Balena blu: è istigazione al suicidio?
Da qualche tempo è salito agli onori della cronaca la triste pratica denominata Balena blu (in inglese, Blue Whale Challenge): si tratta di una sfida che impegna i più giovani (di norma, adolescenti) ad eseguire prove sempre più atroci, fino a giungere a quella definitiva, cioè a quella che mette a repentaglio la loro stessa vita.
Nato nei Paesi dell’Est, il “gioco” sembra aver preso piede anche in Italia, tanto che molti programmi televisivi se ne sono occupati. Dal punto di vista giuridico, la Balena blu solleva non pochi quesiti, tra i quali rientra la possibilità che si configuri il grave delitto di istigazione al suicidio.
Nel caso che qui si intende affrontare, gli ermellini sono stati chiamati ad esprimersi sulla valenza di alcuni messaggi inviati da un “curatore” (così viene definito colui che gestisce il gioco Balena blu) ad una ragazza; tra questi, ve n’era uno del seguente tenore: «manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni».
A seguito della prosecuzione della sfida, la minore si procurava alcune lesioni non gravi. All’imputato veniva contestato, tra gli altri, il reato di istigazione al suicidio, di cui all’art. 580 c.p. Secondo il codice penale, chiunque determina un’altra persona a commettere suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni sempre, che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata sia una persona minore degli anni diciotto ovvero una persona inferma di mente. Se la vittima è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio.
Dalla norma sopra riportata si evince non solo la gravità della condotta di istigazione al suicidio, ma anche il confine del penalmente rilevante. Ed infatti, l’art. 580 c.p. non sanziona la mera istigazione (in ossequio al principio sancito dall’art. 115 del codice sostanziale, secondo cui non è punibile, a meno che la legge non disponga diversamente, l’istigazione a commettere un reato non accolta oppure, se accolta, non concretizzata), ma la realizzazione del suicidio o, quanto meno, le lesioni gravi o gravissime derivanti dal tentativo.
Questo punto è molto importante: le lesioni (riconducibili a quelle descritte nell’art. 583 c.p.) punibili ai sensi dell’art. 580 c.p. devono necessariamente derivare dal tentativo, posto in essere dalla vittima, di togliersi la vita. Le lesioni che una persona decide di procurarsi autonomamente, se non sono indotte dal suicidio istigato, sono penalmente irrilevanti.
Se dal tentativo di suicidio di cui all’art. 580 c.p. derivano solamente lesioni lievi, nessun tipo di reato potrà dirsi integrato. Pertanto, l’art. 580 c.p. punisce, con sanzioni che differiscono anche in ragione della capacità o dell’età della vittima, le seguenti condotte:
Istigazione al suicidio da cui derivi la morte della vittima;
Istigazione al suicidio da cui derivino lesioni gravi o gravissime alla vittima.
Quindi, la soglia minima di punibilità ai sensi dell’art. 580 c.p. è quello della causatio, derivante dal tentativo (accolto) di suicidio, di lesioni gravi. Al di sotto di queste conseguenze, non si potrà ritenere integrato il reato ex art. 580 c.p.
Sulla scorta di queste considerazioni, la Corte di Cassazione (V sez., sent. n. 57503/2017, dep. il 22.12.2017) ha ritenuto insussistente il reato di istigazione al suicidio contestato all’imputato, reo di aver inviato alcuni messaggi alla vittima nell’ambito della sfida Balena blu, messaggi dai quali non sono derivate né la morte né lesioni di entità rilevante.
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Avv. Mariano Acquaviva
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