Assegno divorzile: la Cassazione dice no al mantenimento del coniuge che instauri una nuova convivenza

Assegno divorzile: la Cassazione dice no al mantenimento del coniuge che instauri una nuova convivenza

Cass. civ., sez. VI, sentenza 10 gennaio 2019, n. 406

Quella dell’assegno divorzile costituisce una delle tematiche più delicate affrontate durante le procedure atte allo scioglimento del matrimonio. Tuttavia, seppur si possa pensare che al coniuge economicamente debole spetti in ogni caso una somma per il proprio mantenimento, in realtà non è sempre così. È necessario operare una distinzione tra casi in cui spetta l’assegno divorzile ed altri in cui invece nulla è dovuto all’ex coniuge.

Cosa si intende per assegno divorzile e quando spetterebbe

Come già anticipato, lo scioglimento del matrimonio determina teoricamente l’obbligo per il coniuge economicamente forte di trasferire a cadenza mensile o in un’unica soluzione un assegno detto “divorzile” al coniuge che si trovi in condizioni economiche particolarmente deboli. A stabilirlo è la storica legge sul divorzio n. 898/1970, la quale all’art. 5 commi 6, 7, 8, 9 e 10 chiarisce inequivocabilmente che l’organo giudicante, nel pronunciare sentenza di scioglimento del matrimonio, provveda a determinare anche se e in quale misura uno dei coniugi debba contribuire al mantenimento dell’altro. Tutto ciò tenendo conto delle loro effettive condizioni, del contributo dato da ciascuno di essi alla conduzione della vita familiare oltreché alla formazione del patrimonio della famiglia, e valutando in ultimo anche la durata del matrimonio stesso. Invero, il primo elemento che si pone come ostacolo alla percezione dell’assegno è dato dall’inciso “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale […] dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” (art. 5 comma 6 L. 898/1970).

 I dubbi generati negli anni dal testo della legge sono stati molteplici e proprio in materia di corresponsione dell’assegno divorzile la giurisprudenza ha accolto differenti orientamenti. Primo tra tutti e capace di suscitare non pochi pareri discordanti fu quello, ormai ad oggi del tutto superato, generato dalla Cass. Civile n. 1564/1990. A soli vent’anni dall’entrata in vigore della legge recante la disciplina sul divorzio, la Suprema Corte aveva introdotto un criterio definito “necessario” per stabilire se l’assegno di divorzio al coniuge spettasse oppure no e in che misura. Il criterio in questione era quello del “tenore di vita”. Gli ermellini, difatti, adducevano che al coniuge debole spettasse un assegno divorzile il cui importo dovesse essere quantificato in modo tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Questo orientamento venne drasticamente rovesciato dalla Cass. Civ. I sez. n. 11504/2017 cd. Sentenza Grilli. Essa rappresentò la chiave di volta per porre fine ad un orientamento giurisprudenziale che regnava da oltre trent’anni in materia di diritto di famiglia. Proprio attraverso la predetta pronuncia la Suprema Corte chiarì come quello del tenore di vita non fosse un elemento da prendere in considerazione, data la funzione unicamente assistenziale dell’assegno divorzile, finalizzata a garantire un sostegno economico al coniuge impossibilitato a procurarsi da sé mezzi adeguati per vivere.

Sentenza Grilli: matrice dei due criteri cardine per la valutazione della spettanza o meno dell’assegno divorzile all’ex coniuge

Con questa pronuncia, la quale ha inevitabilmente lasciato un marchio nella storia del diritto di famiglia, si ebbe l’introduzione di due criteri cardine individuabili nella “mancanza di mezzi adeguati o impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive” ai fini della valutazione dell’esistenza del beneficio, e nella “ricorrenza di tutti i parametri disposti dall’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio”  quali condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, valutando tutti i predetti parametri anche in relazione alla durata del matrimonio, ai fini della sua quantificazione.

La logica della Sentenza Grilli risultava per molti dotti ed esperti del diritto sicuramente più condivisibile rispetto al precedente orientamento. Tuttavia quella netta linea di demarcazione tra il nuovo orientamento e quello precedente, generata dall’aver posto la Sentenza Grilli una separazione indissolubile tra la vita matrimoniale e quella post-divorzio, rese inevitabile l’intervento delle Sezioni Unite le quali, nel luglio 2018, confermarono la funzione assistenziale dell’assegno divorzile, ma chiarirono che quest’ultimo avesse in più una funzione compensativa e una perequativa, capaci di dare origine ad una solidarietà post-coniugale. Ciò nel pieno rispetto del combinato disposto dagli artt. 2 e 29 della Costituzione.

Quando può venir meno l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile?

Eppure, qualora l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile venga imposto dal giudicante in sede di scioglimento del matrimonio, nulla vieta che il verificarsi di determinate circostanze possa comportare il venir meno del predetto obbligo. Una di tali ipotesi, già contemplate dalla storica legge sul divorzio all’ art. 5 comma 10, è quella in cui il beneficiario dell’assegno contragga nuovo matrimonio. Quest’ultima sembrava essere l’unica causa esistente di estinzione dell’obbligo di versamento dell’assegno, tuttavia la Suprema Corte ha di recente dato atto della sussistenza di un’ulteriore circostanza estintiva. È stato difatti chiarito che anche la sola convivenza di fatto, matrice di un rapporto stabile e duraturo, condotta dal beneficiario dell’assegno, sia da sé capace di determinare la liberazione dal vincolo per il soggetto obbligato.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna che nei precedenti gradi di giudizio si era vista negare il diritto alla percezione dell’assegno divorzile versato dall’ex coniuge. La decisione trovava la sua giustificazione nel fatto che la donna aveva iniziato una convivenza con un altro uomo. Di tale circostanza ne era stata data prova dalla testimonianza di un investigatore privato, il quale aveva confermato che, dopo essere stato incaricato dall’ex coniuge della donna, aveva accertato l’esistenza di una convivenza stabile della stessa con un altro uomo.  Da qui l’insorgere di un principio reso chiaro e inequivocabile dalla Corte.

Tale convivenza, difatti, definisce una tipologia di famiglia di fatto, idonea ad essere annoverata tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 della Costituzione. Per poter giungere a questa conclusione è tuttavia opportuno che tale formazione presenti caratteri di stabilità, abituale convivenza nonché di comunanza di vita e di interessi. E laddove il giudicante accertasse l’effettiva convivenza, sulla base degli elementi probatori prodotti dal coniuge obbligato e tali da provare l’altrui costituzione di una formazione sociale stabile, verrebbe meno la componente assistenziale dell’assegno divorzile, idonea causa giustificatrice dell’estinzione dell’obbligo di corresponsione.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Annalisa D'Attoli

Praticante Avvocato Abilitato con un particolare interesse per svariati rami del diritto quali civile, famiglia, lavoro, tributario e amministrativo.

Articoli inerenti