Azione revocatoria e preliminare di vendita per persona da nominare
L’azione revocatoria è uno strumento di tutela predisposto dal legislatore al fine di consentire al creditore di conservare la garanzia del proprio credito.
Come previsto dall’art. 2901 c.c., in particolare, il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono determinate condizioni.
In primo luogo, occorre osservare come la norma citata abbia accolto una nozione lata di credito, comprensiva anche della mera aspettativa.
Non occorre, pertanto, che il credito per il quale si agisce sia certo, liquido ed esigibile, potendo quindi costituire presupposto dell’azione revocatoria anche un credito litigioso, suscettibile anch’esso di determinare l’insorgenza della qualità di creditore che abilita all’esercizio della suddetta azione.
Si deve infatti considerare che la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore non costituisce titolo sufficiente per procedere all’esecuzione forzata verso il terzo acquirente, essendo a tal fine necessario che il creditore sia titolare di un valido titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., il quale accerti o abbia accertato la sussistenza e l’ammontare del credito.
La prova della sussistenza del credito grava ovviamente sull’attore, il quale è dunque tenuto a dimostrarne l’esistenza con tutti i mezzi di prova disponibili.
Secondo quanto specificatamente previsto dalla legge, costituisce requisito imprescindibile per l’esercizio dell’azione revocatoria il compimento, da parte del debitore, di un atto di disposizione che sia suscettibile di determinare un pregiudizio alle ragioni del creditore.
Non tutti gli atti dispositivi sono tuttavia revocabili: non possono considerarsi tali, infatti, quegli atti aventi ad oggetto beni inalienabili o impignorabili, come tali esclusi dalla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.
Si ritiene, d’altra parte, che non siano revocabili gli atti mortis causa (di cui l’unico esempio nel nostro ordinamento è il testamento), i quali non sono suscettibili di comportare un pregiudizio alle ragioni del creditore.
Sono invece certamente revocabili la datio in solutum, andando a costituire uno strumento di pagamento anomalo, nonché la cessione del credito e la novazione, le quali, comportando una modificazione delle componenti attive e passive del patrimonio del debitore, sono suscettibili di riflettersi negativamente sulla posizione del creditore.
Analoghe considerazioni, d’altra parte, valgono per l’adempimento del terzo, nonché per l’adempimento di un’obbligazione naturale e per la compensazione volontaria.
Sono altresì revocabili l’atto di costituzione di un fondo patrimoniale, il conferimento in società e l’atto di divisione della cosa comune.
Con specifico riguardo a quest’ultimo, in realtà, la qualificazione del medesimo come atto essenzialmente dichiarativo ha indotto una parte degli interpreti ad escludere l’ammissibilità di un’azione revocatoria.
Secondo tale impostazione, l’esercizio dell’azione revocatoria avverso la divisione convenzionale sarebbe possibile solo quando da essa derivi un decremento del patrimonio del debitore, ossia in tutte quelle ipotesi in cui il cespite ad egli assegnato presenti un valore economico inferiore alla quota che gli sarebbe spettata. Solo in tal caso, infatti, la divisione non assumerebbe carattere meramente dichiarativo, ma costitutivo di un diritto diverso da quello di cui era originariamente titolare il comunista.
Ad analoghe conclusioni si dovrebbe pervenire, d’altronde, nell’ipotesi in cui la divisione preveda un conguaglio in denaro; essendo questo facilmente occultabile, infatti, aumenta il rischio per i creditori di veder diminuita la garanzia del proprio credito.
Secondo la tesi prevalente, al contrario, anche riconoscendo la natura dichiarativa del contratto di divisione, non si può escludere che lo stesso possa costituire oggetto dell’azione revocatoria, stante l’ampia formulazione della norma di cui all’art. 2901 c.c.
Ciò è inoltre confermato dall’art. 1113 c.c., il quale riconosce espressamente, ai creditori ed aventi causa dei singoli comunisti, la possibilità di esperire l’azione revocatoria avverso la divisione.
La potenzialità lesiva della divisione, peraltro, risulta ribadita dall’art. 763 c.c., che prevede la rescissione della divisione ereditaria in caso di lesione oltre il quarto.
In sostanza, sono dunque revocabili tutti i negozi giuridici tra vivi, siano essi atti giuridici unilaterali o contratti, fatta eccezione per quelli aventi ad oggetto beni impignorabili.
Ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, inoltre, non è nemmeno necessario che l’atto dispositivo abbia carattere negoziale, ben potendo il pregiudizio del creditore derivare da un mero atto giuridico.
Tale pregiudizio, in particolare, si palesa come il pericolo che il patrimonio del debitore non sia si sufficientemente capiente rispetto all’entità del credito, tenuto conto dell’esistenza di tutti gli ulteriori debiti e delle garanzie eventualmente prestate.
L’integrazione del requisito dell’eventus damni, osserva la giurisprudenza prevalente, non presuppone necessariamente che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, essendo invece sufficiente che il medesimo abbia reso l’esecuzione coattiva del credito maggiormente difficoltosa.
L’onere di dimostrare l’insussistenza del pregiudizio per le ragioni del creditore spetta al debitore convenuto.
L’eventus damni deve sussistere nel momento stesso in cui viene posto in essere l’atto dispositivo del patrimonio del debitore e permanere fino a quando viene esercitata l’azione, non essendo dunque sufficiente, ai fini della revoca dell’atto, che l’incapienza si sia manifestata solo successivamente al suo compimento.
La revoca dell’atto dispositivo è inoltre subordinata alla sussistenza di ulteriori requisiti di carattere psicologico, i quali si differenziano a seconda che l’atto sia stato posto in essere prima o dopo il sorgere del credito.
Nel caso di atto posteriore al sorgere del credito, in particolare, è richiesta in capo al debitore la conoscenza del pregiudizio arrecato; con riferimento ad un atto anteriore, invece, il presupposto soggettivo viene individuato nella dolosa preordinazione, ovvero nell’intenzione dell’autore dell’atto di contrarre debiti e precostituirsi, in tal modo, l’incapacità del suo patrimonio a soddisfarli.
Tali requisiti soggettivi (consilium fraudis) devono sempre sussistere in capo al debitore, mentre devono essere verificati anche con riguardo al terzo solo in presenza di un atto a titolo oneroso; in questa ipotesi, dunque, il creditore ha l’onere di dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo anche con riferimento al terzo.
Con riguardo all’atteggiamento psicologico del terzo, in particolare, si suole parlare di scientia damni nel caso di atto dispositivo posteriore al sorgere del credito, così riferendosi alla consapevolezza del medesimo in ordine al pregiudizio che l’atto ha arrecato alle ragioni del creditore.
In giurisprudenza ci si è interrogati in ordine al significato da attribuire alla locuzione “consapevolezza” di cui all’art. 2901, comma 1 n. 2, c.c., essendo infatti dubbio se, ai fini dell’esercizio dell’azione, sia sufficiente la prova circa la conoscibilità da parte del terzo dell’attitudine pregiudizievole dell’atto o se, al contrario, sia invece necessaria la dimostrazione circa la conoscenza effettiva del carattere lesivo del medesimo.
Secondo l’orientamento prevalente, è sufficiente a configurare il requisito della “scientia damni” l’esistenza nell’acquirente di un mero comportamento colpevole, da intendersi quale reale possibilità di conoscere la natura fraudolenta del negozio sulla base delle circostanze del caso concreto.
Nel caso di atti anteriori, invece, si parla di scientia fraudis, ovvero di partecipazione del terzo alla dolosa preordinazione del debitore, da intendersi come conoscenza dell’intenzione del debitore di pregiudicare le ragioni di un futuro creditore.
La dimostrazione di tali condizioni soggettive spetta al creditore, il quale può a tal fine servirsi di elementi presuntivi.
Sono stati considerati tali dalla giurisprudenza, per esempio, la previsione di modalità di pagamento ambigue, la sussistenza di rapporti di parentela o lavorativi tra i soggetti coinvolti, nonché le sperequazioni tra il prezzo pattuito e il valore di mercato del bene.
L’accoglimento della domanda ex art. 2901 c.c. comporta l’inefficacia relativa dell’atto revocato e dunque la possibilità per il creditore revocante di agire esecutivamente sul bene oggetto dello stesso.
In altre parole, l’azione revocatoria non determina alcun effetto restitutorio ed il bene, oggetto delle iniziative conservative o esecutive del creditore, rimane pertanto nel patrimonio del terzo acquirente.
Quanto al conflitto tra colui il quale agisce in revocazione ed i creditori personali del terzo acquirente, si è ritenuto che la dichiarazione di inefficacia dell’atto comporti, sul bene oggetto dell’atto, il sorgere di una causa di prelazione a favore del creditore revocante, il quale ha dunque diritto ad essere preferito.
Come previsto dal comma 4 dell’art. 2901 c.c., in ogni caso, l’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buonafede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.
Nell’ipotesi di acquisto a titolo oneroso, infatti, creditore e terzo subacquirente finiscono per trovarsi nella medesima condizione e dunque, nell’interesse alla circolazione dei beni, si ritiene opportuno salvaguardare l’affidamento dei terzi in ordine alla validità ed efficacia del precedente contratto.
Tanto premesso, secondo la giurisprudenza più risalente non potevano essere assoggettati a revoca ex art. 2901 c.c. gli atti c.d. dovuti, ovvero quelli posti in essere in adempimento di un’obbligazione, salvo che non fosse raggiunta la prova in ordine al carattere fraudolento del negozio presupposto, ossia di quello con cui il debitore ha assunto l’obbligo poi adempiuto.
Con riferimento al contratto preliminare, dunque, si era escluso che la revocatoria potesse riguardare il definitivo, stante la natura di atto obbligato del medesimo.
Di contrario avviso è invece la giurisprudenza più recente, la quale ha ammesso la possibilità che la revocatoria concerna anche il contratto definitivo.
Si osserva, infatti, che il pregiudizio per i creditori e dunque l’eventus damni si verifica solo con la stipula del definitivo, mentre il preliminare ha un’efficacia lesiva solo potenziale e futura.
Per l’individuazione dei presupposti soggettivi dell’azione, invece, occorre riferirsi al tempo in cui è stato posto in essere il preliminare, essendo questo il momento nel quale le parti assumono il relativo impegno.
Si deve pertanto escludere che il terzo, acquisita successivamente al preliminare la consapevolezza in ordine alla potenzialità lesiva dell’atto, sia costretto a richiedere la risoluzione del contratto al fine di escludere la cooperazione con il debitore nella perpetrazione dell’evento dannoso, potendo così sottrarsi all’obbligo di concludere il definitivo.
Se al momento della stipula del definitivo il terzo è già titolare di un diritto acquisito in buonafede al trasferimento del bene, si osserva, la tutela dell’integrità del patrimonio del debitore assume carattere secondario, con la conseguenza che la buonafede del terzo al momento della stipula del preliminare rende il medesimo estraneo all’intento fraudolento del debitore.
Detto questo, la giurisprudenza più risalente aveva ritenuto che nel contratto preliminare per persona da nominare, qualora debitore fosse il promittente, l’indagine circa la sussistenza dei presupposti soggettivi dell’azione revocatoria dovesse essere compiuta con riguardo al terzo nominato, facendo riferimento al momento in cui l’accettazione è avvenuta; solo ove tale indagine avesse dato esito negativo, poi, sarebbe stato necessario spostare l’attenzione verso lo stipulante.
La soluzione anzidetta è stata superata dalla attuale giurisprudenza, la quale ha ritenuto corretto invertire l’ordine dei soggetti sui quali incentrare la verifica dell’elemento soggettivo, stabilendo che la relativa valutazione debba essere riferita dapprima allo stipulante – il quale è infatti il soggetto che, prendendo parte alla formazione del negozio, si trova nella condizione migliore per accertare la natura pregiudizievole del medesimo – e successivamente, nel caso in cui la verifica abbia dato esito negativo, essere estesa al terzo nominato.
A sostegno di tale conclusione si richiama l’art. 1391, comma 2, c.c., certamente applicabile nei rapporti tra stipulante e terzo rappresentato, secondo il quale il rappresentato che è in malafede non può giovarsi dello stato di ignoranza o di buonafede del rappresentante.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.
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