Autotutela e legittimo affidamento
Il privato cittadino confida nel corretto operato della Pubblica Amministrazione che esercita il potere attribuitole dalle norme per il perseguimento dell’interesse pubblico. In sede di autotutela pubblicistica, concettualmente analoga a quella privatistica, ma teleologicamente differente, la Pubblica Amministrazione potrebbe violare il legittimo affidamento del cittadino, interessato a conservare i vantaggi attribuiti da un provvedimento amministrativo.
Negli ordinamenti moderni di diritto positivo, il potere amministrativo è attribuito e regolato dalla legge in totale rispetto del principio di legalità. I cittadini si affidano all’amministrazione non solo per il perseguimento del bene pubblico, ma anche per il legittimo e corretto bilanciamento tra quest’ultimo e interessi di natura privatistica.
Preliminarmente, occorre analizzare in che modo è regolato il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione, superati i canoni di assoluta autoritarietà ed unilateralità, il rapporto è ormai caratterizzato da reciprocità. Il cittadino non viene più considerato esclusivamente come un soggetto passivo, che subisce le decisioni della PA, ma al contrario è titolare di una serie di diritti per lo più procedimentali.
L’art 1 comma 2-bis della l. 241/90, recentemente aggiunto dalla l. 120/2020, stabilisce che i rapporti tra cittadino e pubblica Amministrazione sono improntati ai principi di collaborazione e buona fede. La collaborazione intende valorizzare le molteplici occasioni di dialogo e confronto tra amministrazione e cittadini, anche alla luce della nuova elaborazione dottrinale del rapporto amministrativo.
I principi generali in un ordinamento giuridico indicano ma allo stesso tempo implicano il fine da raggiungere, sono teleologicamente orientati. Nello specifico il principio del legittimo affidamento intende tutelare il privato da un abusivo esercizio del potere, ma soprattutto il suo affidamento sul corretto operato della Pubblica Amministrazione. Il principio del legittimo affidamento non ha una fonte scritta, è d’origine e derivazione giurisprudenziale, in particolare rientra tra i principi di natura europea che regolano l’attività amministrativa. Tuttavia, interpretando estensivamente i principi di collaborazione e buona fede, introdotti al comma 2-bis dell’art 1 l. 241/90, si potrebbe rinvenire un fondamento scritto anche del principio del legittimo affidamento.
Analizzando tale principio in un’ottica sistematica, altro non è che un corollario, o riflesso in ambito amministrativo, del principio di certezza del diritto e dei rapporti giuridici, che sarebbero violati non considerando adeguatamente l’affidamento del privato sull’operato dell’Amministrazione.
Calando il principio in aspetti maggiormente pratici, in presenza di un provvedimento amministrativo che concede un bene della vita o riconosce effetti favorevoli al cittadino, quest’ultimo potrà invocare il principio del legittimo affidamento se l’Amministrazione annulla o modifica il provvedimento. C’è un’aspettativa alla conservazione del bene da parte del cittadino, che è titolare di un interesse legittimo finalizzato non solo al corretto esercizio del potere da parte dell’Amministrazione, ma ad ottenere o conservare il bene della vita già presente nella propria sfera giuridica.
Tuttavia, vi è un limite all’operato del legittimo affidamento in presenza degli aiuti di stato, concetto elastico che può manifestarsi in svariate forme di sostegno dello Stato alle imprese. In questo caso il bilanciamento degli interessi coinvolti, vede prevalere le esigenze economiche e sociali del sistema concorrenziale, che sarebbe pregiudicato o compromesso, se si tutelasse il legittimo affidamento sulle attribuzioni dell’amministrazione statale.
In realtà per consolidare il legittimo affidamento del cittadino è necessaria la presenza di un elemento: oggettivo, soggettivo e cronologico. Il dato letterale della norma o del provvedimento deve essere chiaro e preciso, per rendere ragionevole l’affidamento del privato. Se dal testo della norma emergono tratti d’incertezza, o provvisorietà degli effetti del provvedimento, il cittadino ben potrebbe conoscerli non potendo invocare il suddetto principio.
Dal punto di vista soggettivo deve sussistere la buona fede del cittadino, che in assenza di colpa o dolo, si affida all’operato della Pubblica Amministrazione. Quest’ultima circostanza conferma la centralità della buona fede, intesa in senso soggettivo, nel rapporto tra amministrazione e cittadino. In ambito amministrativo il fattore temporale ha una sua rilevanza, nello specifico gli effetti del provvedimento amministrativo devono acquisire una certa stabilità. In seguito all’attribuzione del bene della vita o al riconoscimento di determinati vantaggi, deve trascorrere un arco temporale sufficiente per fondare l’affidamento del privato, che non potrebbe basarsi su attività amministrative soggette a continui mutamenti.
Come affermano alcuni teorici del diritto, per garantire il rispetto delle norme, occorre contestualmente prevedere specifiche sanzioni, o reazioni dell’ordinamento, alla loro violazione. Pertanto, l’ordinamento giuridico deve prevedere rimedi all’eventuale violazione del legittimo affidamento del privato, esposto al riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione. In primo luogo, sono previste forme di compensazione economica, sia indennizzi espressamente riconosciuti dalla legge, che risarcimenti del danno per lesione del legittimo affidamento. Non è riconosciuta esclusivamente tutela risarcitoria, ma altresì forme di tutela specifica, il legislatore individua limiti e condizioni all’esercizio del potere.
La dottrina ha ormai superato il dogma del potere illimitato ed inesauribile, al contrario è considerato limitato e consumabile, il cittadino non è continuamente esposto al riesercizio del potere amministrativo. Una delle occasioni nelle quali la Pubblica Amministrazione è legittimata al riesercizio del potere, è l’autotutela pubblicistica. Un istituto grazie al quale l’Amministrazione può riesaminare la questione, guidata da un intento demolitorio o conservativo del provvedimento originariamente emesso. Occorre specificare, che l’operato dell’Amministrazione anche in sede di autotutela deve sempre perseguire l’interesse pubblico, non ignorando contestualmente gli altri interessi coinvolti.
La legge del procedimento amministrativo, individua dei casi specifici nei quali l’Amministrazione interviene su di un provvedimento precedentemente emesso, senza far ricorso o attendere l’intervento dell’autorità giudiziaria competente. Il riesercizio del potere non deve necessariamente essere eseguito dallo stesso organo che ha emesso il provvedimento originario, la legge può anche legittimare un organo differente.
L’art 21-quinquies l. 241/90, tipizza una serie di circostanze in presenza delle quali l’amministrazione può revocare il provvedimento emanato: per sopravvenuti motivi d’interesse pubblico, mutamenti della situazione di fatto e ad esclusione di provvedimenti autorizzativi o attributivi di vantaggi economici, per una nuova valutazione dell’interesse pubblico. È evidente l’intento del legislatore di condizionare il riesercizio del potere solo in presenza dei motivi individuati dalla norma, nelle circostanze non tipizzate il potere sarà consumato.
Benché il legislatore condizioni il potere amministrativo, non prevede un limite temporale entro il quale revocare il provvedimento, ammettendo astrattamente la revoca anche a notevole distanza di tempo. Apparentemente questa norma sembrerebbe in contrasto con il principio del legittimo affidamento del privato, soprattutto nella parte in cui non prevede un limite temporale che tutelerebbe maggiormente il cittadino.
Tuttavia, il medesimo articolo dispone l’obbligo dell’Amministrazione di pagare un indennizzo ai soggetti interessati, che abbiano subito un pregiudizio in seguito alla revoca; parimenti il comma 1-bis, nel caso in cui la revoca abbia ad oggetto provvedimenti ad efficacia durevole o istantanea, che vadano ad incidere su rapporti negoziali, prevede specifici parametri di quantificazione dell’indennizzo. In questi casi la liquidazione dell’indennizzo deve considerare il danno emergente, ma altresì: la conoscenza o conoscibilità dei contraenti della contrarietà del provvedimento con l’interesse pubblico e l’eventuale concorso dei contraenti nell’erronea valutazione di compatibilità tra atto e interesse pubblico.
L’art 21-nonies dispone la possibilità di annullare d’ufficio un provvedimento illegittimo ai sensi dell’art 21-octies, effettuando contestualmente un bilanciamento con gli interessi dei destinatari e controinteressati, fermo restando le responsabilità dell’Amministrazione per l’adozione e mancato annullamento del provvedimento illegittimo. In questo caso il legislatore indica un duplice termine entro il quale esercitare tale potere, entro 18 mesi in presenza di provvedimenti di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici. Al di fuori di questi casi, l’annullamento potrà intervenire entro un termine ragionevole, concetto sicuramente elastico che tutela con minor intensità l’affidamento del privato.
Nelle ipotesi analizzate sinora si realizza un effetto demolitorio sul provvedimento da parte dell’Amministrazione in sede di autotutela, ciononostante il comma 2 dell’art 21-nonies prevede la possibilità di realizzare un effetto conservativo sul provvedimento. In particolare l’Amministrazione può, entro un termine ragionevole, convalidare il provvedimento annullabile per ragioni d’interesse pubblico. Ancora una volta il legislatore evidenzia come l’esercizio del potere debba essere finalizzato alla realizzazione dell’interesse pubblico.
Nell’ipotesi in cui la revoca o l’annullamento d’ufficio siano legittimi e conformi all’interesse pubblico, deve essere parimenti riconosciuta tutela al legittimo affidamento del privato entrato in rapporto con l’amministrazione. In questa circostanza bisogna scindere il corretto giudizio sull’atto, effettuato in sede di autotutela, e il comportamento scorretto tenuto dall’Amministrazione fondante l’affidamento del cittadino.
L’impulso di agire in autotutela può provenire sia dalla stessa Amministrazione, che dal privato, il quale ritenendo il provvedimento illegittimo esorta l’organo competente d’intervenire, prima di effettuare ricorsi gerarchici o azioni giudiziarie. L’amministrazione potrà beneficiare della possibilità di ritornare sui propri passi in sede di autotutela, senza subire pregiudizi da un eventuale pronuncia giudiziaria.
L’autotutela pubblicistica è un’eccezione alla regola generalmente riconosciuta nell’ordinamento, di non farsi giustizia da sé, infatti l’art 2907 c.c. stabilisce che i cittadini possono tutelare i propri diritti dinanzi l’autorità giudiziaria. Il codice penale agli articoli 392 e 393 prevede due fattispecie di reato, che puniscono chiunque con il fine di esercitare un preteso diritto si fa arbitrariamente ragione da sé, mediante l’uso di violenza su cose o persone.
Nonostante non ci siano margini di dubbio sulla validità di tale regola generale, il legislatore ha previsto una serie di strumenti che riconoscono la possibilità di tutelare i propri diritti senza l’intervento dell’autorità giudiziaria. Tra i vari esempi individuabili, per lo più in ambito civilistico, c’è l’art 1444 c.c., che riconosce la possibilità di convalidare il contratto annullabile, o la ritenzione del possessore di buona fede per ottenere le indennità dovute non corrisposte. D’altronde anche in ambito penalistico, l’art 52 c.p. riguardante la scriminante della legittima difesa, rappresenta un esempio di autotutela privatistica, reagendo all’offesa di un proprio diritto.
D’altronde alcuni interpreti fanno riferimento alla cosiddetta autotutela privatistica, identica ma al contempo differente rispetto alla pubblicistica, in entrambi i casi si intende tutelare i propri diritti senza l’intervento di un giudice. Tuttavia, l’autotutela pubblicistica si caratterizza per lo specifico interesse cui l’esercizio del potere è finalizzato, che legittima tale attività e i suoi effetti nei confronti dei consociati.
In presenza di determinati presupposti deve essere tutelato il legittimo affidamento del cittadino, che si aspetta di mantenere vantaggi ed effetti favorevoli disposti da un provvedimento amministrativo. In sede d’autotutela la Pubblica Amministrazione riesercitando il potere per il perseguimento dell’interesse pubblico, non può non considerare gli interessi dei destinatari e controinteressati che affidandosi al suo operato hanno acquisito una legittima aspettativa.
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Pasquale Barile
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