ART 42 bis, D. P. R. n. 327/2001: un istituto controverso
Nel campo del diritto amministrativo, uno degli istituti al contempo più importanti e complessi è quello dell’espropriazione per pubblica utilità. La centralità e la complessità di tale figura dipende dalla molteplicità di interessi coinvolti che assumono rilevanza sia sul piano privato che sul piano pubblico, e dalla poliedricità delle fonti, nazionali e sovranazionali, che disciplinano il diritto di proprietà.
Sul piano interno la proprietà è tutelata a livello costituzionale dall’art. 42 che prevede che: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
L’aspetto prevalente che viene in rilievo è quello relativo alla funzione sociale del diritto di proprietà. Da tale disposizione, infatti, si comprende come la proprietà, oltre ad essere funzionale a garantire lo sviluppo della personalità umana e a provvedere al fabbisogno dell’uomo, è connotata dal dover assolvere anche a funzioni sociali e quindi dal dover essere al servizio di interessi della collettività e sopraindividuali.
Mentre la Costituzione italiana del ’48 disciplina il diritto di proprietà collocandolo nel titolo relativo ai rapporti economici, la CEDU, ossia la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali stipulata a Roma nel 1950, lo annovera tra i diritti fondamentali dell’uomo. In particolare, l’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU, prevede che: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
Uno degli aspetti più problematici di tale disciplina, che è oggetto di tale trattazione, è l’istituto dell’acquisizione in sanatoria. Riguardo quest’ultimo si fa riferimento a tutte quelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione occupa un suolo privato, o in assenza di un atto espropriativo o quando siano stati annullati l’atto da cui è sorto il vincolo preordinato all’espropriazione o la dichiarazione di pubblica utilità o il decreto di esproprio, modificando irreversibilmente il fondo e paralizzando, quindi, la domanda restitutoria del proprietario.
Tali fattispecie ponevano non pochi problemi in quanto dalle disposizioni in materia di espropriazione si comprende come opera una vera e propria riserva di legge, in quanto la p. a. non può porre in essere una vicenda ablativa se non sussiste un’espressa disposizione legislativa attributiva di tale potere ablatorio. Inoltre, tale potere può essere esercitato unicamente all’esito di un procedimento amministrativo che è caratterizzato da una serie di provvedimenti che si susseguono l’un con l’altro in un rapporto temporale e logico, e da stringenti termini.
È chiaro che nel caso delle c.d. occupazioni usurpative e acquisitive si pone un problema di contrasto con il principio di legalità, con il diritto di proprietà costituzionalmente tutelato e con i principi di cui alla CEDU, che fungono da norme interposte nell’ordinamento italiano attraverso l’art. 117 Cost.
Il legislatore nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, ossia il D. P. R. n. 327 del 2001, aveva introdotto l’art. 43 rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico” con il quale aveva affrontato il problema dell’occupazione appropriativa, dando la possibilità alla pubblica amministrazione di acquistare in sanatoria la proprietà dell’immobile illegittimamente espropriato e irreversibilmente modificato.
Ovviamente tale istituto destò non poche perplessità in quanto introduceva un’ipotesi di espropriazione indiretta più volte censurata dalla Corte di Strasburgo, la quale riteneva che la violazione della CEDU derivava dal vizio ab origine consistente nell’acquisto del diritto di proprietà sulla base di un atto illecito (posto che era avvenuto in assenza di un provvedimento legittimo), a prescindere dall’intervenuta successiva sanatoria.
La Consulta, anche senza entrare nel merito, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 43 per eccesso di delega ai sensi dell’art. 76 Cost., con la sentenza n. 293 del 2010.
Alla luce di tale contesto il legislatore, prendendo atto della pronuncia della Corte Costituzionale, ha introdotto l’art. 42 bis nel testo unico, con il D.L. n. 98 del 2011, convertito con la L. n. 111 del 2011. Con tale disposizione si sono superate tutte le precedenti censure posto che si è introdotto un procedimento espropriativo semplificato e sui generis, sostenuto da una precisa base legale, semplificato nella struttura, complesso negli effetti (che si producono ex nunc), il cui scopo non è quello di sanare un precedente atto illecito della p. a. (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), ma quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione illecita, consistente nella realizzazione di interessi pubblici. Con tale novella normativa quindi si ha un’espropriazione semplificata, regolamentata da norme precise, eque, giuste e prevedibili che prevedono una motivazione rafforzata del provvedimento di acquisizione sanante, un procedimento garantista con una partecipazione intensa del privato, l’acquisto della proprietà ex nunc, due tutele economiche per l’espropriato e l’eliminazione della possibilità dell’espropriazione durante il processo.
Le particolarità dell’istituto in questione si traggono dal fatto che opera sia quando manchi del tutto l’atto espropriativo, sia in relazione alle ipotesi in cui vi è stato l’annullamento dell’atto da cui è sorto il vincolo espropriativo o della dichiarazione di pubblica utilità o del decreto di esproprio, e, soprattutto, dalla doppia tutela economica. Relativamente a quest’ultima si comprende come il provvedimento ex art. 42 bis non ha un’efficacia sanante dell’occupazione illecita ma è un atto che è autonomo rispetto al comportamento illecito della p.a. e che si va a sostituire al decreto di esproprio. Ciò spiega la duplicità delle obbligazioni patrimoniali che sorgono in capo alla pubblica amministrazione, una risarcitoria derivante dal precedente e non sanato comportamento illecito concernente il danno derivante dall’indebito impossessamento dell’immobile, e una indennitaria discendente dal legittimo provvedimento di espropriazione di cui all’art. 42 bis.
L’art. 42 bis nello specifico prevede che: “[1] Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene. [2] Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo. [3] Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma. [4] Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma. [5] Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell’autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene. [6] Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia. [7] L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo nè dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale. [8] Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.”
Un aspetto che ha posto dei problemi è stato anche quello della possibilità o meno per il giudice, in sede di giudizio di ottemperanza per l’esecuzione di un giudicato di annullamento di una procedura espropriativa, di imporre alla p. a. l’adozione del provvedimento di acquisto in sanatoria di cui all’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001. A tal proposito è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2 del 2016. I giudici di Palazzo Spada hanno affermato che la possibilità di emanazione del provvedimento ex art. 42 bis in sede di ottemperanza, da parte del giudice amministrativo o per esso dal commissario ad acta, non può essere ritenuta possibile in via assoluta, ma al contrario dipende dal contesto processuale e dal giudicato amministrativo che viene in rilievo. Naturalmente la possibilità sarà preclusa ove si tratti di un giudicato restitutorio, e al contrario sarà consentita l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis se lo stesso giudicato predichi tale possibilità, ferma restando la discrezionalità della pubblica amministrazione.
È facile constatare come si tratti di un istituto tutt’oggi controverso posto che è connotato da molteplici riflessi di complessità e posto che coinvolge diritti tutelati sul piano costituzionale e sovranazionale, quale quello di proprietà.
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Silvia Leone
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