Avvalimento SOA e nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara

Avvalimento SOA e nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara

Cons. St., Ad. Pl., 16 ottobre 2020, n. 22 – Pres. Patroni Griffi, Est. Gianpiero Paolo Cirillo

Con la sentenza n. 22/2020 l’Adunanza Plenaria interviene sul regime di impugnazione delle clausole escludenti in materia di appalti pubblici, enunciando i seguenti princìpi di diritto: a) la clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 ed è pertanto nulla ai sensi dell’articolo 83, comma 8, ultimo periodo, del medesimo decreto legislativo; b) la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa; c) i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla, ivi compresi il provvedimento di esclusione dalla gara o la sua aggiudicazione, vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla.

In particolare i quesiti posti dalla quinta sezione del Consiglio di Stato sono due: a) se rientrino nel divieto di clausole cosiddette atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, le previsioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del medesimo decreto legislativo, escluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale; b) se, in particolare, possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che già ne posseggano una propria.

Infatti, in caso di ritenuta nullità ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, il regime processuale applicabile sarebbe quello dell’art. 31, comma 4, c.p.a., mentre, in caso di ritenuta annullabilità, sarebbe applicabile l’art. 120, comma 5, c.p.a..

La norma di riferimento è, anzitutto, l’art. 89 del decreto legislativo n. 50/2016, che consente l’utilizzazione dell’avvalimento in via generale da parte delle imprese che negoziano con la pubblica amministrazione, prevedendo quali uniche eccezioni alla regola le ipotesi contemplate nei commi 4, 10 e 11 della stessa.

La seconda disposizione che viene in rilievo è l’art. 83, comma 8, del medesimo decreto legislativo, laddove, nel disciplinare i criteri di selezione e il soccorso istruttorio, stabilisce che: «Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite. I bandi e le lettere d’invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle».

Ulteriore disposizione su cui è intervenuta l’A.P., infine, è la clausola del bando di gara in forza della quale i concorrenti, al fine di soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel presente disciplinare di gara, devono avvalersi dell’attestazione SOA di altro soggetto ad esclusione delle categorie di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto ministeriale 10 novembre 2016, n. 248, ai sensi del comma 11 dell’articolo 89 del codice.

Inoltre, “ai sensi del combinato disposto degli articoli 84 e 89, comma 1, del Codice i concorrenti che ricorrono all’Istituto dell’avvalimento devono, pena esclusione, essere in possesso di propria attestazione SOA da attestare secondo le modalità indicate nel precedente punto 17”.

La disciplina contenuta nella prima disposizione si incentra sui rapporti tra l’impresa ausiliaria e l’impresa ausiliata nonché sui rapporti giuridici che ciascuna di esse instaura con la stazione appaltante, prevedendo in capo a quest’ultima penetranti poteri di controllo sull’effettivo possesso dei requisiti professionali e tecnico-finanziari, che si estendono anche alla fase esecutiva, dell’impresa ausiliaria, che, pur non diventando parte nel contratto che segue l’aggiudicazione, è obbligata in solido con l’impresa ausiliata. Naturalmente poteri di controllo e di conseguente disciplina specifica vengono esercitati dalla stazione appaltante anche nei confronti dell’impresa ausiliata, che è comunque l’unica che partecipa alla gara e sottoscrive il contratto in caso di aggiudicazione. Inoltre essa è garante dell’esatta esecuzione del contratto di avvalimento da parte dell’impresa ausiliaria.

La disciplina contenuta nella seconda norma ricordata (art. 83) non elimina, anzi lo regolamenta, il potere della stazione appaltante di indicare nel bando le condizioni minime di partecipazione e i mezzi di prova. Questo al fine di consentire la verifica, in via formale e sostanziale, delle capacità realizzative dell’impresa, nonché le competenze tecnico-professionali e le risorse umane, organiche all’impresa medesima.

Conseguentemente, l’Adunanza Plenaria, conformemente al diritto dell’Unione europea, chiarisce che la stazione appaltante incontra il limite di non poter escludere il meccanismo dell’avvalimento se non nei casi tassativamente previsti dalla legge.

In ordine alla clausola del bando, questa è stata ritenuta illegittima per contrasto con l’art. 83, comma 8. Ciò che ne è emerso, invero, è una forte contraddittorietà considerato che, mentre da un lato, consente l’avvalimento dell’attestazione SOA di altro soggetto, dall’altro, richiede il possesso di propria attestazione SOA. Essa, inoltre, prevedendo una causa di esclusione (il mancato possesso della propria attestazione SOA) sprovvista di idonea base normativa, si pone in contrasto col divieto di porre cause di esclusione non previste per legge, a pena di nullità della clausola (art. 83, comma 8, ultimi due periodi).

A tal proposito, l’A.P., in linea con la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato, ammette l’avvalimento delle certificazioni di qualità e, in particolare, delle attestazioni SOA, poiché riconosce nella certificazione di qualità un requisito speciale di natura tecnico-organizzativa, come tale suscettibile di avvalimento, in quanto il contenuto dell’attestazione concerne il sistema gestionale dell’azienda e l’efficacia del suo processo operativo.

Orientamento, questo, che ha trovato espressione, altresì, nel Codice degli Appalti e che si discosta da un primo indirizzo che, invece, negava l’ammissibilità dell’avvalimento sul presupposto del carattere intrinsecamente e insostituibilmente soggettivo e quasi “personalistico” della certificazione di qualità.

Tale possibilità è intesa a favorire il principio della massima partecipazione alle procedure di gara che ha trovato espressione nella stessa formulazione dell’art. 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, come modificato dal d. lgs. n. 56 del 2017, nella parte in cui si prevede che l’operatore economico possa soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale, di cui all’art. 83, comma 1, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50 del 2016, necessari per partecipare ad una procedura di gara, con esclusione dei requisiti di cui all’art. 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi.

Per i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, il possesso di detti requisiti di qualificazione avviene esclusivamente, ai sensi dell’art. 84, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, mediante attestazione da parte delle società organismi di attestazione (SOA) autorizzate dall’ANAC.

Tuttavia, per evitare che l’avvalimento dell’attestazione SOA, ammissibile in via di principio per il favor partecipationis che permea l’istituto dell’avvalimento, divenga in concreto un mezzo per eludere il rigoroso sistema di qualificazione nel settore dei lavori pubblici, il Consiglio di Stato ha più volte ribadito che l’avvalimento dell’attestazione SOA è consentito ad una duplice condizione: a) che oggetto della messa a disposizione sia l’intero setting di elementi e requisiti che hanno consentito all’impresa ausiliaria di ottenere il rilascio dell’attestazione SOA; b) che il contratto di avvalimento dia conto, in modo puntuale, del complesso dei requisiti oggetto di avvalimento, senza impiegare formule generiche o di mero stile.

Ne deriva che, in materia di gare pubbliche, quando oggetto dell’avvalimento sia un’attestazione SOA di cui la concorrente sia priva, occorre, ai fini dell’idoneità del contratto, che l’ausiliaria metta a disposizione dell’ausiliata l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire l’attestazione da mettere a disposizione.

Conseguentemente, è onere del concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto e l’attestazione SOA, ma assume la specifica obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità.

Tali condizioni, del resto, sono coerenti con la ricostruzione dogmatica dell’istituto dell’avvalimento nelle gare pubbliche, ricondotto anche di recente da questa Adunanza plenaria (sent. n. 13 del 2020) ai c.d. contratti d’impresa.

Nel delineato quadro normativo, sussistendo il rispetto delle condizioni cui la giurisprudenza del Consiglio di Stato subordina la legittimità del ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA e, per converso, non ricorrendo alcuna delle ipotesi, anche indirette, in cui l’avvalimento risulta vietato, l’obbligo, imposto all’ausiliata dal disciplinare di gara, espressamente a pena di esclusione, di produrre la propria attestazione SOA, quando questa vorrebbe avvalersi dell’attestazione SOA dell’ausiliaria, si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89 del d. lgs. n. 50 del 2016, che non escludono la possibilità dell’avvalimento dell’attestazione SOA né, tantomeno, subordinano tale possibilità alla condizione di depositare in sede di gara l’attestazione SOA dell’impresa ausiliata in proprio.

L’art. 89, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016, in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato, consente alle stazioni appaltanti di prevedere «nei documenti di gara che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente», con un limite consentito all’avvalimento in ragione delle peculiari caratteristiche dell’opera richiesta.

Pertanto, in un contesto normativo ormai mutato e volto a consentire la massima espansione all’avvalimento senza, però, sminuire l’affidabilità economica e tecnica delle imprese partecipanti alla gara, non si può dare seguito all’orientamento espresso da questo Consiglio con la sentenza n. 1772 del 27 marzo 2013, la quale ha inteso, peraltro, evitare gli effetti distorsivi del sistema, potenzialmente derivanti dall’ammissione dell’avvalimento della SOA in presenza di «mera sommatoria delle attestazioni SOA dell’impresa avvalente e dell’impresa ausiliaria, prescindendo dal fatto che ciascuna di esse sia autonomamente in possesso della qualificazione necessaria alla partecipazione alla gara».

Neppure si può ritenere che la clausola in questione sia legittima (come sembra prospettare la sezione remittente), sulla base dell’art. 83, comma 8, primo periodo, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove prevede che «le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità».

Infatti, rileva il principio di tassatività delle cause di esclusione, affermato dallo stesso art. 83, comma 8, sicché la discrezionalità, comunque non illimitata né insindacabile, della pubblica amministrazione nel disporre ulteriori limitazioni alla partecipazione, integranti speciali requisiti di capacità economico-finanziaria o tecnica che siano coerenti e proporzionati all’appalto, è potere ben diverso dalla facoltà, non ammessa dalla legge, di imporre adempimenti che in modo generalizzato ostacolino la partecipazione alla gara, come è avvenuto nel presente caso per l’avvalimento dell’attestazione SOA, senza adeguata copertura normativa e in violazione del principio della concorrenza.

Una volta ritenuta l’illegittimità della clausola escludente posta all’attenzione della Plenaria, è possibile acclarare se essa sia annullabile o nulla.

In estrema sintesi, deve ritenersi che la clausola escludente del bando è affetta da nullità, e pertanto da considerare come non apposta e quindi disapplicabile, poiché essa finisce per integrare un requisito ulteriore rispetto a quelli espressamente previsti dagli artt. 80 e 83 del codice dei contratti pubblici; cosa non consentita dall’ordinamento, che anzi in tal caso prevede la sanzione massima della nullità.

Da ciò l’Adunanza Plenaria desume che si tratti di una nullità parziale che non invalida l’intero bando e che non si configuri una fattispecie di nullità derivata o successiva, bensì propria, ossia di una clausola in contrasto con una norma imperativa di legge.

La questione riveste carattere generale, in quanto si tratta di stabilire gli esatti termini del funzionamento dell’istituto della nullità nei rapporti amministrativi.

Muovendo dal ribadire che il principio basilare su cui si è retta la teorica dell’atto amministrativo e dei conseguenti rapporti sostanziali  è quello secondo cui lo stato naturale della fattispecie invalida è l’annullabilità, sicché il sistema relativo all’invalidità si è incentrato sull’unico vizio principale, ossia l’illegittimità, l’adunzna Plenaria richiama la disciplina contenuta nell’art. 31 cpa.

Ai sensi del comma 4 del citato articolo, rubricato sotto il titolo «Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità», «La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di 180 giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’art. 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV». L’ultimo rimando si riferisce al procedimento relativo al giudizio di ottemperanza, dove nella lettera indicata si stabilisce: «Dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato». Infine l’art. 133, che, elencando le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva, al comma 1, lett. a), n. 5 vi include: «(la) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato».

La nullità dell’atto amministrativo figura generale, assieme all’annullabilità, dell’invalidità e che può essere riguardata non solo come vizio, ma anche come azione, eccezione in senso tecnico e come sanzione- va analizzata nel contesto ordinamentale specifico, diverso da quello civile.

Essa opera in presenza di un provvedimento amministrativo, che viene emanato nell’ambito di un procedimento rigorosamente disciplinato e che costituisce la forma necessaria dell’azione tendenzialmente unilaterale, ancorché sempre più spesso partecipata, del potere amministrativo. Quest’ultimo si apre, prosegue e si chiude all’insegna del principio per cui l’amministrazione deve curare l’interesse pubblico datogli in attribuzione dalla legge in maniera da raggiungere il massimo risultato possibile con il minimo mezzo.

Il profilo dell’illegittimità del provvedimento, anche quando ridondi sul procedimento che lo contiene, rileva in maniera efficace solo in sede processuale, a meno che l’amministrazione non ritenga di aprire un procedimento di secondo grado di autotutela.

Pertanto la nullità emerge nel processo, che ha le sue regole. Quindi chi intenda farla valere deve necessariamente proporre l’azione di annullamento dell’atto emanato in esecuzione di un provvedimento che si assume nullo, mentre l’azione di accertamento è ammissibile solo nei pochi casi in cui il soggetto abbia interesse al mero accertamento e non al suo annullamento; ipotesi difficilmente riscontrabile quando l’amministrazione, proseguendo nel suo itinerario procedimentale, emani altri atti, che il primo presuppongano, i quali producono effetti sulla situazione sostanziale o procedimentale del soggetto inciso.

Nel complesso delineato contesto ordinamentale, l’Adunanza Plenaria ritiene che la clausola escludente, che si ponga in violazione dell’art. 83, comma 8, del ‘secondo codice’ sugli appalti pubblici, non si possa considerare annullabile (e dunque efficace).

A riguardo, l’Adunanza Plenaria richiama alcune considerazioni.

Ed invero. Ancor prima dell’entrata in vigore del ‘primo codice’ dei contratti pubblici (d.lg. n. 163 del 2006), per la tradizionale giurisprudenza amministrativa l’impresa potenzialmente lesa da una clausola escludente aveva l’onere di proporre subito un ricorso giurisdizionale, sicché si doveva considerare tardiva la sua impugnazione unitamente all’esclusione, se proposta dopo la scadenza del termine di impugnazione del bando.

Con l’intervento del d.l. n. 70/2011  è stato introdotto il principio della ‘tassatività delle cause di esclusione’ e disponendo al comma 1-bis che ‘sono comunque nulle’ le ‘clausole escludenti’ che violano tale principio.

Le finalità di tale riforma sono volte a imporre alla stazione appaltante di emanare gli ulteriori atti del procedimento senza attribuire rilievo alla clausola escludente contra legem, nonché a consentire la piena tutela giurisdizionale poi sia emanato l’atto di esclusione.

Sul significato di tale nullità si è pronunciata l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 9 del 2014, per la quale “la sanzione della nullità… è riferita letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi tipici; si dovrà fare applicazione, pertanto, dei principi in tema di nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, comma 2, c.c. (vitiatur sed non vitiat”).

Nondimeno, l’art. 83, comma 9, del vigente codice degli appalti (d.lg. n. 50 del 2016) ha confermato il principio di tassatività delle cause di esclusione e ha ribadito che ‘sono comunque nulle’ le clausole escludenti in contrasto con tale principio.

Ritiene l’Adunanza Plenaria che la nullità della clausola escludente contra legem, ora prevista dall’art. 83, comma 9, del codice, vada intesa anch’essa come nullità in senso tecnico (con la conseguente improduttività dei suoi effetti.

Consegue che la clausola è nulla, ma tale nullità, se da un lato non si estende al provvedimento nel suo complesso (vitiatur sed non vitiat), d’altro canto impedisce all’amministrazione di porre in essere atti ulteriori che si fondino su quella clausola, rendendoli altrimenti illegittimi e quindi, attesa l’autoritatività di tali atti applicativi, annullabili secondo le regole ordinarie.

Ritenere che la nullità sancita dal comma 8, ultima parte, dell’articolo 83 vada intesa come annullabilità si porrebbe in contrasto con la scelta del legislatore di qualificare come nulla la clausola escludente contra legem, e dunque non solo con il tenore testuale della legge, cui occorre attribuire primario rilievo in sede ermeneutica, ma anche con la sua composita ratio, volta a individuare un equilibrio tra radicale invalidità della clausola per contrasto con norma imperativa, ordinaria autoritatività dei provvedimenti amministrativi e interesse del ricorrente a far valere l’invalidità, in termini di nullità, quando essa si traduca in un provvedimento applicativo (esclusione o aggiudicazione) lesivo in concreto della sua situazione soggettiva tutelata..

Inoltre ritiene l’Adunanza Plenaria che, al cospetto della nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara, non vi sia l’onere per l’impresa di proporre alcun ricorso: tale clausola, proprio perchè inefficace e improduttiva di effetti, si deve intendere come ‘non apposta’ a tutti gli effetti di legge.

Non si possono considerare applicabili l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 31 del codice del processo amministrativo, i quali si riferiscono ai casi in cui un provvedimento sia nullo ed ‘integralmente’ improduttivo di effetti: la clausola escludente affetta da nullità, in base al principio vitiatur sed non vitiat già affermato a suo tempo dall’Adunanza, non incide sulla natura autoritativa del bando di gara, quanto alle sue ulteriori determinazioni.

Il legislatore, nel prevedere la nullità della clausola in questione, ha disposto la sua inefficacia, tanto che la stazione appaltante comunque non può attribuire ad essa rilievo perché ritenuta “inoppugnabile”.

I successivi atti del procedimento, inclusi quelli di esclusione e di aggiudicazione, pur basati sulla clausola nulla, conservano il loro carattere autoritativo e sono soggetti al termine di impugnazione previsto dall’art. 120 del codice del processo amministrativo, entro il quale si può chiedere l’annullamento dell’atto di esclusione (e degli atti successivi) per aver fatto illegittima applicazione della clausola escludente nulla.

L’art. 120 non prevede alcuna deroga al termine di decadenza di trenta giorni, che sussiste qualsiasi sia il vizio dell’atto impugnato. Né può farsi discendere, quanto meno nell’ordinamento amministrativo, la nullità di un atto applicativo di un precedente provvedimento solo parzialmente affetto da una nullità riferita a una sua specifica clausola inidonea a inficiare la validità di quel provvedimento nel suo complesso.

Non vi è dunque alcun onere, in conclusione, per le imprese partecipanti alla gara di impugnare (entro l’ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi “inefficace” ex lege, ma vi è uno specifico onere di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente.

Tanto considerato, l’Adunanza Plenaria enuncia i seguenti princìpi di diritto: a) la clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 ed è pertanto nulla ai sensi dell’articolo 83, comma 8, ultimo periodo, del medesimo decreto legislativo; b) la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa; c) i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla, ivi compresi il provvedimento di esclusione dalla gara o la sua aggiudicazione, vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla.


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