Assegno circolare contraffatto: la banca emittente e la banca negoziatrice sono responsabili?
Sommario: Premessa – 1. La truffa della violazione delle linee telefoniche della banca apparente emittente – 2. La posizione della banca apparente emittente – 3. La posizione della banca negoziatrice – 4. Il concorso di colpa del cliente vittima della frode – 5. Le possibili strade per recuperare quanto perduto
Premessa
Quando ci si appresta a vendere un oggetto di elevato valore (come ad esempio un orologio d’oro) la modalità di pagamento ritenuta più sicura è l’assegno circolare.
L’assegno circolare è un titolo di credito che consente il pagamento “a vista” e con cui è la stessa banca emittente ad assumersi l’impegno di pagare una determinata somma di denaro in favore del beneficiario del titolo.
Nella prassi, accade spesso che l’acquirente ed il venditore fissino un appuntamento presso la banca di quest’ultimo, affinché l’acquirente consegni l’assegno circolare a saldo del prezzo pattuito, ricevendo in cambio dal venditore il bene prezioso oggetto della vendita.
Prima di concludere il suddetto scambio, però, il venditore richiederà al funzionario della sua banca di verificare l’autenticità dell’assegno, per accertarsi che non contenga anomalie tali da farne presumere la sua contraffazione e anche affinché il funzionario confermi che esso sia stato effettivamente emesso dalla banca emittente (questa procedura è denominata “certificazione di bene emissione”).
A tale scopo, il funzionario della banca negoziatrice avrà premura di contattare telefonicamente la filiale della banca emittente (i cui riferimenti sono riportati sul titolo stesso), in modo da verificare che il numero e la data di emissione dell’assegno circolare corrispondano con esattezza ad un assegno regolarmente emesso da quella filiale.
Se tutto dovesse risultare conforme, in assenza di anomalie, il venditore sarà indotto a consegnare all’acquirente il bene prezioso e ad incassare l’assegno circolare, sentendosi rassicurato dal buon esito dei controlli effettuati dalla sua banca in merito all’autenticità del titolo.
In caso contrario, il venditore potrà venire a conoscenza che si tratta di un assegno contraffatto ancor prima di consegnare la merce, e pertanto potrà subito mandare a monte l’affare e sporgere formale querela nei confronti dell’acquirente truffatore.
1. La truffa della violazione delle linee telefoniche della banca apparente emittente
Negli ultimi anni però è sempre più diffusa un’abile truffa perpetrata ai danni di malcapitati venditori di oggetti preziosi, ad opera di strutturate organizzazioni criminali.
Questa truffa ha messo in serio dubbio l’affidabilità di tale mezzo di pagamento e trova il suo momento cruciale quando il funzionario della banca negoziatrice dell’assegno (cioè la banca del venditore) si accinge a contattare telefonicamente la filiale dell’istituto di credito emittente, come sopra accennato allo scopo di ottenere la conferma della piena autenticità del titolo.
Accade difatti che i complici del finto acquirente -con una manovra degna dei migliori film di azione- qualche minuto prima dell’appuntamento, provvedano a manomettere la linea telefonica della filiale emittente così da intercettare tutte le chiamate in entrata ad essa indirizzate.
In tal modo, quando il funzionario della banca negoziatrice procederà a telefonare alla filiale dell’istituto di credito emittente -onde accertarsi della regolare emissione del titolo- in realtà a rispondere non saranno i dipendenti della filiale bensì un complice del finto acquirente, che fingendosi un funzionario della banca apparente emittente rassicurerà l’impiegato della banca del venditore della piena autenticità del titolo.
A questo punto, sentendosi tranquillizzato dall’esito positivo della sua richiesta di “certificazione di bene emissione”, il venditore si convincerà a consegnare l’oggetto prezioso al truffatore in cambio dell’assegno circolare contraffatto.
Ovviamente, nei giorni successivi il finto acquirente farà perdere le sue tracce e si scoprirà che in realtà l’assegno era un falso.
Si pone quindi il seguente quesito: una volta caduto nella trappola, il venditore avrà ragione di rivalersi nei confronti della banca emittente e della banca negoziatrice, richiedendo loro il rimborso del valore del bene fraudolentemente sottratto dai truffatori?
2. La posizione della banca apparente emittente
In molti giudizi che le hanno visto coinvolte, le banche presunte emittenti -ossia quelle indicate negli assegni contraffatti come tali- molto spesso si sono difese lamentando la loro totale estraneità alla vicenda e sostenendo di aver già da tempo inoltrato querele, diffide e contestazioni alle pubbliche autorità, per denunciare le frequenti violazioni delle proprie linee telefoniche ad opera di ignoti soggetti terzi.
Questa linea di difesa, però, non è stata particolarmente apprezzata dalla giurisprudenza prevalente (soprattutto da parte dell’Arbitro Bancario Finanziario) in quanto il fatto che si trattasse di una problematica nota da tempo agli istituti di credito non ha alcuna rilevanza ed anzi implica una responsabilità per negligenza delle banche apparenti emittenti, le quali -in tutti questi anni- non sono state in grado di apprestare adeguate misure protettive per risolvere un probema di grave portata.
In altri termini, ad avviso dell’ABF, la notorietà del problema non è una scusante ma al contrario è la ragione per cui la banca presunta emittente del titolo dovrà rifondere il valore dell’assegno contraffatto alla vittima della truffa (v. decisione ABF Collegio di Milano n. 9354/2019; ABF Collegio di Milano n. 18192/2019; ABF Collegio di Milano n. 18192/2019; ABF Collegio di Coordinamento n. 7283/2019).
Laddove però dagli atti del giudizio non emerga la consapevolezza della banca della violazione delle proprie linee telefoniche, vi sono state pronunce che hanno invece escluso o affievolito la responsabilità dell’istituto di credito apparente emittente (ABF Collegio di Bari n. 10623/2019).
3. La posizione della banca negoziatrice
Ben diversa è poi la posizione della banca negoziatrice, quando il suo funzionario aveva rilasciato la “certificazione di bene emissione” dell’assegno circolare contraffatto.
In tal caso, infatti, la banca sarà responsabile ogniqualvolta siano riscontrabili anomalie di qualunque tipo sul titolo contraffatto, purché rilevabili ictu oculi dal funzionario della banca negoziatrice.
Tra di esse, quelle più frequenti sono in genere riconducibili al disallineamento della numerazione del titolo nelle tre diverse tipologie di scrittura (arabica, microforata e magnetica) e soprattutto alla mancanza del codice a barre c.d. “QR CODE”.
A quest’ultimo riguardo, occorre ricordare che l’art. 8, comma 7, lettere b), c), d) ed e) del Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70 (convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della Legge 12 luglio 2011 n. 106), nonché i successivi regolamenti attuativi del MEF e della Banca d’Italia, hanno previsto e regolato la negoziazione in forma elettronica degli assegni bancari e circolari ed hanno portato all’introduzione della procedura interbancaria denominata Check Image Truncation (CIT), la quale consente ora di presentare al pagamento assegni mediante scambio di immagini.
Tali nuove regole sono volte non solo a facilitare il processo di digitalizzazione e di lettura automatica delle informazioni presenti sulla materialità del titolo ma anche a contrastare il fenomeno incessante delle frodi.
Per quanto interessa, è stato altresì previsto l’obbligo di apposizione su tutti i titoli di nuova emissione di un QR CODE, ovvero di un codice bidimensionale del tipo “DATA MATRIX”, il cui contenuto è leggibile in fase di acquisizione dell’immagine.
Malgrado la menzionata procedura interbancaria Check Image Truncation (CIT) sia operativa soltanto dal 29 gennaio 2018, si osservi più attentamente che l’obbligo di apposizione del QR CODE sui titoli di nuova emissione era stato anticipato al 1° luglio 2016, in virtù di quanto previsto nella Circolare ABI Serie Tecnica n. 5 del 22 marzo 2016.
Dunque il funzionario della banca negoziatrice che era stato chiamato a valutare l’autenticità di un assegno contraffatto –privo del predetto QR Code- era tenuto a rilevare questa importante anomalia, quantomeno nel caso in cui sull’assegno risultasse una data di emissione antecedente al 1° luglio 2016, vale a dire al momento in cui era divenuto operativo l’obbligo sopra menzionato.
In definitiva, anche sulla base dei principi espressi dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite -secondo cui “la responsabilità del banchiere dipende dalla violazione di norme specifiche a tutela del consumatore, con la conseguenza che la responsabilità che ne deriva è di tipo contrattuale” (v. S.U. Cass. Civ. 26 giugno 2007, n. 14712)- la pressoché unanime giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario ritiene che se era mancante il QR Code su un assegno circolare contraffatto avente data successiva al 1° luglio 2016, sussisterà senz’altro la responsabilità della frode a carico della banca negoziatrice (v. decisione ABF Collegio di Milano n. 9354/2019; ABF Collegio di Milano n. 18192/2019; ABF Collegio di Milano n. 18746/2019; ABF Collegio di Coordinamento n. 7283/2019; ABF Collegio di Bari n. 10623/2019; ABF Collegio di Torino n. 10545/2019).
Ad ogni buon conto, al di là della mancata apposizione del codice QR sul titolo contraffatto, la medesima giurisprudenza ritiene comunque che ai fini di valutare l’autenticità di un assegno circolare non possa ritenersi sufficiente una mera telefonata da parte di un dipendente della banca negoziatrice alla filiale emittente, essendo invece necessaria una dichiarazione scritta da parte di un funzionario della stessa filiale.
Sul punto, il Collegio di Coordinamento -nella decisione sopra richiamata- ha difatti ritenuto che “incorre in responsabilità l’intermediario negoziatore che, davanti a indizi di irregolarità dell’assegno, non ponga in essere almeno le cautele necessarie a ridurre il rischio di frode, e si limiti, invece, alla mera richiesta telefonica all’emittente” (ABF Collegio di Coordinamento n. 7283/2019).
4. Il concorso di colpa del cliente vittima della frode
Ciò chiarito in punto di responsabilità della banca emittente e di quella negoziatrice, resta da stabilire se possa imputarsi al cliente vittima della truffa un concorso di colpa per quanto accaduto.
La circostanza è assai rilevante giacché laddove si ravvisi un concorso di colpa della vittima con gli istituti di credito, quest’ultima si vedrebbe risarcita soltanto di una parte di quanto perduto in conseguenza della frode.
Sul punto, la giurisprudenza non sembra aver ancora sviluppato un orientamento del tutto unanime, anche se sembra prevalere la tesi che esclude qualunque genere di responsabilità a carico della vittima, quantomeno quando ella aveva richiesto alla banca negoziatrice la più volte citata “certificazione del bene emissione”.
Ebbene, l’orientamento che tende ad escludere qualsiasi responsabilità del cliente trova le sue radici nei princìpi che governano la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. che imputano automaticamente al debitore (in questo caso la banca negoziatrice) l’onere di allegare e provare, se del caso, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile, ossia l’unica causa esimente ammessa.
Pertanto, in mancanza o nell’infruttuoso tentativo di perorare la menzionata causa di giustificazione, non potrà che darsi per acclarata la responsabilità contrattuale dell’intermediario negoziatore del titolo.
Né potrà dirsi raggiunta, infine, la causa di giustificazione, per il solo fatto che l’intermediario negligente abbia addotto -all’atto del versamento dell’assegno e tramite una procedura informatica standard- la riserva “salvo buon fine”, essendo essa superata dalla dichiarazione di “bene emissione” comunicata al cliente dall’intermediario negoziatore su istruzioni dell’emittente (ABF, Coll. Milano n. 4499/19; ABF Collegio di Torino n. 10545/2019).
5. Le possibili strade per recuperare quanto perduto
Il cliente che abbia subito la truffa sopra descritta e ritenga la banca emittente e quella negoziatrice del titolo responsabili di quanto accaduto, dovrà formalizzare la propria pretesa mediante formale comunicazione di reclamo, se del caso con l’ausilio del suo professionista di fiducia.
In seguito alla mancata risposta nel termine di 30 giorni dal ricevimento della missiva, ovvero successivamente all’eventuale riscontro negativo da parte degli istituti di credito anzi detti, il cliente avrà a disposizione due possibili strade per far valere le proprie ragioni in via contenziosa:
1) il ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario che presenta il vantaggio di avere tempi contenuti e costi irrisori, anche se le sue decisioni non sono vincolanti ed esso non consente di citare testimoni o richiedere consulenze tecniche d’ufficio;
2) in alternativa, il cliente potrà instaurare un giudizio civile che ha tempi più lunghi e costi più elevati ma le sue pronunce sono vincolanti e l’istruttoria risulterà più approfondita di quella dinanzi all’Arbitro Bancario Finanziario.
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Avv. Davide Longo
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