Avvocati, è diffamazione inviare un esposto offensivo al Consiglio dell’Ordine

Avvocati, è diffamazione inviare un esposto offensivo al Consiglio dell’Ordine

Cassazione penale, sez. V, 6 luglio 2018, n. 39486

L’invio di una missiva o di un esposto gratuitamente offensivo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati integra gli estremi del reato di diffamazione: sussiste, infatti, il requisito della comunicazione con più persone atteso che il Consiglio è un organo collegiale. Non ricorre la speciale causa di non punibilità prevista per le offese in scritti diretti alle autorità giudiziarie o amministrative poiché l’autore dell’esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare.

Un importante passo avanti

La citata decisione viene accolta con estremo favore da questa Rivista anche perché oggigiorno l’avvocato deve difendersi soprattutto dal proprio cliente, il quale sempre più spesso si rivolge ad un legale solo dopo avere raccolto informazioni qua e là (spesso sommarie e sbagliate) sulla soluzione del caso che lo riguarda; clienti non sempre disposti a fidarsi dei consigli professionali che – però – cercano.

Infine, si registra anche un malcostume diffuso che porta alcuni professionisti, interpellati da clienti dubbiosi sull’operato del proprio avvocato, a non rimandare al mittente le accuse sull’operato altrui.

Nell’attuale contesto, allora, la decisione commentata appare assolutamente ragionevole anche nella parte in cui – respingendo le censure sollevare – non ha riconosciuto l’esimente del diritto di critica facendo leva proprio sulla gratuità delle espressioni offensive utilizzate.

Legittimo, inoltre, ritenere non applicabile l’esimente con riferimento agli esposti indirizzati al Consiglio dell’Ordine. Sul punto, aderendo all’orientamento decisamente maggioritario sul punto, la Suprema Corte ha ritenuto che l’autore dell’esposto non può essere considerato ‘parte’ del procedimento disciplinare.

Infatti, colui che presenta un esposto disciplinare ad un Ordine professionale sollecita l’esercizio di una potestà pubblicistica di verifica del rispetto delle regole deontologiche da parte di un professionista e non è legittimato dalla tutela di una sua specifica posizione soggettiva, non è contraddittore in seno al procedimento, non riceve notizia dei provvedimenti emessi dagli organi disciplinari, né può impugnarne le decisioni e non ha neppure diritto di essere informato dei suoi sviluppi.


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