Avvocati e conto corrente: adesso i versamenti vanno giustificati
Cass. civ., sez. tributaria, 9 agosto 2017, n. 19806
L’Agenzia delle entrate emetteva, nei confronti di un avvocato, avviso di accertamento relativamente a presunti maggiori redditi ai fini IRPEF e di maggiori ricavi ai fini IVA emersi a seguito della verifica delle movimentazioni bancarie effettuate dal predetto professionista, che non avevano trovato “riconciliazione” in sede di contraddittorio endoprocedimentale.
La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, di rigetto del ricorso avverso il predetto atto impositivo, veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, adita dal ricorrente, che, per quanto ancora di interesse, riteneva che il contribuente non aveva fornito alcun elemento concreto di riscontro <circa l’oggetto dell’operazione in entrata> né <circa l’esatta individuazione del beneficiario> delle <rilevantissime operazioni in uscita> di <quasi 70.000 euro>.
Avverso la sentenza di appello, il contribuente proponeva ricorso per cassazione deducendo, per quanto qui di interesse, che, alla stregua del principio affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 263 del 2012, <una corretta applicazione dell’art. 2697 c.c. avrebbe in ogni caso dovuto indurre il giudicante ad addossare all’Amministrazione l’onere della prova, posto che concretamente, prima ancora di potersi pervenire all’inversione dell’onere e dato atto delle spiegazioni del contribuente, l’Amministrazione stessa, avrebbe dovuto, come rilevato, comprovare i fatti costitutivi posti a base dei due accertamenti>. Sosteneva, inoltre, che <nel caso di specie, invece, l’Agenzia delle entrate si è solo limitata a ritenere rilevanti, ai fini dell’accertamento, tutte quelle partite contabili che, in qualche modo, non erano state giustificate>.
Invero, nella fattispecie è accaduto che, a seguito della verifica dei movimenti dei conti correnti bancari intestati al contribuente, l’Agenzia delle entrate con l’avviso di accertamento impugnato ha provveduto a recuperare a tassazione non solo i versamenti ma anche i prelievi (per oltre 70.000,00 euro), considerandoli <compensi> conseguiti dall’attività libero professionale dal medesimo svolta, così come, al momento della pronuncia della sentenza impugnata (13 dicembre 2011), era previsto dal d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, stabiliva che <sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni>.
E’ noto l’intervento della Corte costituzionale in materia. Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della presunzione posta dall’ultima parte della sopra citata disposizione e dell’inversione dell’onere probatorio che ne discende, il Giudice delle leggi con sentenza 24 settembre 2014, n. 228 ha rilevato la contrarietà della medesima al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, ritenendo <arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito>, dichiarando, quindi, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione <limitatamente alle parole «o compensi»>.
Ebbene, il Collegio ha osservato che nella citata sentenza del Giudice delle leggi sembrerebbe essere rinvenibile una discrasia tra motivazione e dispositivo, nella prima avendo fatto chiaramente riferimento ai soli prelevamenti dai conti bancari e nella seconda, invece, avendo sancito in maniera perentoria l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata (art. 32, comma 1, num. 2, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a), num. 1, legge 30 dicembre 2004 n. 311), <limitatamente alle parole «o compensi»>, che nell’architettura della citata disposizione è posta con riferimento ai prelevamenti, ma anche agli <importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni>, che potrebbero far pensare ai versamenti. Tanto ha rilevato anche un’attenta dottrina che ha, altresì, precisato che dalla lettura isolata della parte conclusiva della motivazione della sentenza della Corte costituzionale e del suo dispositivo, si potrebbe essere indotti a credere che la pronuncia di incostituzionalità si riferisca, con riguardo ai lavoratori autonomi, ad entrambe le presunzioni, ovvero sia a quella relativa ai prelevamenti che ai versamenti.
Orbene, ancorché alcune pronunce della medesima Suprema Corte (cfr. Cass. Sez. 5^, sent. n. 23041 del 2015, n. 16440, n. 12779 e n. 12781 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 24862 e n. 19970 del 2016) abbiano, più o meno esplicitamente, interpretato in tal modo il citato pronunciamento del Giudice delle leggi e, quindi, ritenuto essere venuta meno la presunzione di imputazione ai <compensi> dei lavoratori autonomi o dei professionisti intellettuali sia dei prelevamenti che dei versamenti operati sui conti bancari (la citata sentenza n. 23401/2015, richiamata in tutte le altre pronunce citate, è così massimata: <In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione di cui all’art. 32 del d. P. R. n. 600 del 1973, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dal contribuente che non ne dimostri l’inclusione nella base imponibile oppure l’estraneità alla produzione del reddito, si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi o professionisti intellettuali, essendo venuta meno, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, la modifica della citata disposizione, apportata dall’art. 1, comma 402, della legge n. 311 del 2004, sicché non è più sostenibile l’equiparazione, ai fini della presunzione, tra attività d’impresa e professionale per gli anni anteriori>), il Collegio ha ritenuto che vada invece seguito e ribadito il diverso orientamento secondo cui <In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti> (cfr. Cass. Sez. 5^, n. 16697 del 2016; in senso analogo, Cass. Sez. 5, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 11776, n. 6093 del 2016; n. 23575 del 2015 nonché, più recentemente, n. 5152 e n. 5153 del 2017; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016; Cass. Sez. 5″, n. 18126, n. 18125, n. 16929, n. 13470, n. 12021 del 2015).
La maggior coerenza di tale orientamento con la sentenza della Corte costituzionale discende dalla considerazione che la sopra rilevata discrasia tra motivazione e dispositivo della stessa non si traduce in un vero e proprio contrasto tra le due parti della pronuncia, il che comporta che la sua portata precettiva debba essere individuata integrando il dispositivo con la motivazione (arg. da Cass. Sez L, n. 12841 del 2016). Ed in questa è chiaramente desumibile, anche alla stregua della questione di costituzionalità sollevata dal giudice remittente, che la Corte costituzionale ha inteso escludere l’operatività della presunzione legale basata sugli accertamenti bancari, nei confronti dei lavoratori autonomi, solo ed esclusivamente ai prelevamenti. E lo si ricava dalle argomentazioni svolte dal Giudice delle leggi nel corpo motivazionale della pronuncia (punti 4, 4.1 e 4.2) e dalla conclusione tratta al punto 5, ove si afferma che <Pertanto nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito>, nessun accenno venendo fatto in tali sviluppi argomentativi ai <versamenti> in conto.
In conclusione, il Collegio ha applicato i predetti principi al caso di specie, avendo il contribuente posto in discussione la legittimità dell’accertamento sotto il profilo dell’utilizzazione della presunzione quanto ai prelevamenti effettuati dai conti correnti e considerati dall’ufficio come redditi, e della conseguente incidenza sul riparto dell’onere probatorio, ricadente sull’amministrazione finanziaria.
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