Avvocato: la malattia non rileva di per sé come legittimo impedimento

Avvocato: la malattia non rileva di per sé come legittimo impedimento

La rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., deve consistere in un fatto esterno alla sfera di controllo della parte e del difensore che deve essere specificamente provato anche nella sua efficacia causale.

Il caso. Con la pronuncia n. 15300, resa lo scorso 13 maggio[1], la Cassazione torna a ribadire che la malattia del procuratore non rileva di per sé come legittimo impedimento a svolgere l’attività professionale se manca la prova dell’assolutezza delle circostanze giustificanti la causa non imputabile.

La CTR della Lombardia aveva respinto l’appello proposto da un contribuente avverso la decisione con cui quest’ultimo si era visto dichiarare inammissibile per tardività il ricorso, da lui promosso, nei riguardi dell’avviso di accertamento relativo, al periodo di imposta dell’anno 2012.

Il Giudice di appello aveva, infatti, ritenuto pacifica l’oggettiva tardività sia dell’istanza di accertamento con adesione che del ricorso e, quindi, insussistenti le condizioni per una rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., non configurandosi, alla luce della documentazione medica prodotta, uno stato di impedimento assoluto.

Il contribuente, quindi, decideva di promuovere ricorso per cassazione lamentando, con un unico motivo di impugnazione, la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 degli artt. 115, 116 e 153 c.p.c., dell’art. 2700 c.c., del D.L. n. 546 del 1992, art. 1, 7 e 36, degli artt. 2, 3, 24, 101 e 111 Cost., degli art. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché degli artt. 20, 47 e 48 della Carta fondamentale dell’unione Europea.

A suo dire, infatti, la CTR aveva valutato, secondo il suo prudente apprezzamento, una prova soggetta ad un diverso regime legale in spregio alla prescrizione dell’art. 116 c.p.c., ritenendo, quindi, a torto non provato il fatto impeditivo.

La rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. Come noto, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c.[2], è stato novellato dalla L. n. 69 del 2009[3]. Tale intervento normativo, infatti, ha ampliato la portata dell’istituto de quo con una duplice operazione. In primo luogo, la norma è stata estratta dal titolo primo (“del procedimento davanti al Tribunale”) del libro secondo (“del processo di cognizione”) del codice di rito e collocata all’interno della disciplina dei “termini” dettata nel libro primo dedicato alle “disposizioni generali”. In secondo luogo, laddove si parlava di giudice istruttore, ora si parla di giudice senza connotazioni. In tal modo il principio è stato esteso al di là della sua portata originaria.

La norma dell’art. 153, comma 2, c.p.c., trova applicazione anche al rito tributario, alla luce dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e di effettività delle garanzie difensive, che anche questo connotano, non meno di quello civile, nell’ottica della piena attuazione delle garanzie difensive e del giusto processo, operando sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali interni al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l’impugnazione dei provvedimenti sostanziali che sono oggetto delle tutele processuali concesse[4].

Ai fini, poi, della fruizione di un eventuale provvedimento di rimessione in termini di cui all’art. 153, comma 2, c.p.c., è richiesta la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa, nonché anche la dimostrazione specifica che la decadenza è stata determinata da una causa non imputabile alla stessa, in quanto cagionata da un fattore estraneo alla sfera di controllo sua e del difensore.

La giurisprudenza, poi, ha riconosciuto l’applicabilità dell’istituto in questione al giudizio di cassazione, ove sussista in concreto una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell’assolutezza[5].

Sul legittimo impedimento a svolgere l’attività professionale. Secondo la S.C., la malattia del difensore non rileva di per sé come legittimo impedimento, specie se, come nel caso che qui si annota, non è stato allegato un malessere improvviso o un totale impedimento a svolgere l’attività professionale, ma solo uno stato di salute non ottimale, a fronte del quale il professionista avrebbe dovuto e potuto organizzarsi in modo tale che le attività ordinarie (come quella di informare i clienti sull’esito dei giudizi in corso e sulle notifiche ricevute di atti ad essi relativi) potessero svolgersi senza interruzioni[6].

È necessario, quindi, che dalla documentazione medica allegata si possa evincere l’impossibilità per il difensore di provvedere nel rispetto del termine[7].

Conclusioni. Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, le certificazioni mediche prodotte dal difensore, ben lungi dall’assumere valore fidefacente, contenevano mere valutazioni, non assistite da fede privilegiata, e come tali soggette al prudente apprezzamento del giudice non censurabile in sede di legittimità.

Non solo, ma la decisione assunta dalla CTR è coerente con gli indirizzi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., deve essere giustificata da un fatto esterno alla sfera di controllo della parte e del difensore che pure deve essere specificamente provato nella sua efficacia causale.

Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

 

 


[1] Cass. civ., 13 maggio 2022, n. 15300, in www.leggiditalia.it
[2] Art. 153 c.p.c. (Improrogabilità dei termini perentori) secondo cui: “1. I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti. 2. La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma”. Per un approfondimento si rinvia a A. Panzarola, Sulla rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2009, 6, 1636.
[3] L. 18-6-2009 n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. Pubblicata nella Gazz. Uff. 19 giugno 2009, n. 140, S.O. Per un approfondimento si rinvia a C. Consolo, Una buona “novella” al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corriere Giur., 2009, 6, 737.
[4] Cfr. Cass. civ., 15 aprile 2014, n. 8715, in www.leggiditalia.it; in dottrina cfr. C. Cariglia, Brevi note sull’applicabilità della rimessione in termini nel processo tributario, in Giur. It., 2017, 6, 1337; F. Tesauro, Giustizia tributaria e giusto processo, in Rass. Tributaria, 2013, 2, 309 e A. Russo, I Riflessi, nel processo tributario, della rimessione in termini, in Fisco, 2008, 12 – parte 1, 2149.
[5] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 18 dicembre 2018, n. 32725 e Cass. civ., 23 novembre 2018, n. 30512 entrambe in www.leggiditalia.it
[6] Sul punto ex multis v. Cass. civ., Sez. Un., 18 dicembre 2018, n. 32725; Cass. civ., 17 giugno 2015, n. 12544 e Cass. civ., 12 luglio 2005, n. 14586, tutte in www.leggiditalia.it
[7] v. Cass. civ., 25 luglio 2019, n. 20211, in www.leggiditalia.it

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Francesca Ferrandi

Laureata in Giurisprudenza e in Scienze Politiche presso l'Università di Pisa (con votazione 110/110 e lode) e abilitata alla professione forense nel 2015. Nel 2018 ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l'Università di Roma "Tor Vergata" in Diritto e Tutela: esperienza contemporanea, comparazione, sistema giuridico-romanistico. Dal 2019 è membro del Comitato editoriale della Rivista scientifica L'Osservatorio sul diritto di famiglia. Diritto e processo (ISSN 2611-9145). E' autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in materia di diritto processuale civile, diritto di famiglia e diritto della crisi d'impresa.

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