerente con i principi di proporzione e di sussidiarietà, che notoriamente impongono, nell’ottica di un diritto penale inteso come ultima ratio, di rinunciare alla pena al cospetto di condotte che, per la loro esiguità, risultano “non meritevoli”, per l’appunto, di sanzione penale.
V’è da dire, che l’istituto disciplinato dall’art. 131-bis c.p. è applicabile sin dalle fase delle indagini preliminari[3]; infatti, per relazione, viene introdotta nel sistema penalistico un’ulteriore ipotesi di archiviazione del procedimento in sede di indagini preliminari (art. 411 co1 c.p.p.), sicché nasce pure un meccanismo di opposizione, che ricalca a grandi linee quello tipico della persona offesa.
In tal modo, vengono attribuite ex lege facoltà sia alla “persona offesa dal reato” sia allo stesso indagato; infatti, entrambi potranno, motivatamente (pena inammissibilità), dissentire, nel termine perentorio di 10 (dieci) giorni dalla notifica dell’iniziativa del Pubblico Ministero e, pertanto, essere sentiti dal G.I.P. in apposita udienza camerale.
Tale iter, è il riflesso del senso dell’istituto: infatti consente di evitare la celebrazione del processo penale per i fatti di sì tenue offesa, così da realizzare a pieno l’effetto deflattivo perseguito dal Legislatore.
Tuttavia, qualora l’azione penale abbia invece già preso il suo corso, in fase pre-dibattimentale è stata poi prevista la possibilità per il giudice di pronunciare sentenza di non doversi procedere, previa audizione della persona offesa, sempre nell’ipotesi che questa compaia (art. 469 c.p.p., il co. 1-bis c.p.p.).
Qualora invece il processo sia già incardinato in dibattimento, il giudice ex art. 651-bis c.p.p. potrà emettere la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità; v’è da dire che tale provvedimento avrà efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di danno.
Ferma la premessa procedimentale, preme soffermarsi, seppur brevemente, sulla natura dell’istituto giuridico in esame.
Ebbene, il d.lgs. n. 28/2015 importa un istituto inquadrabile tra le cause di non punibilità in senso stretto[4]; tale particolare ipotesi presuppone la perfetta realizzazione di un reato, nei limiti che si diranno, significando, allo stesso tempo, ragioni di opportunità che ne elidono l’applicazione della pena, lasciando peraltro impregiudicati gli effetti civili derivanti dal reato stesso.
È dunque importante precisare che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto presuppone l’esistenza, non solo di un fatto tipico antigiuridico, perfettamente realizzato e pure colpevole ma anche di un’offesa, che seppur tenue è sempre esistente.
Diversa invece è l’ipotesi in cui il fatto contestato sia privo di offensività, applicandosi, in questa speciale occasione, il riferimento codici stico di cui all’art.49 c.p. ovvero del “reato impossibile”.[5]
Tale precisazione è essenziale: infatti, in presenza di un fatto inoffensivo il giudice non potrà pronunciare una sentenza di assoluzione basata sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto, bensì dovrà motivare in ordine all’assenza dell’offesa e assolvere l’imputato con la relativa formula, ben più favorevole (“il fatto non sussiste”).
Tale conclusione è imposta prima che dall’art. 49 c.p., dal principio di offensività.[6]
Sulla base di quanto sopra si rende allora necessario, per il giudice, individuare la linea di confine tra l’inoffensività (mancanza di offensività) e la particolare tenuità del fatto.
A tal proposito va segnalato come ragioni di giustizia sostanziale hanno indotto una parte della giurisprudenza ad estendere l’ambito della categoria dell’inoffensività alle ipotesi di offesa esistente, seppur minima.
Simili casi, prima fatti rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 49 c.p., possono oggi essere ricompresi pieno titolo nel campo di operatività del nuovo istituto di cui all’art. 131-bis c.p.
Quanto all’alveo di applicabilità, l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. può trovare applicazione in relazione a qualsivoglia reato[7], nel rispetto però dei limiti edittali che lo contornano in segnati limiti.
La causa di non punibilità, infatti, riguarda i soli reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva.
V’è da dire che l’art. 131-bis non menziona il tentativo; tuttavia la nuova causa di non punibilità è da considerare applicabile al delitto tentato, che costituisce una figura autonoma di reato, con una propria cornice edittale.
I presupposti applicativi del nuovo istituto sono due: la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Si tratta di due requisiti: il primo, oggettivo, riguardante il fatto di reato e il secondo, soggettivo, attiene all’autore.
Tali requisiti devono necessariamente sussistere congiuntamente.
La sussistenza del presupposto della particolare tenuità dell’offesa deve essere desunta, ai sensi dell’art. 131-bis co. 1 c.p., sulla base di due “indici-requisiti”: le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi ai sensi dell’art. 133 co. 1 c.p.
Invece, il requisito attinente al comportamento non abituale dell’autore, sottende esigenze di speciale prevenzione.
Dipoi, in relazione al presupposto attinente all’entità dell’offesa, l’art. 131-bis co 2 c.p. espressamente prevede che quest’ultima non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà anche in danno di animali, quando ha adoperato sevizie o ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
2. Nuovi risvolti applicativi
APPLICABILITA’ AI REATI TRIBUTARI
Riferimento: Cassazione penale, sez. III, sentenza 20/12/2016 n° 53905
La Sentenza sopra emarginata evidenzia come la fattispecie di cui all’art. 2, comma terzo, d. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (applicabile ai fatti anteriori al 14 settembre 2011, in quanto abrogata dal D.L. n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011) ha natura di circostanza attenuante ad effetto speciale del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui al comma primo dello stesso articolo (e non di fattispecie autonoma di reato), con la conseguenza che ai sensi dell’art. 131 bis comma 3 del cod. pen. l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto risulta applicabile per essere la pena edittale non superiore nel massimo ai 5 anni di reclusione (pena da sei mesi ad anni due di reclusione).
APPLICABILITA’ AI PROCEDIMENTI INNANZI AL GIUDICE DI PACE
Riferimento: Cassazione penale, sez. V, sentenza 28/02/2017 n° 9713
L’arresto giurisprudenziale sopra richiamato, disattende tutti i precedenti giurisprudenziali che negavano l’applicabilità dell’istituto in esame ai procedimenti penali innanzi al giudice di pace in considerazione della specifica norma di cui all’art. 34 D. lgs. N. 274/2000, afferma invece come gli istituti citati siano in effetti del tutto diversi. L’art. 131 bis c.p. invero prevede una causa di esclusione della punibilità allorché l’offesa all’interesse protetto sia particolarmente tenue; l’art. 34, di contro, contempla una causa di esclusione della procedibilità quando il fatto sia di particolare tenuità. Secondo la giurisprudenza tali differenze non sono di poco conto, perché “il fatto” previsto dall’art. 34 può non essere di particolare tenuità per mancanza di occasionalità, mentre il diverso ruolo insito nell’art. 34, dall’interesse della persona offesa colloca i due istituti su piani diversi di praticabilità, subordinando l’operatività di quest’ultimo ad una valutazione più ampia di quella richiesta dall’art. 131 bis c.p., che, invece, è ancorato essenzialmente al grado dell’offesa.
3. Innovazione: sulla rilevabilità d’ufficio
Riferimento: Cassazione Penale, Sez. III, 14 febbraio 2017 (ud. 28 aprile 2016), n. 6870
Con la Sentenza sopra citata, gli Ermellini hanno introdotto un nuovo principio di diritto.
La Corte evidenzia che qualora il tema afferente all’applicabilità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto non sia stato proposto in sede di gravame, in quanto introdotto da disposizione all’epoca non ancora vigente, può essere dedotto in sede di legittimità ed ivi può essere altresì rilevato d’ufficio ai sensi dell’art. 609, co. 2 , cod. proc. pen., anche nell’ipotesi di ricorso inammissibile.
Infatti, la natura sostanziale della disposizione introdotta e la propria evidente connotazione di Legge più favorevole al reo, non solo ne comportano l’estensione a tutte le fattispecie, sia pure verificatesi in epoca antecedente alla entrata in vigore del nuovo art. 131-bis cod. pen. ( fatti salvi i limiti di cui all’art. 2, co. 4, cod. pen.), ma ne impongono la valutazione d’ufficio da parte del giudicante, in qualsiasi stato ed in qualunque fase del giudizio, salva la eventuale formazione del giudicato, anche implicito, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità.
In tal senso, tuttavia, occorre ribadire che se la questione non è stata esaminata in sede di primo grado e,dunque, non ha formato oggetto di impugnazione, la medesima non potrà essere sollevata ex novo sotto il profilo della omessa motivazione ovvero come violazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., trattandosi di questione ormai divenuta, per effetto della acquiescenza sul punto dell’appellante alla decisione del giudice di primo grado, irrevocabile anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. 4, cod. pen.[8]
[1] Art. 34. Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto. “1. Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato. 2. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d’archiviazione non 2 doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento. 3. Se è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono.”
Per approfondimenti: NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO, Voce per “Il libro dell’anno del diritto Treccani 2016” di Giulia Alberti.
Secondo l’intento del legislatore del decreto 274, l’istituto della “particolare tenuità del fatto” intende fornire una risposta alle necessitate istanze di deflazione, senza comunque incidere sull’obbligo di esercizio dell’azione penale; tuttavia, la sua applicazione è stata circoscritta intenzionalmente al GdP “allo scopo di saggiare la praticabilità di eventuali, successive estensioni applicative”.
A ben vedere, l’art. 34 contiene il riferimento alla disposizione dell’art. 27 del procedimento penale minorile, dove si consente l’adozione di una sentenza di proscioglimento per irrilevanza penale del fatto, legata alla tenuità dell’illecito e all’occasionalità della condotta, “quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne”. In queste particolari circostanze “il fatto, seppure offensivo, risulterebbe graduabile ‘verso il basso’ in termini di complessivo disvalore, così da non giustificare l’esercizio dell’azione penale”.
Benché la norma presuppone l’esistenza di un fatto tipico, antigiuridico ed anche colpevole colpevole, tuttavia segnato da una generale esiguità lesiva e affiancato dall’inesistenza di un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento (in astratto, dunque, non c’è mai rinuncia aprioristica all’esercizio dell’azione).
Sulla scorta di un esempio citato nella relazione delle Legge 274, la fattispecie descritta nell’art. 582 c.p. non è “bagatellare”, perché sanziona comportamenti sicuramente meritevoli di sanzione penale; tuttavia, possono essere posti in essere, in concreto, episodi di lesione contrassegnati da una particolare tenuità di offesa (derivante dalla esiguità dell’offesa e della colpevolezza) che non consentono, in questa ipotesi, l’esercizio dell’azione penale.
Preme rilevare che in questi casi, la discrezionalità ha comunque un peso specifico ed è svincolata da stringenti necessità di motivazione, persino nelle massime giurisprudenziali.
Sul punto: “la previsione contenuta nell’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 (Procedimento penale davanti al giudice di pace), in forza della quale viene attribuito al giudice il potere-dovere di chiudere il procedimento, sia prima che dopo l’esercizio dell’azione penale, quando il fatto incriminato risulti di “particolare tenuità”, rispetto all’interesse tutelato, e tale per l’effetto da non giustificare l’esercizio o la prosecuzione dell’azione penale, configura un potere discrezionale del giudice, il cui mancato esercizio non impone al giudicante una esplicita motivazione, laddove l’applicabilità dell’istituto non sia stata invocata dall’interessato” (Cass., sez. IV, 25 settembre 2007 , n. 44766). Per approfondimenti: Definizioni alternative del procedimento: particolare tenuità del fatto, Ordine avvocati di Velletri.
[2] Per approfondimenti: http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/minori/imperial/cap2.htm
[3] Per approfondimenti: http://www.diritto.it/docs/37919-l-esclusione-di-punibilit-per-particolare-tenuit-rinunciabile-da-parte-dell-indagato-o-dell-imputato-sulla-rinunciabilit-all-art-131-bis-c-p-dell-indagato-ovvero-dell-imputato?ref_id=34817&ref_key=ac6f1428c8a8e5c6e6e80e8f5339a587
[4] Così Cass. 16.9.2015, Barrara, in CEDCass, m. 265224; Cass. 25.2.2016, Tushai; R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in DPP 2015, 659 s.; M. Daniele, L’archiviazione per tenuità del fatto fra velleità deflattive ed equilibrismi procedimentali, in AA.VV., I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, a cura di S. Quattrocolo, Torino 2015, 42 s.; P. Gaeta – A. Macchia, Tra nobili assiologie costituzionali e delicate criticità applicative: riflessioni sparse sulla non punibilità per “partico-lare tenuità del fatto”, in CP 2015, 2595 s.; A. Gullo, La particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis Cp, in AA.VV., I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, cit., 9 s.; A. Marandola, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, in DPP 2015, 795;
[5] Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato. La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione)o per la inesistenza dell’oggetto di essa è impossibile l’evento dannoso o pericoloso. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso. Nel caso indicato nel primo capoverso, il giudice può ordinare che l’imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza.
[6] Ogni precetto penale deve essere inteso nell’ottica della c.d. «concezione realistica» del reato, la quale espunge dalla fattispecie punibile – ancorché astrattamente rispondente alla figura edittale – qualsiasi condotta che manchi di qualsiasi idoneità a recare pregiudizio o pericolo di pregiudizio all’interesse protetto. L’idoneità offensiva può consistere anche nella concreta esposizione a pericolo di un bene. La Corte costituzionale, infatti, ha ribadito la compatibilità costituzionale di forme di tutela avanzata, che colpiscano l’aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, ricordando che le soluzioni individuate dal legislatore devono comunque misurarsi con l’esigenza di rispettare il principio di necessaria offensività del reato. Alla Corte spetta procedere alla verifica dell’offensività “in astratto”, accertando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo (esigenza che, nell’ipotesi del ricorso al modello del reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit). Al giudice ordinario, invece, resta affidato il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa ed evitare che l’area di operatività dell’incriminazione si espanda a condotte prive di un’apprezzabile potenzialità lesiva (Corte cost. 205/2008). Le Sezioni unite della Cassazione, dal canto loro, hanno aderito integralmente all’impostazione del giudice delle leggi, precisando che in ossequio al principio di offensività inteso nella sua accezione concreta, spetta al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva. La condotta è inoffensiva soltanto se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in rado minimo (irrilevante, infatti, è a tal fine il grado dell’offesa) (Cass. S.U. 28605/2008). PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ E REATI DI PERICOLO a cura di Massimiliano Di Pirro.
[7] Sulla applicazione in generale del disposto così si è espressa la S.C.: “l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata, con annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito, in caso di valutazione positiva… Il legislatore ha posto l’istituto in parola nel contesto della parte generale del codice penale, con evidente intento di attribuirgli valenza non limitata a talune fattispecie di reato… Non appare quindi seriamente dubitabile che l’istituto in parola possa – debba – trovare applicazione a tutti i reati (anche a quelli che tradizionalmente si indicano come “reati senza offesa”, attesa la necessaria interpretazione che degli stessi deve darsi in chiave di offensività: si veda, tra le altre, C. cost. n. 265/2005); d’altro canto, questa Corte ha già statuito che la particolare tenuità del fatto, concretizzatasi nella nota causa di improcedibilità di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, trova applicazione anche in riferimento ai reati di pericolo astratto o presunto e segnatamente al reato di guida in stato di ebbrezza. Ciò in quanto anche per essi il principio di necessaria offensività consente l’individuazione in concreto di un’offesa anche minima al bene protetto, e perchè la particolare tenuità si apprezza per mezzo di un giudizio sintetico sul fatto concreto, elaborato alla luce di tutti gli elementi normativamente indicati” (Sent. n. 44132/2015).
[8] S. Treglia, Sulla rilevabilità d’ufficio della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 3
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Valeria Picaro
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