Assegno divorzile: i presupposti necessari secondo una lettura costituzionalmente orientata

Assegno divorzile: i presupposti necessari secondo una lettura costituzionalmente orientata

I presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile sono indicati nell’art. 5 della legge n. 898/1970 e si sostanziano nella indisponibilità o nella incapacità di procurarsi “mezzi adeguati”. Questo sintagma è stato il perno sul quale si è evoluto il dibattito ermeneutico circa la determinazione dei presupposti de quibus.

Invero, le Sezioni Unite del 1990, con sent. n. 11490, hanno dato vita ad un primo orientamento, rimasto fermo per circa un trentennio, alla stregua del quale unico presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile sia l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da parametrare sulla base del tenore di vita sostenuto in costanza di matrimonio. Tutti gli altri elementi contenuti nella prima parte del comma 6 (le condizioni dei coniugi; le ragioni della decisione; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune; il reddito di entrambi; la durata del matrimonio), dunque, costituirebbero non già presupposti del diritto, la cui sussistenza nell’an richiede separato e preliminare accertamento, bensì elementi determinativi dell’ammontare dell’assegno, cioè a dire elementi da analizzare nella successiva fase di determinazione del quantum debeatur. Questo orientamento ha segnato lo stile interpretativo dicotomico fra la prima e la seconda parte del comma in parola.

L’anzidetta impostazione ermeneutica è stata poi ripresa da altra giurisprudenza, la quale, tuttavia, si è con il tempo distaccata dal tradizionale orientamento per quanto concerne l’interpretazione del sintagma “mezzi adeguati”: in particolare, Cass. S.U., n. 11504/2017 àncora l’adeguatezza dei mezzi al concetto di autosufficienza economica; similmente, Cass. n. 1592/1990 già sosteneva che l’adeguatezza debba valutarsi come capacità di assicurarsi un’esistenza libera e dignitosa, a prescindere da quali fossero le condizioni della vita matrimoniale. A questo primo filone, nella sostanza unitario, seppur con le cennate rilevanti sfumature, si contrappone un recente indirizzo della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che, con la sent. dell’11 luglio 2018, n. 18287, ha impostato diversamente l’interpretazione del sesto comma dell’art. 5: in accordo a questa nuova visione, la disposizione deve essere letta nella sua complessità, rinvenendo fra la prima e la seconda parte una integrazione logico-giuridica che non può essere tralasciata ai fini di una lettura costituzionalmente orientata. In sintesi, l’elencazione di cui alla prima parte del comma 6 indica gli elementi da valutare al fine di ricostruire il profilo soggettivo del richiedente, cioè quegli elementi su cui è necessario indagare per accertare l’incidenza che la relazione matrimoniale ha avuto sulla condizione attuale (i.e. sulla disponibilità o sulla capacità di procurarsi mezzi adeguati), cosicché il presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile è da rinvenirsi nella indisponibilità o nell’incapacità di procurarsi mezzi adeguati, le quali devono essere state determinate da uno squilibrio emerso con la cessazione del matrimonio, ma le cui origini debbano rinvenirsi, almeno in parte, nella gestione della vita familiare. Gli elementi elencati nella prima parte del comma 6, quindi, devono considerarsi parte integrante del presupposto della indisponibilità o incapacità di procurarsi mezzi adeguati e confermano la natura assistenziale ed al contempo contributivo-compensativa dell’assegno divorzile.

Sulla scorta di tale nuovo orientamento, dunque, la comprovata autosufficienza economica di un coniuge non è di per sé sola sufficiente ad escludere il riconoscimento dell’assegno divorzile al coniuge  medesimo: se così fosse, il giudice fonderebbe la sua decisione su un elemento che esula dal dato normativo (posto che l’art. 5 non menziona espressamente la non “autosufficienza economica” fra i presupposti del diritto de quo). Peraltro, il giudice deve valorizzare i princìpi costituzionali che permeano il rapporto fra i coniugi in costanza di matrimonio e successivamente alla cessazione degli effetti civili del medesimo. Invero, nel nostro ordinamento il matrimonio si fonda sui princìpi di libertà, solidarietà, autoresponsabilità e pari dignità, desumibili dagli artt. 2, 3 e 29 Cost., in virtù dei quali i coniugi esercitano liberamente il loro diritto di autodeterminarsi, scegliendosi reciprocamente giorno per giorno (sino, per l’appunto, al momento in cui decidano eventualmente di separarsi) ed attribuendosi determinati ruoli e compiti nella conduzione della vita familiare, con tutti i compromessi, anche in termini di incidenza sulla carriera professionale, che ne conseguono. La conduzione della vita familiare, nel rispetto dei diritti e dei doveri positivamente enucleati nell’art. 143 c.c., determina delle sostanziali modificazioni nella sfera personale degli individui, dettate dal perseguimento della serenità familiare; si evidenzia, poi, come la reversibilità del mutamento della sfera individuale sia inversamente proporzionale alla durata dell’unione coniugale: determinate scelte, soprattutto se di carattere professionale e patrimoniale, impongono all’individuo dei cambiamenti che sul lungo termine possono diventare irreversibili. Ecco, allora, che le condizioni dei coniugi, le ragioni che hanno condotto alla separazione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, nonché la durata del matrimonio sono tutti elementi che servono ad inquadrare l’excursus che ha condotto l’istante a chiedere l’assegno divorzile, tramite la cui corresponsione il coniuge economicamente più forte adempie al proprio obbligo di assistenza materiale. La separazione consensuale, infatti, determina la sospensione solamente dei diritti e doveri personali, quali il dovere della coabitazione e quelli ad essa strettamente connessi, non anche il caducarsi dell’obbligo di assistenza materiale, che infatti permane, pur modificandosene la modalità di adempimento.

In conclusione, una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 della legge n. 898/1970 impone di riconoscere la natura composita dell’assegno divorzile, rispondente ai criteri assistenziale e contributivo-compensativo, fra loro equiordinati, atteso che tutti concorrono alla finalità di colmare una sperequazione intervenuta con lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Tale riequilibrio deve essere effettuato alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, tenuto conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, della durata del matrimonio, nonché dell’età dell’avente diritto.


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