Attività sportiva violenta, sports a violenza necessaria o eventuale
È ormai sempre più diffusa la pratica di particolari discipline sportive caratterizzate da un diretto e da uno stretto contatto fisico.
In particolare tra questi sport vengono in rilievo il pugilato e la lotta libera o l’hockey.
È chiaro come con queste attività si incorre più facilmente in lesioni a seguito di scontri fisici all’interno del gioco; ne deriva l’astratta configurabilità a carico del responsabile degli estremi oggettivi e soggettivi del relativo reato.
Il summenzionato pugilato rientra tra gli sports a violenza necessaria per i quali la stessa natura della pratica sportiva configura reati di lesioni o percosse.
Nel rugby o nel calcio, invece, anche se l’uso della violenza non è necessario, è tuttavia permesso in alcune circostanze.
In relazione agli sports a violenza necessaria o eventuale, si pongono due problemi principali: 1) da un lato occorre verificare il rilievo delle condotte violente poste in essere nei limiti di gioco consentiti all’interno di un determinato sport; 2) dall’altro lato bisogna ricostruire il trattamento penale da riservare alle condotte contrarie alle regole di gioco e che implicano conseguenze lesive o mortali.
Occorre precisare che il nostro ordinamento guarda con favore a questo tipo di attività sportive e le qualifica appunto come “attività autorizzate” come sancito anche dall’art. 2 Cost.
In dottrina e giurisprudenza si sono create diverse posizioni in merito alla liceità dei danni derivanti da questo tipo di attività.
Una prima tesi richiama l’articolo 51 c.p. secondo cui l’atleta eserciterebbe una vera e propria attività autorizzata; infatti l’esonero da responsabilità derivante dall’esercizio di attività sportive violente ha origini già molto antiche.
Già nel corpus iuris di Giustiniano si trovano dei passi in cui un pugile che in una competizione ha percosso o ucciso l’avversario non è assoggettato all’ actio iniuriarum prevista dalla lex Aquilia.
Una prima considerazione per considerare lecita tale attività è data dal consenso del soggetto che decide di iniziare questi tipi di sport, consenso che può essere anche implicito al rispetto delle regole che disciplinano l’attività sportiva e quindi alle possibili conseguenze tra cui le lesioni fisiche derivanti dalla competizione.
Il consenso opera tra l’altro come scriminante dell’esercizio del diritto, ovvero il consenso non opera come autonoma causa di giustificazione ma come condizione necessaria perché possa essere invocata la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p.
Vi è poi, oltre al consenso, come condizione di invocabilita’della scriminante dell’ esercizio del diritto, il rispetto delle regole del gioco, ritenuto presupposto dell’autorizzazione pubblica attorno a cui ruota la ricostruzione che si esamina.
Tuttavia questa prima tesi è stata ritenuta inadeguata per via dell’eccessivo rigore delle conseguenze derivanti dall’adesione a questa impostazione che porterebbe a scoraggiare la partecipazione dei giocatori allo sport.
Una seconda tesi prevede che il fondamento di liceità sarebbe da individuare nella scriminante di cui all’articolo 50 c.p.
Tuttavia anche questa tesi ha mostrato alcune perplessità relative all’inadeguatezza della scriminante volta a coprire i rischi connessi alla partecipazione all’attività sportiva, considerando che il mancato rispetto delle regole di gioco talvolta è fisiologicamente connesso ad ogni pratica sportiva e ne quindi imporrebbe un eccessivo rigore.
Queste due teorie hanno indotto dottrina e giurisprudenza ad optare per la tesi che ritiene che si tratti di una causa di giustificazione atipica o non codificata (come ribadito da Cass. Pen. Sez. V, 23 maggio 2005, n. 19473).
Muovendo dalla tesi secondo cui è invocabile una causa di giustificazione atipica, la giurisprudenza di legittimità ha tracciato i limiti di liceità dell’attività sportiva.
Ebbene si è ritenuto che il campo di applicazione dell’esimente può essere esteso anche in presenza di una violazione delle regole del gioco, purché non sia superato il limite del rischio consentito di quella determinata attività sportiva.
Occorre allora comprendere cosa si intende per rischio consentito.
Per rischio consentito deve intendersi l’area che non è delimitata dal rispetto del regolamento sportivo ma indica un ambito più ampio connesso ad azioni di gioco che possono ritenersi normale comportamento dei partecipanti.
Per cui, per parlarsi di illecito occorre che vengano travalicati i limiti previsti nell’alea del rischio consentito.
Il dolo ricorrerà quando la circostanza di gioco è solo l’occasione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica per ragioni estranee alla gara o per pregresse motivazioni personali, per ragioni di rivalsa o ritorsione.
Risulta necessario,quindi, ai fini dell’ individuazione della lesività dell’azione o meno, individuare se il fatto sia avvenuto nel corso di una tipica azione di gioco o al di fuori di essa.
Al fine di individuare invece una eventuale fattispecie colposa, siamo di fronte ad una attività che è avvenuta all’interno del gioco e che non è finalizzata ad arrecare pregiudizi fisici all’avversario, ma a perseguire un determinato obiettivo agonistico ponendo in essere una condotta antisportiva.
In conclusione, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di cassazione affinché si possa parlare di lesioni cagionate nel contesto di un’attività sportiva, occorre che vengano travalicati i limiti del rischio consentito.
In tal senso, da ultimo, Cass. Pen., 15 febbraio 2013, n. 7536 secondo cui: “l’ area del rischio consentito, integrante causa di giustificazione non codificata, elaborata in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento riconnette alla pratica dello sport, è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali va valutata, in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente, il cui comportamento nel travalicamento di quelle regole, può integrare tanto la colposa, involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata, quanto la consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco”.
È inoltre importante sottolineare come al di là dei limiti del rischio consentito ci sono le comuni regole di prudenza che ogni giocatore nell’ ambito di una determinata attività sportiva deve porre in essere.
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