Art. 583 quinquies c.p.: riflessioni tra vecchia e nuova disciplina

Art. 583 quinquies c.p.: riflessioni tra vecchia e nuova disciplina

Il reato p. e p. all’art. 583-quinquies, rubricato “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, è stato introdotto nel nostro codice penale solo di recente, con l’entrata in vigore della Legge n. 69/2019, meglio conosciuta come Legge “Codice rosso”.

Con tale legge, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia delle vittime di violenza domestica e di genere”, il legislatore italiano ha espressamente disciplinato la materia per la prima volta, recependo le innovazioni normative sovrannazionali sancite dapprima dalla Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011 (ratificata dall’Italia con la L. del 27.6.2013 n. 77); poi dalla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, istituente norme in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di violenze domestiche e di genere (attuata dall’Italia con D.Lgs. del 15.12.2015 n. 212).

In particolare il legislatore nazionale ha introdotto nel nostro ordinamento specifici interventi sul codice di rito, tesi a rendere più celeri le indagini e i procedimenti giudiziari relativi ai reati di maggiore gravità, attraverso l’individuazione di nuovi adempimenti istruttori che le autorità preposte sono chiamate a compiere tempestivamente; inoltre l’intervento ha definito importanti modifiche su alcuni reati all’interno del codice penale nonché l’introduzione di nuove figure di reato come quella inserita all’ art. 583-quinquies c.p..

L’art. 12, comma 1, della L. 69/19 introduce, infatti, il delitto di “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, abrogando (come disposto nel successivo comma 3) l’art. 583 comma 2 n. 4 c.p., disciplinante la circostanza aggravante del reato di lesioni personali da cui derivi la deformazione ovvero lo sfregio permanente del viso.

Attraverso l’introduzione di questa nuova figura di reato, il legislatore intende colmare il vuoto sanzionatorio generato dalla contestuale abrogazione della preesistente aggravante, prevendo la più grave pena della reclusione da otto a quattordici anni per “chiunque cagioni ad alcuno lesione personale dalla quale derivino la deformazione o lo sfregio permanente al viso”.

La ratio della scelta legislativa di trasformare in figura autonoma di reato una fattispecie a cui, in precedenza, veniva riconosciuta la valenza di condizione aggravante, risiede nella sentita necessità di riconoscere maggior tutela alle vittime di determinate condotte violente e inoltre nell’esigenza di eliminare il rischio di possibili attenuazioni sanzionatorie, conseguenti al meccanismo del bilanciamento delle circostanze posto nelle esclusive mani del Giudicante.

Ciò premesso, non è possibile non tenere in considerazione le conseguenze che tale scelta legislativa ha provocato in termini squisitamente giuridici.

Se dal punto di vista strutturale, infatti, tra la fattispecie aggravante di cui all’art. 583 comma 2 n. 4 c.p. e l’autonoma figura di reato di cui all’art. 583-quinquies c.p. non si rinvengono rilevanti differenze (limitandosi il disposto della nuova fattispecie incriminatrice a ricalcare quanto previsto nella vecchia aggravante), questioni giuridiche rilevanti attengono invece all’ascrizione del fatto, alla sua imputazione, al computo delle circostanze e al loro bilanciamento, alla configurabilità del delitto tentato, nonché al termine di prescrizione.

In merito alla prima delle questioni elencate, riguardante l’ascrizione del fatto e l’imputazione del reato di cui all’art. 583-quinquies c.p., le conseguenze della trasformazione della circostanza aggravante dello sfregio permanente in fattispecie autonoma si comprendono meglio tenendo conto della disposizione dell’art. 59 c.p. in materia di circostanze aggravanti del reato.

Il secondo comma di tale norma, introdotto con la L. 19/1990, stabilisce infatti che: “Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”.

Dal combinato disposto dell’art. 59 comma 2 c.p. con il vecchio art. 583 comma 2 n. 4 c.p. dunque, si evince che sino all’entrata in vigore della L. 69/19, lo sfregio o la deformazione permanente del volto, in quanto circostanza aggravante del reato di lesioni gravi, poteva essere addebitata all’autore del reato stesso solo se da esso conosciuta o ignorata per colpa, ovvero ritenuta inesistente per errore, nel rispetto del principio di colpevolezza.

Oggi, invece, la legge 69/19, introducendo l’art. 583-quinqies c. p., prevede la possibilità di ascrivere tale condotta di reato all’agente secondo i normali criteri dell’ascrizione della responsabilità penale, per la cui imputazione è necessario il dolo, salva l’espressa previsione della colpa, ai sensi dell’art. 42 comma 2 c.p.

In quanto figura dolosa occorrerà dunque, ai fini della sua imputazione al soggetto agente, che l’azione sia assistita da coscienza e volontà, ovvero contrassegnata dalla proiezione della volontà verso la realizzazione della fattispecie oggettiva del reato.

Altro aspetto innovativo sull’argomento deve essere rinvenuto nella volontà di sottrarre l’aggravante di cui all’art. 583 comma 2 n 4 c.p. al giudizio di bilanciamento delle circostanze.

L’esigenza di riconoscere una tutela forte e certa alle vittime di violenza domestica o di genere, difatti, ha reso necessario creare una fattispecie di reato ad hoc per evitare ciò che avveniva in passato, ovvero che il regime sanzionatorio, previsto per le lesioni aggravate dall’aver cagionato una deformazione o uno sfregio permanente del viso, potesse essere contemperato dalla sussistenza di circostanze attenuanti.

La trasformazione della circostanza aggravante dello sfregio o deformazione del viso in fattispecie autonoma, impone poi una riflessione in ordine all’istituto del delitto tentato.

Nella precedente disciplina della circostanza aggravante di cui all’art. 583 comma 2 n. 4 c.p. ci si poneva il problema del rapporto tra tentativo e circostanze, le quali sono elementi accidentali del reato e per questo non sono essenziali ai fini della sua sussistenza ma incidono sulla sua gravità e lo trasformano da reato semplice a reato circostanziato (aggravato o attenuato), sia esso consumato o tentato.

Com’è noto, a tale riguardo in dottrina si opera una distinzione tra la figura del “tentativo circostanziato di delitto” e quella del “tentativo di delitto circostanziato”, rientrando nella prima il caso in cui il delitto non si è perfezionato ma la circostanza si è concretamente realizzata; nella seconda il caso in cui la circostanza non si è realizzata ma essa rientra nel proposito criminoso dell’agente e gli atti compiuti sono idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto circostanziato .

In relazione alla fattispecie di reato qui presa in esame, era dibattuta la configurabilità del “tentativo di delitto circostanziato”, in quanto nell’interpretazione dei più l’art. 56 c.p. non sembrava formulato in modo da attribuire rilevanza alla circostanza non realizzata; perciò, in ossequio al principio di legalità, si tendeva a propendere per l’irrilevanza delle circostanze non realizzate.

Un fronte minoritario, tuttavia, sosteneva tale configurabilità (si riporta il caso del «getto andato a vuoto di vetriolo contro il volto altrui») riscontrandola sul piano ontologico, poiché esistono circostanze intrinseche attinenti all’oggetto materiale del reato che presuppongono la perfezione del reato, nonché su quello giuridico, poiché anche la valutazione della circostanza tentata non viola il principio di legalità .

La giurisprudenza, dal suo canto, si è orienta nel senso dell’ammissibilità della figura del “tentativo di delitto circostanziato” precisando, tuttavia, che la soluzione non può essere rinvenuta “in via meramente astratta e non può essere univoca poiché essa dipenderà, da una lato, dalla tipologia della particolare aggravante in questione, dall’altro, dallo sviluppo dell’azione posta in essere dall’agente” .

Ebbene con l’introduzione del reato di cui all’art. 583-quinquies il legislatore ha risolto la questione in ordine alla configurabilità del tentato delitto circostanziato, sollevata dal vecchio art. 583 comma 2 n, 4 c.p.c,, in quanto il delitto tentato, sussistendone le condizioni previste dalle disposizioni dell’art. 56 e dell’art. 583-quinquies c.p., risulta normalmente configurabile.

La nuova fattispecie di cui all’art. 583-quinquies c.p. inoltre, modifica il regime della prescrizione. Nella precedente versione, ai sensi dell’art. 157 co. 2 c.p., per il delitto di lesioni aggravate dall’aver cagionato uno sfregio o una deformazione permanente del viso il tempo di prescrizione andava calcolato sulla pena prevista dalla circostanza aggravante.

Per determinare il tempo necessario a prescrivere, quindi, si doveva tenere presente la pena stabilita per il reato consumato (o tentato), aumentato dalle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.

L’aggravante di cui all’art. 583 co. 2 n. 4 c.p. prevedendo una sanzione (da sei a dodici anni di reclusione) espressa in misura differente da quella ordinaria comportava un tempo di prescrizione di dodici anni. La trasformazione dell’aggravante (da qualificarsi come circostanza aggravante indipendente, ad effetto speciale) in fattispecie autonoma, punita con una pena nella ragione massima di quattordici anni di reclusione, comporta, per effetto della disposizione di cui all’art. 157 co. 1 c. p., lo stesso tempo di prescrizione.

In seguito alla l. n. 69/2019 si è verificato, dunque, un aumento di due anni dei termini prescrizionali.

Da ultimo, la scelta operata dal legislatore di introdurre il reato di cui all’art. 583-quinquies c.p. con la contestuale abrogazione dell’art. 583 comma 2 n. 4 c.p., porta a riflettere sulla applicabilità della nuova disciplina nel tempo, ponendo la necessità di individuare il tempus commissi delicti.

Sul punto interviene l’art. 2 comma 4 c.p. secondo cui, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le leggi posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo: in applicazione di tale disposizione dunque, per gli eventi commessi prima dell’entrata in vigore della L. 69/19 troverà ancora applicazione la disciplina di cui all’art. 583 comma 2 n. 4.

Infine rimane da evidenziare che l’art. 12 della L. 69/19 ha previsto l’inserimento nell’art. 583-quinquies di una pena accessoria a quella della reclusione, consistente nell’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, in caso di condanna o di applicazione della pena richiesta dalle parti ex art. 444 c.p.p.

Su questo aspetto, critiche di notevole peso sono state formulate dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 222/2018 che ha ribadito che eventuali pene accessorie perpetue di natura interdittiva possono avere una durata superiore a quella della sanzione principale, ma non devono “risultare manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato, tanto da vanificare lo stesso obiettivo di rieducazione del reo di cui all’art. 27 Cost.” . Ancora una volta la ratio dell’intervento legislativo rivela la sua natura emergenziale, tesa a fronteggiare l’aumento esponenziale di fatti di violenza domestica e di genere fornendo una disciplina specifica finalizzata alla tutela delle vittime. Questo però non sempre si compenetra con il bisogno di completezza nella previsione degli effetti legislativi, rischiando di compromettere il rigore e la chiarezza interpretativa che dovrebbe caratterizzare ogni norma giuridica.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti