Assegno con data scritta a matita. Il prenditore che la sovrascriva commette abusivo riempimento?

Assegno con data scritta a matita. Il prenditore che la sovrascriva commette abusivo riempimento?

I. Della validità del titolo.

Dal punto di vista giuridico, ci sono sostanziali differenze, in termini di disciplina civilistica, tra un assegno senza data e un assegno postdatato.

L’assegno privo di data è nullo, in ossequio al disposto dell’art. 1 del Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736.

Non è nullo l’assegno con data posposta. L’assegno è valido (sebbene irregolare) e pagabile a vista (cioè al momento stesso della sua presentazione); e tale regola non può essere derogata nemmeno col consenso delle parti.  Il beneficiario, quindi, può pretendere immediatamente il pagamento all’atto di presentazione allo sportello e la data futura riportata sull’assegno è da ritenersi come se non fosse mai stata apposta.

Ad oggi, l’emissione di un assegno postdatato non configura più reato, ma tale condotta resta sanzionabile amministrativamente, ove non si regolarizzi fiscalmente il titolo. Per potersi procedere all’effettivo incasso dell’assegno postdatato (prima della data apposta sul titolo), è prima necessaria la sua regolarizzazione fiscale con l’imposta di bollo, nella misura del 12 per mille dell’importo dell’assegno e paghi le sanzioni, versando il 2,4% sul valore del titolo. In caso contrario vi è una responsabilità per l’evasione dell’imposta di tutti i soggetti, in solido, che hanno concorso a formare il titolo e a metterlo in circolazione.

Si noti, tuttavia, come l’assegno postdatato, sebbene regolarizzato, non può valere come titolo esecutivo, dovendosi considerare titolo con bollo irregolare, senza che abbia a tal fine rilievo la successiva eventuale regolarizzazione fiscale. Pertanto, il creditore non potrà azionare subito in sede esecutiva detto titolo, ma dovrà prima procedere con la richiesta di un decreto ingiuntivo.

Passando, invece, all’assegno privo di data, si è già detto, in incipit, che esso è nullo, per mancanza di uno degli elementi essenziali (v. art. 2, comma 1 del Regio Decreto già cit.: “il titolo nel quale manchi alcuno dei requisiti indicati nell’articolo precedente non vale come assegno bancario”).  Un assegno privo di data può al massimo costituire solo una promessa di pagamento (art. 1988 c.c.), non assistita dagli strumenti di “pressione” che invece la legge prevede per i titoli esecutivi (appunto l’esecutività, l’elevazione del protesto, etc.).  Si noti, tra l’altro, che è priva di efficacia l’eventuale delega a completare il titolo (quanto alla data, ma anche al luogo di emissione) in ipotesi conferita dal traente al prenditore (cfr. Cass. 828/1967).

Quid dell’ assegno recante data futura scritta a matita? Sul punto, va citata la sentenza della Cass. Civ. sez. Lavoro, n. 6524 del 18 marzo del 2009.

La Suprema Corte ha ritenuto che quando per la validità o la prova di un atto è richiesta dal legislatore la forma scritta senza indicare uno specifico mezzo di scrittura, non esistono vincoli in ordine alla scelta di tale mezzo; tuttavia tale libertà non è assoluta ma incontra un preciso limite nella stessa funzione che la forma prescritta svolge in relazione alle caratteristiche precipue del tipo di atto così come emergenti dalla relativa disciplina giuridica. Con riguardo ai titoli di credito, considerate le caratteristiche dei medesimi … (…) è da escludere che possa garantire la funzione assegnata dal legislatore alla forma scritta l’uso di strumenti scrittori (conosciuti o ancora ignoti) non idonei ad assicurare una sufficiente “stabilità” al testo scritto, ossia di tutti quei mezzi di scrittura in tutto o in parte alterabili e/o cancellabili con facilità, anche involontariamente, senza lasciare di ciò segni evidenti, con la conseguenza che deve ritenersi non apposta la data scritta a matita su di un assegno bancario”.

Pertanto, essendo stata scritta a matita la data, questa dovrebbe considerarsi come non apposta e ciò renderebbe detto titolo nullo, ed al massimo configurante una promessa di pagamento.

Si veda, ad esempio, Cass. Civ. sez. II, 19 aprile 1995, n. 4368, secondo cui “l’emissione di un assegno in bianco postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli art. 1 e 2 del r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 c.c. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c. “.

La nullità del titolo per mancanza di data va, quindi, collegata non al momento della sua presentazione dell’incasso, ma a quello della genesi dell’assegno, vale a dire alla sua emissione (sebbene non manchi qualche pronuncia di segno opposto). Con l’emissione l’assegno si perfeziona giuridicamente e ciò non può che avvenire quando esso dalla disponibilità del traente passa in quella del prenditore, quando cioè l’emittente perde il possesso del titolo che esce così dalla sua disponibilità giuridica (da ultimo Cass. 30 luglio 2009, n. 17749; Cass. 31 gennaio 2006, n. 2160).

A differenza dell’assegno postdatato, l’assegno privo di data non può, quindi, essere portato all’incasso. Se in possesso di un assegno privo di data, il creditore potrebbe solo presentare un ricorso monitorio, dimostrando, con la produzione di tale titolo, l’esistenza di una certa obbligazione tra le parti. Spetterà poi al debitore l’onere della prova contraria.

II. Della falsità in atti.

Occorre allora, a questo punto, valutare se il prenditore che apponga la data di emissione al titolo che ne è formalmente sprovvisto, commetta un illecito penale, in particolare rientrante nel novero dei delitti di falsità in atti.

Va, innanzitutto, premesso che l’eventuale falsità di cui trattasi rientrerebbe nel novero delle c.d. falsità materiali, trattandosi di un’alterazione al documento, apportata posteriormente alla sua redazione da parte di soggetto diverso dall’autore e non legittimato.

Le fattispecie penali interessate, artt. 485 e ss. c.p., sono state recentemente abrogate dal d.lgs. n. 7 del 2016 e trasformate in illeciti punibili con sanzioni pecuniarie civili.

In seguito all’abrogazione dei reati di falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.) e di falsità di foglio firmato in bianco (art. 486 c.p.), la norme cui occorre fare oggi riferimento sono rappresentate dagli artt. 488 e 491 (entrambi novellati dalla riforma).

Il fatto tipico di cui all’art. 488 c.p. è costituito dalle ipotesi in cui il foglio firmato in bianco sia compilato e riempito da parte di chi non aveva il potere di disporre del foglio e se ne era abusivamente impossessato o, comunque, non era, nel momento in cui ha apposto le annotazioni, munito di un valido mandato ad scribendum.

 L’art. 491 interviene, poi, ove la falsità riguardi un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

Evidente la lacuna concernente le falsità commesse in assegno bancario o in assegno circolare munito della clausola di non trasferibilità, che fuoriescono dall’oggetto materiale delle nuove fattispecie di falsità in scrittura privata e che, per pacifica giurisprudenza, trovavano esclusiva sanzione nella fattispecie di cui all’abrogato art. 485 c.p.

Questa premessa è apparsa doverosa, posto che le massime giurisprudenziali che si riportano qui di seguito, essendo precedenti alla riforma legislativa sopra citata, fanno riferimento alle fattispecie penali ora abrogate.

Si è già detto che, in sede civile, un eventuale patto tra le parti circa la compilazione dell’assegno sottoscritto sia nullo (c.d. patto di riempimento). Tale invalidità, come già detto, si riflette sul titolo medesimo. Tuttavia in sede penale, secondo opinione dello scrivente, si riflette anche sulla configurabilità del reato in parola, per assenza dell’elemento soggettivo.

E così, secondo Cass. sez.  V, 5 maggio 1977, non ricorre il reato di abuso di foglio firmato in bianco nel fatto del prenditore di un assegno che, in violazione dell’accordo intercorso col traente, lo metta all’incasso, apponendovi una data diversa da quella pattuita. E ciò in quanto, l’accordo tra emittente e prenditore di non riempire e negoziare l’assegno prima di una certa data, in quanto nullo, non è suscettibile di produrre gli effetti giuridici in esso contemplati e cioè di obbligare il prenditore ad utilizzare l’assegno nella data pattuita, anziché in quella di effettiva emissione.

Tale nullità si riflette sulla configurabilità dell’abuso; infatti, nessuna lesione al bene giuridico della pubblica fede può derivare dall’apposizione sull’assegno della data di effettiva emissione del titolo e dall’immediata utilizzazione di esso, giacché il completamento e la messa in circolazione dell’assegno non realizza un’immutazione di effetti giuridici validamente pattuiti tra traente e prenditore, ma è collegabile alla natura ed alla funzione tipiche dell’assegno.

O, ancora, secondo Cass. sez.  V, n. 8222/84, l’apposizione della data e l’incasso di un assegno in difformità delle pattuizioni, non costituisce reato, trattandosi di un titolo immediatamente utilizzabile per la sua natura di strumento di pagamento e per la disciplina normativa che lo concerne.

III. Dei profili probatori

Sotto altro profilo, in applicazione dell’ordinario riparto dell’onere probatorio, deve essere il debitore a provare l’abusivo riempimento del titolo.

Secondo Cass., civ. sez. III, del 20 maggio 2015, n. 10259, la denunzia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco, con sottoscrizione riconosciuta, postula la proposizione del rimedio della querela di falso soltanto quando il riempimento risulti avvenuto absque pactis o sine pactis, ossia in assenza di autorizzazione, atteso che soltanto in tale ipotesi si denunzia una falsità materiale che concerne il collegamento tra dichiarazione e sottoscrizione.

Qualora, invece, il sottoscrittore, che si riconosce come tale, si dolga del riempimento della scrittura in modo difforme da quanto pattuito, egli ha l’onere di provare la sua eccezione di abusivo riempimento “contra pacta” e, quindi, di inadempimento del mandato “ad scribendum” in ragione della non corrispondenza tra il dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare, giacché attraverso il patto di riempimento il sottoscrittore medesimo fa preventivamente proprio il risultato espressivo prodotto dalla formula che sarà adottata dal riempitore.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Valeria Citraro

Laureata nel Gennaio 2014 p/o Università degli Studi di Catania con Tesi in diritto processuale penale, dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e valutazione probatoria". Abilitata all'esercizio della Professione forense da Settembre 2016.

Articoli inerenti