Assegni al nucleo familiare e principio di parità di trattamento
Brevi note di commento alla sentenza della Corte di Giustizia UE (Settima Sezione) 21 giugno 2017 (causa C-449/2016)
«Rinvio pregiudiziale – Previdenza sociale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articolo 3 – Prestazioni familiari – Direttiva 2011/98/UE – Articolo 12 – Diritto alla parità di trattamento – Cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico»
L’articolo 12 della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale, in base alla quale il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, non può beneficiare di una prestazione come l’assegno a favore dei nuclei familiari con almeno tre figli minori, istituito dalla legge del 23 dicembre 1998, n. 448, recante Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo.
Oggetto della decisione.
La decisione in commento concerne la corretta interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2011/98/UE, se, in particolare, esso debba essere ritenuto ostativo ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, in base alla quale il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, non può ottenere il beneficio di una prestazione come l’ANF (assegno al nucleo familiare con almeno tre figli minori), istituito dalla legge n. 448/1998.
La provvidenza in esame è, infatti, disciplinata dall’articolo 65 della legge del 23 dicembre 1998, n. 448, secondo cui, i nuclei familiari con tre o più figli di età inferiore ai 18 anni, titolari di redditi inferiori a un determinato limite (EUR 25 384,91 nel 2014) percepiscono l’ANF. Inizialmente riservato ai soli cittadini italiani, l’ANF è stato esteso ai cittadini dell’Unione europea nel 2000, poi ai cittadini di paesi terzi titolari dello status di rifugiato politico o della protezione sussidiaria nel 2007 e, infine, mediante l’articolo 13 della legge del 6 agosto 2013, n. 97, recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013, ai titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo e ai familiari dei cittadini dell’Unione.
Premesso che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 prevede che i lavoratori provenienti da paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della medesima direttiva beneficino dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, per quanto concerne i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento n. 883/2004, oggetto precipuo della decisione è stabilire, quindi, se l’ANF costituisca una “prestazione di sicurezza sociale”, riconducibile alle prestazioni familiari di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del medesimo regolamento, oppure una “prestazione di assistenza sociale”, come tale esclusa dall’ambito di applicazione del regolamento, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, lettera a) di quest’ultimo, come sostenuto dal governo italiano.
Percorso motivazionale della pronuncia
Preliminarmente, la Corte osserva come la distinzione fra le prestazioni escluse dall’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e quelle che vi rientrano sia basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, specialmente sulle sue finalità e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul suo “nomen iuris”, sul fatto, cioè, che essa sia o meno qualificata come “prestazione di sicurezza sociale” da una normativa nazionale (in tal senso, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio 2005, Noteboom, C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del 24 ottobre 2013, Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto 28).
In particolare, secondo il Collegio, una provvidenza può essere considerata “prestazione di sicurezza sociale” qualora sia attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e si riferisca a uno dei rischi espressamente elencati nell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 (in tal senso, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU:C:2001:166, punto 28, nonché del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 48).
Né rilevanti appaiono le modalità di finanziamento di una prestazione e, soprattutto, il fatto che la sua attribuzione non sia subordinata ad alcun presupposto contributivo, per la sua qualificazione come prestazione di sicurezza sociale (in tal senso, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 21; del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU:C:2001:166, punto 46, e del 24 ottobre 2013, Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto 32).
Per quanto, poi, più specificamente attiene alla questione se una data prestazione rientri nelle prestazioni familiari di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, la Corte rileva che, ai sensi dell’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento, l’espressione «prestazione familiare» indica tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I di tale regolamento: in particolare, l’espressione «compensare i carichi familiari» deve essere interpretata nel senso che essa faccia riferimento ad un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli (in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).
I requisiti sopra considerati appaiono, invero, alla Corte sussistenti nel caso oggetto del procedimento principale: l’ANF, infatti, è versato ai beneficiari che ne facciano richiesta e che soddisfino le condizioni relative al numero di figli minori e ai redditi previste dall’articolo 65 della legge n. 448/1998, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente, in base a una situazione definita per legge. Per altro verso, poi, si osserva che l’ANF consiste in una somma di denaro versata ogni anno ai suddetti beneficiari e destinata a compensare i carichi familiari, quale contributo pubblico al bilancio familiare, diretto ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli.
Alla luce di quanto innanzi, pertanto, i giudici lussemburghesi concludono nel senso che l’ANF costituisca una prestazione di sicurezza sociale, rientrante nelle prestazioni familiari di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004.
Una volta affermata la riconducibilità dell’ANF tra le prestazioni familiari nel senso sopraindicato, il Collegio passa quindi ad indagare se il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2011/98, possa essere escluso dal beneficio di una siffatta prestazione da una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.
Orbene, muovendo dal combinato disposto dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della medesima direttiva, secondo cui devono beneficiare della parità di trattamento prevista dalla prima di tali disposizioni, fra gli altri, i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, la Corte afferma che detta evenienza sia ravvisabile nel caso del cittadino di un paese terzo titolare di un permesso unico, dato che questo permesso consente a tale cittadino di soggiornare regolarmente a fini lavorativi nel territorio dello Stato membro che l’ha rilasciato.
Né le disposizioni della normativa italiana che limitano il beneficio dell’ANF, nel caso di cittadini di paesi terzi, ai titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo e alle famiglie dei cittadini dell’Unione, possono essere considerate come istitutive delle limitazioni al diritto alla parità di trattamento che gli Stati membri hanno la facoltà di introdurre ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), primo comma, della direttiva 2011/98: tali deroghe, infatti, possono essere invocate solo qualora gli organi dello Stato membro competenti per l’attuazione della direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse (v., per analogia, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C-571/10, EU:C:2012:233, punti 86 e 87), cosa che, invero, non consta abbia fatto la Repubblica italiana nel caso di specie.
Conclude, quindi la Corte nel senso che il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2011/98 non può essere escluso dal beneficio di una prestazione quale l’ANF mediante una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.
Considerazioni conclusive
La pronuncia in commento si segnala per le importanti affermazioni che opera riguardo all’individuazione dei requisiti, degli elementi discretivi, che una prestazione, nel caso di specie l’ANF, deve possedere per essere inclusa tra quelle di “sicurezza sociale”, rientranti nel campo di applicazione del regolamento 883/2004, per le quali, ai sensi dell’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98, viene in rilievo il principio di parità di trattamento dei lavoratori provenienti da paesi terzi, di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della medesima direttiva.
A tal riguardo, secondo i giudici lussemburghesi, non è rilevante la qualificazione operata dal legislatore nazionale, né la circostanza che la prestazione sia erogata sul necessario presupposto di un meccanismo “contributivo”: per essere qualificata come “prestazione di sicurezza sociale” una provvidenza deve essere attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e riferirsi a uno dei rischi espressamente elencati nell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004.
In modo ancor più particolare, sarà “prestazione familiare”, ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, ogni erogazione in natura o in denaro destinata a compensare i carichi familiari, vale a dire ogni contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli.
Alla luce di quanto innanzi, pertanto, si conferma una certa “residualità” della categoria delle “prestazioni di assistenza sociale”, come tali escluse dall’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 (e dall’applicazione del principio di parità di trattamento), ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, lettera a) di quest’ultimo: da un lato, come si è visto, non sarà sufficiente far riferimento all’attribuzione in assenza di meccanismi di tipo “contributivo” per affermare il carattere “assistenziale” della prestazione; per altro verso, poi, appaiono, invero, difficilmente ipotizzabili le fattispecie in cui venga in rilievo un potere, rimesso all’ente erogatore, di valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente la prestazione, in base a parametri non definiti per legge, requisito che, secondo i giudici lussemburghesi, come detto, vale a caratterizzare più specificamente e propriamente le ipotesi di prestazioni di natura assistenziale .
Post scriptum
Il presente contributo è frutto della libera espressione di pensiero del suo autore e non è in alcun modo riconducibile all’Amministrazione di appartenenza dello stesso, né per la medesima vincolante.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.
Corrado Pintaldi
Avvocato, attualmente funzionario ispettivo dell'INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro), si è laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", in data 27.06.2002, discutendo una tesi in Diritto Civile (titolo "La condizione unilaterale" - rel. Ch.mo Prof. Biagio Grasso), con valutazione 110/110 e lode e plauso della commissione esaminatrice. Ha conseguito il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali, sempre presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", in data 06.07.2004. Dal 2008 al 2013 ha frequentato diversi corsi di formazione post-universitaria, tenutisi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano Statale, vertenti in materia di Diritto Sportivo e Giustizia Sportiva e in materia di Diritto del Lavoro. Presso la Facoltà di Giurisprudenza della "Sapienza" - Università di Roma, in data 05.04.2017, ha conseguito con lode il Diploma di Master Interuniversitario di II livello in Diritto Amministrativo (M.I.D.A.).